Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 23
A Gender Bender, un’intera comunità bolognese legata al progetto europeo Performing Gender – Dancing In Your Shoes si è messa al servizio di Daniele Ninarello, per una creazione condivisa dal titolo Crowded Bodies. «Un live-collage» (è la felice espressione che la definisce) di persone di diverse età ed esperienza di danza, per un gioco sottile di ascolto e condivisione capace di preservare le identità di ognuno, mentre si genera una comunità. L’arrivo cadenzato in scena e il lungo avvio fatto anche di stasi piene di presenza e intese fra i corpi nel massimo candore, è scandito da parole tratte da The Philosophies of Asia di Alan Watts (2016). Ma è naturalmente la progressiva occupazione dello spazio e dell’azione in un liberatorio catwalking a proscenio a contagiare gli sguardi di tutti. In chiusura, il festival ha ospitato Hope Hunt and the Ascension Into Lazarus di Oona Doherty, un assolo nel corpo della straordinaria danzatrice francese Sati Veyrunes, letteralmente caduta dal bagagliaio di una macchina che romba fuori dal TPO. Va così in scena, prima tra gli astanti all’esterno poi (dopo aver gridato loro di entrare, appoggiata all’auto e a pugni alzati) nello spazio interno della performance, una figura aggressiva e destinata continuamente a barcollare e cadere e inciampare, in mezzo agli stereotipi della maschilità più tossica e misogina «della classe operaia irlandese». Ed è davvero una performance straordinaria, fatta di voce e di corpo, capace di rivelare nella disperata violenza appresa (e subita) nei gesti condivisi, nella rabbia senza causa, nei tic nervosi, nel sudore della fronte sempre aggrottata, nelle posture storte e acide, nelle paure dissimulate e nella spavalderia più esplosiva e fastidiosa, una vita che chiede alla fine solo amore. Il titolo infatti dice tutto: si tratta di una caccia alla speranza nel ritorno di Lazzaro. Alla fine, infatti, resta a terra un corpo completamente vestito di bianco che espone in un capitolato candore tutta la sua radicale vulnerabilità. (Stefano Tomassini)
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