Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 23
Secondo capitolo di una trilogia dedicata al Sudamerica, Beati voi che pensate al successo noi soli pensiamo alla morte e al sesso si apre con un prologo del regista Alessandro Di Murro. Staccandosi dalla compagnia già in scena all’ingresso del pubblico, prima di lasciare il palco spiega la genesi dello spettacolo avvisando dell’incertezza della sua riuscita. La riscoperta del poco noto autore argentino-italiano J. R. Wilcock ispira un gioco scenico che ha per cardine un grande divano gonfiabile: Di Murro lo presenta risalendone all’etimologia che lo accomuna tanto alla poesia quanto al confine. Tali premesse restano però in qualche modo inevase: come a dare all’operazione un’aura patinata che verrà poi smentita dal lavoro stesso. C’è nella cifra del Gruppo della Creta, dalla scrittura alla presenza scenica, un’ostentata distanza, un aplomb che indugia sull’equivoco tra una lucida alienazione generazionale e una supponente posa borghese. Già il lungo titolo del lavoro, evocazione de “l’angelo custode” Wilcock, contiene entrambe le letture: il progresso del verso originale diventa successo e la parola solo, che presumibilmente in origine è avverbio, diventa soli, aggettivo. Lo spettacolo si sviluppa in tre momenti. Il primo, col divano rivolto verso il fondo del palco, è un agonistico quanto indolente interrogarsi sulla morte. I quattro attori, mai personaggi (Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Mondo e Laura Pannia) si danno il cambio in un botta e risposta asettico e sempre più frenetico che non lascia spazio all’indugio della confessione. Il secondo momento è un altrettanto alienato gioco sulla scelta: il divano questa volta guarda il pubblico e i posti a sedere su di esso rappresentano il ruolo sociale (ormai obsolete e irraggiungibili eredità dei boomer) messo in palio da una speaker che incoraggia i concorrenti come in un luna park, ostentatamente finto. L’ultimo momento risolve una tensione in verità solo simulata nel più italiano dei modi, con un caffè, dei pasticcini e una chitarra, in un finale alla “volemose bene” ché tanto questo parlarsi addosso non è che un passatempo, un’inutile guerra tra miserabili, lucido e implacabile ritratto di una resa generazionale. (Sabrina Fasanella)
Visto al Teatro Biblioteca Quarticciolo. Drammaturgia di Tommaso Cardelli, Alessandro Di Murro e Tommaso Emiliani. Regia di Alessandro Di Murro. Musiche originali di Enea Chisci. con gli attori del Gruppo della Creta. Scene di Paola Castrignanò. Costumi Giulia Barcaroli. Assistente alla regia Ilaria Iuozzo. Organizzazione Bruna Sdao.
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