Recensione. Al Teatro Vascello di Roma ha debuttato l’ultimo spettacolo di Roberto Latini, gioco teatrale che fa incontrare l’opera lirica Pagliacci di R. Leoncavallo con l’atto unico All’uscita di Luigi Pirandello. Lo spettacolo sarà in tournée a partire da novembre per arrivare a giugno al Teatro Dell’Elfo di Milano.
Una risata in falsetto, leggera, frivola e calda. Arriva da lontano e invita ad affacciarsi sulla soglia di un paesaggio rarefatto, dove una figura elegante si distingue nella penombra. L’orecchio si tende a cogliere, prima che riesca a farlo lo sguardo, lo sciabordio di passi sull’acqua. La prima immagine di Pagliacci all’uscita è una fugace suggestione: subito il sipario torna a nasconderla, eppure resterà negli occhi come un presagio, una promessa. Come da titolo, l’ultimo lavoro di Roberto Latini giustappone il libretto dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e il meno noto atto unico All’uscita di Luigi Pirandello. L’uno inizia dove finisce l’altro: appena al di là dell’esistenza. Alla morte violenta di Nedda e Silvio di Leoncavallo ci ritroviamo appena fuori dal cimitero pirandelliano, nel non luogo dove le anime dei defunti attendono di passare verso l’ignoto, di immergersi nell’abisso della morte. Tra i molteplici piani di lettura dell’operazione di Latini il più evidente è la volontà di innescare un gioco teatrale che rivendica sé stesso. I due intrecci, legati dal filo rosso della morte, non sono che l’occasione per attraversare la materia teatrale, esplorarne ancora una volta le possibilità con la complicità dell’alta tecnica attoriale e la malleabilità dei linguaggi scenici.
L’impianto scenografico è di per sé una dichiarazione inequivocabile di questa linea, evocazione di grande impatto e delicata efficacia di quel confine tra la vita e la morte, tra la platea e la scena su cui si muove Latini. Il palcoscenico è per metà pieno d’acqua: è qui che la vita entra in contatto con la morte, il destino è assorbito da chi lo attraversa, gradualmente e inavvertitamente nella prima parte, coscientemente e persino beffardamente nella seconda. La metà di fondo del palco cambierà forma decretando il passaggio da un atto all’altro, da una dimensione all’altra. Nella prima parte dello spettacolo, quella dedicata a Pagliacci, lo specchio d’acqua dal proscenio lambisce a metà palco una struttura rialzata, un lungo praticabile che ospita gli interpreti come fosse il baraccone messo su dagli artisti girovaghi dell’opera di Leoncavallo. Le piccole luci che cingono la pedana, a mo’ di circo, si riflettono tremule sul palco liquido, sotto la luce tenue di un tramonto silenzioso. La commedia tanto umana da diventar tragedia, che fin dal prologo mette in guardia il pubblico più che rassicurarlo, è smembrata e ricucita sulle labbra degli interpreti, esaltati dall’impianto corale nelle proprie variegate ma ugualmente elevate qualità interpretative. La Nedda di Elena Bucci è una vezzosa marionetta, ne ha la grazia costruita: i gomiti fluttuanti, la gonna svolazzante, rincorre il proprio destino nel nome di un desiderio che la solleva, come fa il vento con gli uccelli che stridono lassù. Ilaria Drago, fascio di muscoli energico e maschera asinina, è il prologo burlesco ma è anche Tonio, rozzo e animalesco Jago che non inventa niente ma ugualmente condanna a morte. Savino Paparella condensa tutti i colori del comico dell’arte, con la voce e il corpo esplora e anima il paesaggio di personaggi attorno al capocomico Canio, è lui a dirgli che è ora, lo spettacolo deve iniziare a dispetto della vita.
Il tragico epilogo è affidato alla sequenza più tipicamente latiniana dello spettacolo: il momento che corrisponde all’irrompere della realtà nella finzione, della vita nella sua rappresentazione, è qui trasfigurato in un assolo di Latini. L’impugnatura del suo bastone da frac coincide con un microfono, l’acqua lattiginosa in cui si muove piegato sulle ginocchia è percorsa da un’energia in crescendo, incalzata dal panorama sonoro di Gianluca Misiti ormai totalmente annodato all’impasto vocale di Latini, al montare ed evaporare del suo vibrare, all’intermittenza dei suoi respiri. Ma prima e dopo, puntello etereo, la presenza diafana di Marcello Sambati declama il celebre Vesti la giubba; sulle sue labbra, sul suo volto intenso e fuori dal tempo, nel suo gesto che si allunga ad afferrare un invisibile niente fuori dal confine del palcoscenico, la lapidaria battuta finale «la commedia è finita» diventa un trampolino: contiene insieme lo slancio verso l’ulteriore, l’ignoto, ma anche una leggera accettazione, la coscienza della fragile, precaria forza di quest’arte.
Così dall’altra parte della vita, All’uscita, il palco dei comici lascia il posto a tre vasche di vetro. Latini e Drago si scambiano le battute pirandelliane con indolenza, ormai del tutto immersi in quell’acqua bassa con la quale giocare, come se i grandi interrogativi sulla sostanza delle cose e sulla loro apparenza, su cosa sia la vita e a cosa assomigli la morte non contassero più di quel gioco: la parola si allunga e si contrae, non si cura della propria portata, semplicemente il destino si compie ancora una volta. La leggerezza di questo fluire stride con l’immanenza di quella condizione: per chi guarda è inevitabile sentire addosso il freddo e il peso di quell’acqua che impregna i vestiti, si infila nelle pieghe, riempie le scarpe, raggiunge la carne e inzuppa i capelli.
Quel ridere lontano che aveva aperto lo spettacolo torna a risuonare, presagio dello stesso anelante destino. Elena Bucci è ora la moglie dell’uomo grasso, anch’essa come Nedda uccisa ma dal proprio amante, anch’essa punita per aver desiderato la vita troppo ardentemente. Questo suo fuoco si spegne nel riverbero di un’ultima visione, lasciando il filosofo asinino solo con le proprie domande, mentre fluttuano i corpi immersi nelle vasche ed esposti come reliquie e il sipario si chiude come un sudario.
Lo spettacolo è una dichiarazione di fede nel teatro stesso, fiducia nella potenza di una visione che renda vita alla vita e morte alla morte, travalicando anche i possibili ostacoli intellettuali che un’operazione comunque complessa e impegnativa può porre al pubblico. In questa postura Latini pare muoversi sospinto tanto da un’originaria vocazione quanto da una certa disincantata nostalgia. Allora quel confine tra la vita e la morte non è che il territorio su cui si muove il teatro: ha i piedi nell’acqua da sempre, gioca col proprio destino beffardamente, sguazza nella sua stessa sorte incerta ma sempre rigorosamente con estrema disciplina, con grazia irrinunciabile.
Sabrina Fasanella
Visto al Teatro Vascello di Roma – Ottobre 2023
PAGLIACCI ALL’USCITA
da Leoncavallo a Pirandello
uno spettacolo di Roberto Latini
con Elena Bucci, Ilaria Drago, Roberto Latini, Savino Paparella, Marcello Sambati
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
costumi Rossana Gea Cavallo
produzione La Fabbrica dell’Attore – Compagnia Lombardi Tiezzi
con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro)
Prossime date tournée:
9-10 novembre Terni
11 novembre Arezzo
17 novembre Fucecchio
18 aprile Rosignano
19-20 aprile Firenze
3-4 giugno Milano