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LA VIDA ES SUEÑO (regia di Declan Donnellan)

Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 23

Foto Javier Naval

C’è una fila di porte chiuse lungo una parete che taglia in orizzontale la scena, si aprono seguendo un’alternanza disordinata e mostrando proiezioni, personaggi di cui non si comprende a fondo la natura, se facciano parte della realtà o del sogno. Così comincia La vida es sueño di Pedro Calderòn de la Barca, in apertura di stagione al Teatro Nazionale di Genova con la regia di Declan Donnellan e l’interpretazione degli attori della Compañía Nacional de Teatro Clásico di Madrid. Eppure, viene da domandarsi, la realtà e il sogno sono poi così distanti? C’è in questa messa in scena, allestita grazie alla solida visione di Nick Ormerod, l’intenzione di recuperare dal mondo classico gli elementi che sappiano esplicitare l’assolutezza del testo barocco, come volerne far emergere tutta la risonanza contemporanea fin dalla vicenda. La storia infatti, quella di Sigismondo e Rosaura, sarebbe di per sé ferma al tempo storico dell’autore, eppure l’esilio del principe allontanato in una cattività conservatrice dal padre, per paura di una predizione al futuro, l’avviluppamento poi del destino che rincorre e allo stesso tempo determina la vita dei protagonisti, sono tutti elementi che scavano nelle opere classiche con evidenza nel mondo attuale. Esibendo dunque il reale di una vicenda esemplare, in Calderòn Donnellan vede la possibilità di mettere in luce la distinzione tra morte e non esistenza, esplorando in quest’ultima l’effettiva contrapposizione alla vita, allora sì trascorsa come fosse un sogno lucido che manifesti il nostro esistere. Ma il sogno di Calderòn, privo della profondità con cui la psicoanalisi ha motivato l’uomo del Novecento, rischia di non essere all’altezza del contemporaneo, finendo talvolta per chiudersi tra i lazzi di una rappresentazione giocosa, ricca di una magnifica qualità attoriale ma limitata a un’età fin troppo antica. “Anche nei sogni è bene fare ciò che è giusto”, dice Clotaldo in conclusione. Anche nei sogni, privi della sequenza e della durata, il tempo assoluto invece non può essere ignorato. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Gustavo Modena. Crediti: di Pedro Calderón de la Barca; adattamento Declan Donnellan, Nick Ormerod; regia Declan Donnelan; interpreti: Ernesto Arias (Basilio), Prince Ezeanyim (cortigiano), Rebeca Matellán (Rosaura), Manuel Moya (Astolfo), Alfredo Noval (Segismundo), Goizalde Núñez (Clarin), Antonio Prieto (cortigiano), Ángel Ruiz (Clotaldo), Irene Serrano (Estrella); scene e costumi Nick Ormerod; musica e suono Fernando Epelde; luci Ganecha Gil; produzione Cheek by Jowl, Compañía Nacional de Teatro Clásico, Lazona, Teatro Nazionale di Genova; in collaborazione con Barbican, London e Scène Nationale d’ALBI – Tarn, France

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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