Dalla nomina di Geronimo La Russa nel Cda del Piccolo Teatro di Milano una riflessione sui meccanismi politici nella governance dei teatri pubblici in Italia
La nomina di Geronimo La Russa nel Cda del Piccolo Teatro di Milano ha fatto venire la pelle d’oca alle opposizioni del governo e ai protagonisti e frequentatori delle bolle culturali, social o reali che siano. Chi conosce, anche solo minimamente, meccanismi e funzionamenti delle istituzioni culturali pubbliche non può essere rimasto sorpreso, più di tanto, per il fatto che questa sia stata una nomina politica e non culturale. Non può essere rimasto sorpreso per l’assoluta ed evidente lontananza tra la figura inserita in quel Cda e le conoscenze che quel ruolo richiederebbe: il figlio 43enne del Presidente del Senato è un avvocato e dunque si spera che se la caverà almeno quando bisognerà discutere di questioni giurisprudenziali. Tutto questo accade ogni giorno nelle aziende partecipate, nelle fondazioni pubbliche e in tutti quegli enti che si reggono su un consiglio di amministrazione i cui esponenti sono scelti dalla politica. Iter che infatti spesso blocca tali enti in attesa che i soci politici si mettano d’accordo. E allora di cosa dovremmo rimanere turbati? Delle modalità, di come questa nomina (come d’altronde quella di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale) sia la rappresentazione plastica della spartizione di incarichi attuata dalla destra di governo rispetto al panorama culturale. Lo avevano fatto capire subito, già da quel primo incontro degli Stati generali della cultura, in cui il mantra revanchista attraversava l’intero convegno: la destra può occuparsi di cultura, può esprimere personalità in grado di governare la cultura di questo paese. O almeno tenterà di occupare il maggior numero di caselle possibili su campi da gioco decisivi. E questo sta accadendo, ma con una protervia forse inaspettata per molti, perché questi non sono i soliti nomi cosiddetti di “area” di destra o sinistra, formulazione con la quale si indicano personalità della cultura assimilabili a un possibile elettorato; qui si parla di figure direttamente connesse con la destra di governo, dal Ministro della Cultura Sangiuliano in poi. E d’altronde è del ministro la nomina di La Russa nel Cda del più importante teatro del Paese; primo teatro stabile d’Italia, nato nella Milano della Resistenza, nei luoghi che furono di prigionia e tortura durante la Rsi e certo saremmo illiberali se facessimo ricadere le passioni giovanili del padre, Ignazio Benito Maria La Russa, sul presente del figlio Geronimo, ma il destino mostra in questo caso un ghigno grottesco.
Il problema dei Cda dei teatri nazionali e delle altre grandi istituzioni culturali pubbliche non è tanto nella nomina dei La Russa di turno, la questione sta all’origine, nel fatto che uno dei pochi tasti intoccabili nei vari tentativi di riorganizzazione della macchina teatrale pubblica è proprio il ruolo dei Cda, anche quando le maggioranze erano di sinistra. Dunque per decenni la sinistra culturale italiana non ha sollevato dubbi su questi meccanismi perché ne traeva benefici, e diciamolo, anche perché è esistito in questo paese un periodo, per tre quarti del Novecento, in cui i politici potevano avere l’altezza culturale per ricoprire quei ruoli o designare qualcuno capace. Ora questa dovrebbe essere una delle prime battaglie: liberare i teatri pubblici dal ricatto delle nomine politiche, questo sarebbe un intervento legislativo innovativo. Ma voi avete mai visto una lucertola strapparsi la coda da sola?
Facciamo un passo indietro: nel 2014 il Ministero emanò un decreto con il quale riorganizzare i finanziamenti allo spettacolo dal vivo, tra le varie questioni quel decreto creava due nuovi livelli per le istituzioni teatrali finanziate dallo Stato: i Nazionali e i Tric, i secondi possono essere anche teatri privati. Per intenderci appartengono a questa categoria il Teatro Metastasio di Prato e il Teatro Elfo Puccini di Milano: prima del 2014 la sala milanese rientrava nella categoria, molto più sensata e riconoscibile, degli Stabili privati di interesse pubblico. Da una parte c’è un ente teatrale totalmente pubblico e dall’altra una storica compagnia privata che ha visto il proprio teatro inquadrato nello stesso livello dell’ente pubblico. La seconda, essendo un’azienda privata, può vantare un Cda totalmente teatrale, costituito dagli storici protagonisti dell’Elfo (Ferdinando Bruni, Cristina Crippa, Elio De Capitani, Francesco Frongia, Ida Marinelli, Elena Russo Arman); un Tric privato può fallire e chiudere (come accaduto all’Eliseo), un teatro pubblico in questo caso verrebbe commissariato, ma le ricadute sociali non sono così diverse e i finanziamenti pubblici percepiti possono essere paragonabili. Anche nel caso dei Tric privati siamo di fronte ad istituzioni teatrali complesse che, al di là della qualità espressa nelle produzioni e nelle programmazioni, dimostrano di stare in piedi anche senza il controllo politico.
Non dobbiamo indignarci per La Russa ma per le leggi che gli permetteranno di sedere a quel tavolo e, se non c’è da sorprendersi per ciò che è accaduto al Piccolo, c’è però da aver paura per i prossimi passi. Dietro questa nomina – tra l’altro l’ennesima per l’avvocato già presente in diversi Cda – c’è un messaggio preciso firmato da questa destra che vorrebbe cambiare il volto culturale dell’Italia: “aspettatevi di tutto”. E il monito vale per la futura direzione del Teatro di Roma, come per la riorganizzazione della legislazione in materia di spettacolo dal vivo, compresa la rivoluzione più volte annunciata sui regolamenti dedicati al finanziamento pubblico del teatro. Vista la situazione dunque è comprensibile la felicità espressa da Gianfranco Capitta sul Manifesto per la nomina di Natalia Di Iorio, avvenuta qualche giorno fa, nel Cda del Teatro di Roma; nomina politica anche quella (scelta dal Comune di Roma) ma rappresentata da una figura di capacità ed esperienza nel settore teatrale. Allora la politica quando vuole può nominare professioniste e professionisti competenti?! Certo, però può nominare anche Geronimo La Russa.
Andrea Pocosgnich