Dal 13 al 15 ottobre si è tenuta la 57ª edizione del premio Riccione per il Teatro, preceduta dalla serata di letture a Romaeuropa Festival, Situazione drammatica. Ieri la giuria, presieduta da Lucia Calamaro, ha proclamato i testi vincitori del concorso: Lucia camminava sola di Tolja Djokovic e 30 milligrammi di Uliprsital. Il giorno dopo di Benedetta Pigoni. Al termine dell’articolo tutte le motivazioni della giuria, finalisti compresi. Contenuto creato in media partnership con il Riccione Teatro.
Quest’anno il Premio Riccione per il Teatro, promosso dall’associazione culturale Riccione Teatro a sostegno delle nuove nuove drammaturgie, è giunto alla sua 57ª edizione. Un riconoscimento prestigioso, in collaborazione con il Comune di Riccione e ATER Fondazione (enti soci) e con il sostegno della Regione
Emilia-Romagna e del Ministero della Cultura. Tra i suoi vincitori storici, anche un esordiente Italo Calvino, insignito del premio per Il sentiero dei nidi di ragno nell’edizione inaugurale del 1947, che prevedeva una sezione letteraria; non a caso, proprio al centenario dello scrittore il concorso quest’anno ha dedicato un omaggio. Come risulta dal bando, ancora oggi il premio vuole contribuire «allo sviluppo e alla valorizzazione della drammaturgia contemporanea», con un occhio di riguardo nei confronti delle proposte più innovative. Una sezione del concorso è infatti dedicata a un testo creato da autori o autrici under-30: il Premio Pier Vittorio Tondelli, giunto al suo quindicesimo anno di vita. Oltre seicento i copioni iscritti al concorso; la giuria, composta da Lucia Calamaro (presidente), Concita De Gregorio, Lino Guanciale, Graziano Graziani, Claudio Longhi e Walter Zambaldi ha premiato tra questi, per ciascuna categoria, il lavoro più meritevole «per valore artistico, realizzabilità, possibilità di distribuzione e promozione». In palio un riconoscimento economico e un sostegno alla produzione. La proclamazione è avvenuta ieri al Palazzo del Turismo di Riccione al termine di un intenso finesettimana.
Il Premio Riccione per il Teatro, riservato a testi teatrali in italiano o dialetto non ancor rappresentati in pubblico, è andato a Lucia camminava sola di Tolja Djokovic. Dopo gli studi filologici, Djokovic intraprende il proprio percorso artistico al seguito di Fanny&Alexander, Menoventi e Il Teatro del Lemming, per perfezionarsi come Dramaturg internazionale presso la Scuola di Teatro “Iolanda Gazzerro” di ERT. Tra i suoi precedenti riconoscimenti ricordiamo il Premio Autori Under 40 della Biennale College Teatro per En abyme. Il testo adesso premiato a Riccione corre lungo un doppio binario: da un lato un’Autrice, regista di un documentario che assume sempre più i tratti di un’inchiesta. Dall’altro Lucia, una donna che nella Bologna del 1709 fugge davanti alla scena di una dissezione anatomica pubblica: non sa che l’anno successivo sarebbe stato il suo corpo a fare quella fine. Attraverso una scrittura che ora scorre rapida, ora si sofferma con minuziosa precisione su immagini dettagliate, il racconto di Djokovic si infila crudo tra le viscere della protagonista, attraverso le quali si consumano, susseguendosi, una nascita e un infanticidio. La relazione scenica instaurata tra dramma e documentario, come in mise en abyme, è il medium di «una riflessione a tratti allucinata su una maternità che mostrifica il corpo», vivisezionata attraverso «un linguaggio affilato, essenziale, chirurgico, strumento di una scrittura evocativa perché distante da qualunque lirismo ricattatorio», secondo le motivazioni della giuria. Tra gli altri finalisti nella stessa categoria: Jacopo Giacomoni con È solo un lungo tramonto, Nalini Vidolan Mootoosamy con Lost&Found, Armando Pirozzi con Opus, Fabio Pisano con Madri.
Il Premio Pier Vittorio Tondelli, destinato a scritture di autori e autrici di età inferiore ai trent’anni, è stato attribuito a Benedetta Pigoni, classe 2000. La formazione di Pigoni si caratterizza per un iniziale interesse nei confronti del teatro giapponese, sostenuto dagli studi universitari presso l’Università di Bologna. Oggi Pigoni frequenta il Corso di Scrittura per lo Spettacolo presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Il suo 30 milligrammi di Uliprsital. Il giorno dopo racconta la vita di Sofia che, assieme agli altri personaggi di questo lavoro, è tutta dentro un cellulare: tra applicazioni e chat la ragazza ricostruisce un trauma, un atto al quale non aveva acconsentito. Per la giuria il testo è una “ricerca ansiosa” sulla quale «aleggia costantemente il dubbio, la messa in discussione, l’incredulità, la difficoltà di verbalizzazione», capace di dare corpo «a una scrittura chiaroscurale in grado di indagare nelle pieghe, nelle reticenze e nelle falsificazioni del linguaggio». Questo lavoro non è l’unico ad accogliere i modi delle nuove comunicazioni digitali: anche De-sidera di Giulia di Sacco e Lexicon di Eliana Rotella (finaliste nella stessa categoria) inglobano, in modalità forse non del tutto intellegibili nell’economia dell’allestimento scenico, emoticon e frasi da chat. Ciò è certo interessante, perché offre senz’altro uno spaccato del nostro tempo – come vedremo ancora in seguito. Gli altri finalisti al Premio Tondelli: Riccardo Favaro con Far Far West West, Nicolò Fettarappa con il suo divertente Orgasmo. Prosa dispiaciuta sulla fine del sesso.
Lavoro senz’altro suggestivo è quello di Jacopo Giacomoni, È solo un lungo tramonto, insignito della Menzione speciale Franco Quadri. Per la giuria si tratta di una «drammaturgia superlativa e audace, memore della lezione della neoavanguardia poetica di Balestrini, ma intrisa di filosofia del presente come l’hauntologia di Derrida e la sua riattualizzazione ad opera di Mark Fisher». Per hauntologia si può intendere, molto semplificando, una condizione di “presente assenza”, una ripetizione costante e priva di origine che, come uno spettro, infesta la storia dell’uomo. Il lavoro di Giacomoni si pone come una hauntologia teatrale, tentativo di presentizzare quanto del tempo e dello spazio può rimanere in una mente affetta da demenza senile – quella del padre. Il testo (o forse più un anti-testo) scompone e ricompone gesto e memoria all’interno di un dispositivo precario, destinato a iterazioni ricorsive e ostinate, gradualmente dissolte da un’indefessa ripetitività. La scena sembra un fatto più astratto che materiale, concretizzazione di un’idea fantasmatica. Affascinante questo processo di stilizzazione linguistica e concettuale.
Il comitato di critici composto da Lorenzo Donati, Roberta Ferraresi, Maddalena Giovannelli, Rossella Menna, Andrea Pocosgnich e Francesca Saturnino ha infine attribuito il 4° Premio speciale per l’innovazione drammaturgica, destinato fuori concorso a «una personalità che attraverso la scrittura per la scena abbia aperto nuove prospettive al mondo del teatro», a Marco D’Agostin. Danzatore e performer di rilievo internazionale, D’Agostin ha lavorato per Claudia Castellucci, Alessandro Sciarroni, Boris Charmatz. Nel 2018 ha vinto l’UBU come Miglior Performer Under 35. I suoi Avalanche (2018) e Best Regards (che ha debuttato alla Biennale di Venezia nel 2021) hanno ricevuto una nomination UBU come Miglior Spettacolo di Danza. Per la commissione di Riccione «Marco D’Agostin ha saputo ragionare con rigore sulla dialettica tra drammaturgia e gesto, mostrando una notevole sensibilità per la dimensione testuale». Lavori come First Love, Best Regards, Gli Anni affiancano «alla ricerca sul corpo la concretezza materica del documento, producendo continui cortocircuiti tra la grammatica del movimento e l’archivio della memoria», con il merito di scardinare «i confini – ancora troppo solidi in Italia – tra teatro e danza».
Scardinare confini, creare ibridazioni: ancora, nella lunga coda del discorso post-moderno, le espressioni artistiche – non solo teatrali – cercano definizione all’incrocio tra diversi domini, forse in risposta alla profonda settorializzazione che investe la vita culturale, tentando di porsi in relazione con la realtà fluida di cui sono narrazione. La scrittura teatrale, destinata a una fruizione tanto immersa nell’hic et nunc del suo tempo da non poterne essere distinta, può e deve assurgere alla funzione di osservatorio privilegiato sul presente. In questo senso il problema del linguaggio, delle modalità attraverso le quali raccontare il mondo in atto, assume oggi una rilevanza particolare, ed è interessante osservare come in fondo la nuova drammaturgia sembri volerlo eludere. Costruire nuove narrazioni sulle ceneri del testo, delegittimato in un soffio dal Secolo breve, per le nuove generazioni può essere una sfida complicata, ma è di fatto la sfida più urgente.
Il vetusto problema del rapporto tra teatro e letteratura, ossia tra il teatro e il racconto unitario delle vicende umane, si ripresenta, come un fiume carsico, nella sua insolubilità e solo una maggiore cognizione dell’economia scenica (come accade nei lavori, per altro diversissimi, di Djokovic e Giacomoni) garantisce migliore tenuta drammatica. A questi appena citati deve essere aggiunto il limpidissimo Il numero esatto di Fabio Pisano, che invece sceglie la via opposta e restituisce alla nuda parola tutta la sua potenza evocativa: la scrittura è qui un catalogo di frammenti sonori, come frammentata è la maternità che questi provano a ricostruire. La parola di Pisano è resto, residuo fuoriuscito dal filtro di un’esperienza troppo difficile da potersi esprimere, significarsi: per offrirsi, il discorso deve allora negare se stesso e procedere per riduzione. Davvero notevole è il modo in cui il drammaturgo lascia fluttuare questioni certo attuali, sospendendole con sapienza nel non-tempo di una tersa prosodia: non letteratura, ma dolorosa – e vivissima – elegia. Altre volte il presente entra in scena senza filtri: fenomeno interessante è quello per cui le scritture più contemporanee (quelle talmente contemporanee da essere istantanee) ricorrono al linguaggio tipico delle applicazioni di messaggistica, o meglio, si configurano come vere e proprie chat corredate di faccine. Attraverso di esse, si descrivono esperienze privatissime, legate molto di più al singolare che all’universale. Insomma, l’allontanamento dal letterario ha determinato, sul lungo termine, un approdo al letterale. Avviene dunque che il ricorso alle nuove forme della comunicazione non ne metta in discussione il potenziale alienante ma ne divenga, in qualche modo, megafono. Qualcuno cantava che «bisogna saper vivere il tempo» e «non arrivarci per contrarietà». Ma anche assimilarvisi, per chi fa arte, può produrre pericoli non indifferenti.
Redazione
I premiati e le motivazioni della giuria composta da
Lucia Calamaro (presidente), Concita De Gregorio, Lino Guanciale, Graziano Graziani, Claudio Longhi e Walter Zambaldi
57° Premio Riccione per il Teatro
Tolja Djokovic con Lucia camminava sola
Motivazione Giuria:
«Attraverso la storia incrociata di due donne e di due epoche – quella di Lucia, donna bolognese che nel 1709 viene arrestata e condannata a morte per infanticidio, e quella dell’Autrice, che oggi, nel 2022, decide di realizzare un documentario su questa storia – il testo di Tolja Djokovic porta avanti una riflessione raffinata e non scontata sulla codificazione sociale dei corpi, sulla violenza e l’esposizione che la accompagna, su una ferocia che diventa strumento politico. Attraverso una riflessione a tratti allucinata, su una maternità che mostrifica il corpo e che ci racconta del senso di estraneità che può scaturire dall’esperienza della maternità, non si discosta mai da un linguaggio affilato, essenziale, chirurgico, strumento di una scrittura evocativa perché distante da qualunque lirismo ricattatorio. E la scelta del doppio racconto, che ci porta dentro e fuori dalla storia di Lucia, offrendoci il giusto diaframma per osservarne le implicazioni, non è mai a servizio di una tesi, ma sempre dentro il meccanismo della drammaturgia, sostenuta da una scrittura teatrale matura, consapevole, originale».
15° Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”
Benedetta Pigoni con 30 milligrammi di Ulipristal
Motivazione della giuria:
«Non te l’aspetti, nessuno se lo aspetta. Altrimenti non succederebbe.
Pigoni fa della forma sostanza quando con estrema delicatezza usa la pagina assoluta di schermate chat con amiche e conoscenti, per far accertare alla sua protagonista di essere stata vittima di uno stupro di gruppo da parte di amici dell’università. Nella ricerca ansiosa di ricostruzione della verità aleggia costantemente il dubbio, la messa in discussione, l’incredulità, la difficoltà di verbalizzazione, che dà corpo a una scrittura chiaroscurale in grado di indagare nelle pieghe, nelle reticenze e nelle falsificazioni del linguaggio.
Potente e sensibile, formalmente severo e originario, il testo di Pigoni non esonda, non dilaga, ma indaga. 30 milligrammi di Ulipristal sussurra un sospetto, lavora sul rimosso, taglia clinicamente il presente in lame sottilissime di “come è possibile?!”.
È un testo in grado di muovere profonde corde emotive: chi ascolta o legge affonda, senza il bisogno di iperboli verbali, in un abisso di contrizione: ascolti, capisci, ti dispiace e ti “piglia malissimo”, e alla fine ti ritrovi nel punto basso, al minimo, di una giovane vita, quella della protagonista che attraverso la ricerca annebbiata della verità trova il cammino andino della risalita. E respira».
Menzione speciale Franco Quadri:
Jacopo Giacomoni con È solo un lungo tramonto
Motivazione Giuria:
«Attraverso un dispositivo di decostruzione e ricostruzione di un dialogo tra padre a figlio, il testo di Jacopo Giacomoni allestisce – dandogli forma plastica e teatrale attraverso la parola – la slogatura del tempo e del linguaggio che si verifica quando una mente comincia a decadere. La scaturigine del testo è l’Alzheimer, malattia che scava nel simbolico del nostro presente e ci interroga su identità e memoria, ma anche sul carattere effimero dell’esperienza umana insistendo proprio sulla decadenza del logos. È solo un lungo tramonto allestisce dei loop testuali a partire da alcuni ricordi del padre trascritti dal figlio, dettati e “trattati” attraverso un programma di scrittura al computer. Ogni area tematica dei ricordi del padre viene immaginata come una stanza mentale e installativa, da attraversare secondo un tempo non imposto, con un pubblico che vaga liberamente creando un proprio percorso.
Coniugando esplorazione filosofica della memoria, elaborazione autobiografica e sperimentazione linguistica, Giacomoni dà corpo a una drammaturgia audace, memore della lezione della neoavanguardia poetica di Balestrini, ma intrisa di filosofia del presente come l’hauntologia di Derrida e la sua riattualizzazione ad opera di Mark Fisher».
4° Premio speciale per l’innovazione drammaturgica 2023
Marco D’Agostin
Il 4° Premio speciale per l’innovazione drammaturgica, destinato fuori concorso a una personalità che attraverso la scrittura per la scena abbia aperto nuove prospettive al mondo del teatro è Marco D’Agostin; ad assegnarlo è un comitato di critici composto da Lorenzo Donati, Roberta Ferraresi, Maddalena Giovannelli, Rossella Menna, Andrea Pocosgnich e Francesca Saturnino.
Motivazione dei critici:
«Marco D’Agostin, con il suo ormai ampio e significativo percorso artistico, ha saputo ragionare con rigore sulla dialettica tra drammaturgia e gesto, mostrando una notevole sensibilità per la dimensione testuale. Dal racconto autobiografico (First Love), ad una riflessione sulla forma epistolare (Best Regards), fino al dialogo esplicito con una scrittura squisitamente letteraria (Gli anni), D’Agostin tesse drammaturgie compiute e articolate, affiancando alla ricerca sul corpo la concretezza materica del documento (lettere, oggetti, video, fotografie) e producendo così continui cortocircuiti tra la grammatica del movimento – che si dispiega nel presente ed è mobile – e l’archivio della memoria, che attinge dal passato ed è immutabile, come un libro stampato.
L’atto creativo, in D’Agostin, prende sempre le mosse da un intimo confrontarsi con scritture, opere letterarie, autori e autrici, che diventano fondamenta su cui edificare architetture compositive originali, mai subalterne al modello. D’Agostin innova dunque continuamente la forma scenica, decostruendo e scardinando i confini – ancora troppo solidi in Italia – tra teatro e danza, costruendo opere meticce e iper contemporanee nell’ibridazione dei linguaggi: è stato dunque capace di offrire un contributo originale all’innovazione drammaturgica al di là dei confini consolidati fra le discipline, i generi e le pratiche, ponendo così la questione del senso e dell’esistenza stessa di quei limiti, che dovrebbero essere (ma di fatto non sono) storicamente superati».
I finalisti
Le motivazioni della giuria del 57° Premio Riccione per il Teatro
Nalini Vidoolah Mootoosamy con Lost & found
«La particolare ipotesi giustappositiva di primo e terzo mondo – usando, solo per intendersi, delle approssimative categorie post colonialiste – che informa la drammaturgia, scelta evidentemente rischiosa sia dal punto di vista poetico che da quello etico, si rivela convincente e avvincente. La costruzione speculare, la grande cura nella lingua e una pregevole ricchezza di dettagli formali, innestati su una macchina drammatica dall’ottimo ritmo narrativo, contribuiscono in maniera decisiva al conseguimento di un così difficile risultato, facendo del testo un’utile finestra empatica sulla contemporaneità».
Armando Pirozzi con Opus
«Un facoltoso signore chiama un giovane per scavare una fossa in giardino. Una ragazza accoglie un ospite nell’appartamento che affitta. Un politico chiede riparo per una notte ad un amico di giovinezza. Tre storie dai risvolti sorprendenti in cui niente è come sembra all’inizio. Autonome ma che si svolgono su binari paralleli. Nella sua ambigua e polisemica sospensione, Opus, scavando tra le pieghe del non detto, reinventa i percorsi dell’alchimia, l’ormai mitica falsa scienza cui corrisponde, però, un’autentica utopia quella di immaginare che il trasformare se stessi spiritualmente possa di fatto redimere il mondo intero.
Ne scaturisce un’opera che incastonando con sapienza artigianale nigredo, albedo e rubledo ci consegna una stimolante meditazione sul funzionamento della metafora teatrale, in bilico tra logica, intuizione, poesia e magia».
Fabio Pisano con Il numero esatto
«Una donna alla ricerca delle proprie radici ricostruisce un puzzle biografico che incarna le contraddizioni del presente, sullo sfondo di molteplici conflitti, da quello armato russo-ucraino a quello di classe che si dipana sul rapporto tra Occidente e paesi non occidentali. Alice è una donna di vent’anni di un prossimo futuro, concepita nel 2020 attraverso la gestazione per altri. Nel tentativo di dipanare la concatenazione di eventi che ha portato alla sua nascita, tra reticenze e difficoltà, scopre di avere quattro madri: quella che l’ha allevata, quella che l’ha voluta e poi abbandonata, la gestante che ha portato in grembo l’ovulo fecondato, la tata che l’ha cresciuta nel primo anno di vita. La ricerca della gestante la porta in Ucraina, dove il conflitto imperversa ancora e la donna è stata fatta prigioniera dall’esercito russo. Attraverso la drammatizzazione di un fatto realmente accaduto, Fabio Pisano porta in scena una pièce esemplare, che rivela le contraddizioni e le fratture del presente sul tema della gestazione per altri e le lascia confliggere su uno sfondo storico-politico che ne amplifica la portata. Un congegno drammaturgico che segue tutte le svolte e i meccanismi del well-made play, ma portato avanti con originalità e visionarietà – elementi che ci accompagnano nello scoprire assieme alla protagonista come il monito del sociologo Ulrich Beck (la nostra è un’epoca in cui si è costretti a fornire risposte biografiche a problemi sistemici) diventa viva materia drammatica».
Le motivazioni della giuria del 15° Premio Pier Vittorio Tondelli
Giulia Di Sacco con De-sidera
«Alice ed Emilia vivono insieme, si amano; Alice sta scrivendo un libro. Francesco e Caterina si conoscono su Tinder, si innamorano e vivono insieme; lui sogna di fare il musicista e un figlio, lei decide di abortire senza dirglielo. M è un coach motivatore. Un incidente stradale apre e chiude le storie che si intrecciano. Storie di mancanze e dunque di desideri.
Ritratto millenial credibile e efficace, di un tempo ellittico e in costante ricerca, ammalato di inadeguatezza, De-sidera, col suo linguaggio fresco e antiretorico, sa insinuare nel dibattito contemporaneo sullo svaporarsi del nostro mondo in pura virtualità una suggestiva riflessione sulle ragioni del corpo, attraverso la pratica vigile della cura, come risposta ai danni e alle offese della vita».
Riccardo Favaro con Far Far West West
«Non siamo abituati ai western a teatro, e ancora meno ai western di tinte giallo-metafisiche, che esplorano non solo “il laggiù” delle persone e delle cose, ma anche il “nel mezzo” e “il dietro”.
Far Far West West di Riccardo Favaro dilata il tempo nella mente del lettore man mano che si avanza, come le pallottole al rallentatore dei vecchi film.
Mentre intreccia le fila della storia sfortunata di una famiglia che ritrova un bambino morto nel nulla, Favaro manipola capillarmente le nostre proiezioni mentali sul colpevole che a tratti sembra essere la nonna, a tratti il padre, a tratti chiunque.
Un testo in cui spiccano elementi dell’epos tragico (il ritorno a casa, la regina-matriarca dispotica, la morte dell’innocente sacrificato…) al tempo stesso aumentati e diminuiti da uno stile che ha assorbito tranquillanti e allucinogeni e nel quale l’azione della parola si accelera, si confonde, si sovrappone e si dilata.
Un testo che pulsa respiro poetico».
Niccolò Fettarappa con Orgasmo
«È un testo storto, a tratti fulminante a tratti non si sa bene, che ha però nei suoi momenti incerti la prova della sua spiccata teatralità: solo nell’incontro col pubblico, infatti, quei momenti “un po’ così”, si potrebbero scrivere davvero.
Attraverso la reverie di un fantomatico ideale originario di umano avventuroso che osa e esce fuori di casa e si sdivana, con Orgasmo Fettarappa sviluppa un’indagine ironica sulla domesticazione dell’umano, sulla saga dello spettro dell’”ammorbidente giusto” che ammoscia l’Ente, sulla “maladie casaniere”, tessendo un soliloquio esausto ed esilarante di un uomo di mezza età che si sfinisce tra cucina e divano e non ce la fa.
Mentre fuori gli orsi…».
Eliana Rotella con Lexicon
«Trascrizione di un discorso avvenuto, intercettato, esportato. Non concluso. Ricostruito. Le parti tra parentesi quadre possono essere dette o agite: sono tutto ciò che non si vede, tutto ciò che non viene detto. L’ordine dei frammenti può essere cambiato, i frammenti possono essere ripetuti. Chi parla può essere di qualunque genere, le desinenze possono essere cambiate.” Muovendosi in bilico tra Frammenti di un discorso amoroso e il Tractatus logico-philosopicus, con il suo originale Lexicon sentimentale Eliana Rotella crea un dispositivo originale in cui il fallimento della relazione tra due amanti si sdoppia in un’icastica grammatica dello scacco comunicativo».