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VicoQuartoMazzini: “La Ferocia è nel ricatto interno alla famiglia”

La Ferocia, il romanzo di Nicola Lagioia, debutta in una forma teatrale a Romaeuropa Festival 2023, dal 31 ottobre al 2 novembre al Teatro Vascello. Abbiamo chiesto a Michele Altamura e Gabriele Paolocà della compagnia VicoQuartoMazzini di raccontare la genesi e gli sviluppi del lavoro, ma soprattutto di indicare quanto di questo libro, uscito quasi un decennio fa, risuoni oggi nel nostro contemporaneo.

In foto Gabriele Paolocà e Michele Altamura. Foto romaeuropa.net

La Ferocia è il romanzo vincitore del Premio Strega 2015. Cosa vi ha spinto a tradurlo per il teatro?

GP: Quando lo abbiamo letto ci ha sicuramente incuriosito la possibilità di portare in scena una grande storia italiana, dato che è sempre più raro trovare spettacoli che parlino al presente del nostro Paese non in maniera retorica o riscrivendo dei classici; si tratta di una grande storia familiare – che somiglia a molti romanzi che abbiamo amato, come ad esempio Pastorale americana di Philip Roth – che ci permette di raccontare il Novecento attraverso storie che ci appartengono, ambientate nel nostro sud in modo assolutamente non stereotipato, arricchito da tutta una valenza tragica, cruda, che racconta molto i giorni in cui viviamo.

MA: Il sistema della famiglia Salvemini è, in Italia più che in qualunque altro, la rappresentazione di un Paese che si è risvegliato dalla guerra mondiale e ha poi seguito il mito della scalata, della crescita, ma che poi si è ritrovato a perdere l’orientamento, sull’orlo di un baratro senza capire come sia accaduto; dunque il crollo di quella famiglia è un po’ anche il crollo della nostra nazione, dei suoi valori, di tutto ciò che non ha funzionato.

Intrigante, a pensarci, è il fatto che questa comune sorte – simile per esempio è la struttura di un altro caposaldo contemporaneo come Lehman Trilogy – prenda le mosse da un quasi paradosso: la famiglia, microcosmo certo ma allo stesso tempo nucleo comunitario per eccellenza, primario nella società occidentale, viene presa a modello proprio per una società capitalista che in contrario ha scelto di incrementare l’individualismo fino all’estremo.

GP: Esatto, poi soprattutto inserire una logica neoliberista al sud permette di vederne precisamente il cortocircuito, una logica capitalista inculcata in un luogo – come dice anche Franco Cassano in Il pensiero meridiano – che richiede altre tempistiche, altre forme di pensiero; e il romanzo così come lo spettacolo, che mettono in discussione elementi intoccabili per la nostra cultura come appunto la famiglia, risultano allora quasi blasfemi.

MA: C’è una battuta che dice il capofamiglia Salvemini: “Ma voi vi ricordate che cos’era la Puglia negli anni Settanta? Immense distese di tabacco e i vostri padri che sbattevano mazzi di banconote di fronte ai santi protettori”. Ecco che in un ambiente del genere le contraddizioni del capitalismo, che per propagarsi hanno bisogno dello spazio che un territorio così frammentato può avere, arrivano ancora più forti.

La Ferocia è un romanzo intricato, ricco di storie intessute in una trama spessa. Come si lavora in un testo così fortemente narrativo per ricavare il testo teatrale?

MA: Abbiamo lavorato insieme a Linda Dalisi che ha curato la drammaturgia per oltre un anno. Lei ci ha proposto come prima modalità di setacciare il testo così da avere una prima stesura tradotta in parola teatrale, in cui anche le descrizioni erano battute dette dai personaggi; poi abbiamo isolato le linee drammaturgiche che ci interessavano rinunciando ad altre meno funzionali alla compattezza che volevamo dare, sacrificando delle parti, potenziandone altre, tenendo presente come punto fondamentale che le scelte fossero sempre scaturite dalla scena.

Prove di allestimento al Teatro degli Impavidi di Sarzana. Foto Vicoquartomazzini

Come sono inseriti i personaggi nella struttura del racconto?

MA: La scelta principale che abbiamo fatto è stata tenere come presenza evocativa e non fisica proprio Clara, la ragazza attorno a cui ruota tutto il romanzo; lei non c’è ma tutti i personaggi si rivolgono a lei, sia con monologhi che all’interno di dialoghi collettivi.

GP: Ci sono delle confessioni fatte a Clara, come degli “a parte” che rendono la forma drammaturgica stramba e per questo affascinante; richiama una struttura tragica, con dei dialoghi che portano avanti l’azione ma anche delle riflessioni singole.

MA: La struttura che abbiamo voluto dare è a cerchi concentrici, la cui macro cornice è data dal giornalista Danilo Sangirardi – presente nel romanzo ma in forma meno accentuata – che racconta la vicenda dei Salvemini ex post, durante la registrazione di un podcast, perché ci sembrava il modo più contemporaneo per rappresentare il giornalismo e perché la parola radiofonica è lo strumento dei grandi narratori del sud come per esempio Alessandro Leogrande. Mi viene da pensare alla recente puntata di Fare un fuoco (il podcast della rivista letteraria Lucy sulla cultura nda) in cui proprio Nicola Lagioia dice che abbiamo perso la possibilità di incontrarci davanti al fuoco, ma cosa resta? Resta proprio il racconto di quella vicenda, lì dove troviamo ancora un senso. Quindi il racconto che ne fa Sangirardi dà valore alla storia dei Salvemini.

Si citava prima l’elemento tragico, in che modo emerge dallo spettacolo?

GP: Sicuramente l’elemento tragico emerge dal fatto che l’azione drammatica non è compiuta nel presente scenico ma è continuamente evocata; Clara è una figura mitica a cui tutti coloro che hanno visto la propria vita dilaniata si riferiscono, la sua evocazione ci permette di dare un colore emotivo molto preciso. Poi c’è questo Oreste (Michele, il fratello di Clara nda) che torna a fare giustizia a metà della vicenda, in questo caso non a difendere il padre ma questa sorella lasciata, come in Antigone, non sepolta; ma anche è presente la tragedia shakespeariana, soprattutto nei personaggi minori che lo stesso Lagioia rintracciava nel proprio testo.

MA: Più di tutti il personaggio interpretato da Francesca Mazza, la moglie della famiglia Salvemini, unica donna in un mondo di maschi, mi ha sempre ricordato molto da vicino Clitennestra, soprattutto per quella battuta dell’Agamennone: “Così comanda il cuore maschio della signora”, parlando di lei. In generale la parola teatrale diventa tragica perché non vediamo una donna ammazzata o trovata dietro un autosilo, ma la ritroviamo nelle parole e nelle emozioni degli altri.

Foto Francesco Capitani

Il romanzo inizia dall’assenza però dominante di un corpo, attorno a cui si muove l’intera vicenda. Il corpo in teatro è un elemento imprescindibile. Come lo avete considerato, il corpo, all’interno del vostro teatro?

GP: Fondamentale è stata la suggestione che ci ha dato Daniele Spanò con la sua scena: ha lavorato come a voler portare un plastico sulla scena, quello con cui ci ha mostrato virtualmente la struttura che aveva in mente ma che poi abbiamo pensato potesse essere proprio il simbolo di quella freddezza, valorizzandola con la luce di Giulia Pastore. Di conseguenza si è partiti da questo corpo immobile in una scena clinica, proprio per meglio esaltare il senso del tragico, mentre poi gli altri corpi cercano di colmare questa assenza subito evidente, scegliendo registicamente una cura minimale, quasi coreografica, delle azioni.

MA: Era necessario un superamento completo del naturalismo, perché in una vicenda del genere non era sufficiente, c’era bisogno di creare anche relazioni non reali ma che rappresentassero qualcosa in più per poter proprio raccontare il reale.

C’è nel romanzo una continua ricerca di relazione tra presente e passato, come se i personaggi si accorgessero volta per volta che il passato è una creazione di effetti successivi. Il titolo è una parola sola, La Ferocia che sembra una lancia infuocata scagliata appunto dal passato in avanti. Oggi che il libro ha quasi un decennio e diventa uno spettacolo teatrale, dove vi sembra si vada a conficcare in questo nostro tempo?

GP: Il libro è scritto in un periodo in cui si parlava certo di crisi di valori, anche di crisi economica, ma la crisi di oggi è probabilmente più totale, perché tocca i corpi. Però Lagioia nel romanzo cita un quadro, L’Europa dopo il diluvio di Max Ernst, che racconta ciò che resta dopo la seconda guerra mondiale; il personaggio di Michele nello spettacolo spiega ad altri l’essenza di quel quadro e io, ogni volta che lo recito, sento che abbia molto da dire a questa epoca.

MA: Io vedo una linea di continuità da allora a oggi, il tema del ricatto interno alla famiglia in cui tutti sono contro tutti, i sacrifici e gli errori che si fanno quando ne fai parte, il tentativo fallimentare di distaccarsi da questo modello in cui sempre si ricade. Sento che la ferocia del titolo, oggi, sia proprio qui.

Simone Nebbia

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date in calendario tournée

debutto nazionale – dal 31 ottobre al 2 novembre – ROMAEUROPA, Teatro Vascello
dal 12 al 14 gennaio 2024 – Bari
dal 16 al 21 gennaio – Teatro Nazionale – GENOVA
3 febbraio – MONOPOLI
4 febbraio – Cantieri Teatrali Koreja – LECCE
11 febbraio – Teatro Toselli – CUNEO
dal 13 al 18 febbraio – Teatro Stabile di Torino – TORINO
dal 24 al 25 febbraio – Cantiere Florida – FIRENZE
dal 27 Febbraio al 3 Marzo – Teatro Fontana – MILANO
26 e 27 marzo – LAC – LUGANO

LA FEROCIA
ideazione VicoQuartoMazzini
regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà
adattamento Linda Dalisi
con Roberto Alinghieri, Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti
scene Daniele Spanò
luci Giulia Pastore
musica e sound design Pino Basile
costumi Lilian Indraccolo
aiuto regia Jonathan Lazzini
realizzazione scenografie Officina Scenotecnica Gli Scarti
direttore di scena Daniele Corsetti
progetto audio Niccolò Menegazzo
datore luci Marco Piazze
cura della produzione Francesca D’Ippolito
ufficio stampa Maddalena Peluso
grafica Leonardo Mazzi
consulenza artistica Gioia Salvatori
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, LAC Lugano Arte e Cultura, Romaeuropa Festival, Tric Teatri di Bari, Teatro Nazionale Genova

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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