Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 23
Un uomo e una donna corrono, su di un palco vuoto. È una prova di resistenza del corpo o del pensiero? Un esercizio di fuga o di libertà? Ogni settimana si ritrovano, nella sala visite del carcere, ogni settimana lei (rinchiusa per aver esercitato il diritto alla libertà di parola) attende che il marito ritorni per condividere quella quotidianità condivisa sospesa. Cosa dirsi in quella mezz’ora di visita? I dialoghi della coppia si fanno via via sempre più freddi, incapaci di colmare una distanza insormontabile – le sbarre della prigione sono invisibili ma tangibili nelle posizioni parallele e distaccate assunte dai due attori sul palco – aumentata dall’utilizzo del linguaggio video, che proietta le immagini di quegli stessi dialoghi su uno schermo di fondo e ne estrae dei primi piani in cui emergono sguardi vuoti, di un dolore logoro, spento. Amir Reza Koohestani lavora su questa distanza fisica, mentale, simbolica inserendosi nelle sue fessure, con un intervento minimale volto a scavare l’eccesso, il sensazionale (che sembra emergere solo alla fine), le cromaticità e costruendo con l’aiuto di Éric Soyer una scenografia asettica non solo nelle tonalità visive ma soprattutto nei toni linguistici. È la parola a farsi agente di separazione, il moto del corpo la segue con una meccanicità spaventosa ma pur sempre alla ricerca di qualcosa: è qui che Koohestani inserisce lo sviluppo di un’altra storia, in cui la corsa acquista un senso che vuole oltrepassare le condizioni di prigionia e assumere le tracce delle identità migranti. La donna in carcere spingerà quindi il marito a scendere nel campo di una lotta che le è stata negata, assieme ad un’altra donna, resa cieca in seguito ad una manifestazione, che può ora correre per fuggire, per seguire un ideale di libertà, riscrivendo la propria storia, «a true story – an actual – an actual hi-story – a factual – fact story».
Visto alla Triennale di Milano. Crediti: testi, regia: Amir Reza Koohestani drammaturgia: Samaneh Ahmadian assistente alla direzione: Dariush Faezi luci, scenografia: Éric Soyer video: Yasi Moradi, Benjamin Krieg musica: Phillip Hohenwarter, Matthias Peyker costumi: Negar Nobakht Foghani performer: Ainaz Azarhoush, Mohammad Reza Hosseinzadeh traduzione e adattamento sovratitoli (in inglese): Massoumeh Lahidji addetta ai sovratitoli: Negar Nobakht Foghani produzione, amministrazione, promozione: Pierre Reis – Bureau Formart (Paris) logistica, assistenza alla comunicazione: Yuka Dupleix – Bureau Formart (Paris) produzione: Mehr Theatre Group
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