Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 23
Di fronte ai cancelli dell’ex zuccherificio di Foligno, c’è un capannello di una ventina di persone, con indosso i vestiti improvvisati per questa mezza stagione che mezza non è. Ci siamo ritrovati sul bordo di una piccola strada cementata che, come una striscia grigia che si impone nel verde, costeggia l’alveo del fiume Topino. È il primo pomeriggio dell’anno in cui l’aria somiglia, con vaghezza, a quella autunnale. Silvia Dezulian e Filippo Porro ci attendono, poco più avanti. Entrambi portano abbigliamento tecnico e, sulle spalle, una struttura cava (un po’ zaino, un po’ gerla, un po’ strana voliera) dalla quale pendono fotografie seppiate di montagne, piccoli attrezzi arrugginiti, cartine d’altri tempi. La soglia da oltrepassare, si suggerisce, potrebbe essere temporale, oltre che spaziale. I luoghi compaiono subito, ai primi passi, in forma acustica. Grazie all’impianto audio (gli zaini sono anche “sculture sonore”), l’avanzare dei due interpreti è ri-significato e al loro movimento sull’asfalto e sull’erba corrisponde lo scricchiolio, familiare e soppesato, dei passi sulla neve. La tecnologia è così semplice da lasciarsi dimenticare, ma l’infrazione tra segno visivo e sonoro evoca una profonda sensibilizzazione dell’atmosfera, un sentimento leggero, di straniamento, benevolo e piano ma perdurante. La partitura di gesti – danzanti, aerei ma anche “mimetici” (fino al “climbing orizzontale”, che chiede agli spettatori di farsi, sul selciato, prese di arrampicata) – si apre al rivelarsi della funzione materiale e del significato spirituale della presenza dell’altro: appiglio fisico, sodale, testimone, interprete dello stesso movimento, specchio, osservatore. Buzzati, grande amante della montagna, nel 1963 annotava dell’esistenza di un ulteriore, tutto umano, di una tensione amorosa, implicata al paesaggio, al nostro attraversarlo: «quanto meschina sarebbe, di fronte a un grande spettacolo della natura, la nostra esaltazione […] se riguardasse solo noi e non potesse espandersi verso un’altra creatura». Si tratta di una riconsiderazione dei luoghi, della vicinanza a essi e tra noi, costellata di soglie, di passaggi, di violazioni improvvise, di ruoli inaspettati che finiamo per assumere e dismettere entro l’incedere dell’altro. A fermarci è la pioggia. Come un torrente, finalmente inevitabile, si rovescia con violenza, prevaricando la nostra delicatezza, costringendoci a riparare in fretta, in qualche esile anfratto dell’anfiteatro nel parco fluviale. (Ilaria Rossini)
Visto a Umbria Factory Festival – Crediti: ideazione di Silvia Dezulian, Filippo Porro, Martina Dal Brollo, Gabriel Garcia; coreografia di Silvia Dezulian e Filippo Porro; con Silvia Dezulian e Filippo Porro; scultura sonora di Martina Dal Brollo; supporto tecnico e modello 3D di Gabriel Garcia; in collaborazione con il parco naturale Paneveggio Pale San Martino, Danza Urbana XL, Azione Network Anticorpi XL!.
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