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Essere John Malkovich. Sul palco

Sul palco John Malkovich. E questo dovrebbe bastare. Ma con lui c’è Ingeborga Dapkunaite, per questo In the solitude of the cotton fields di Bernard-Marie Koltès con la regia Timofey Kulyabin. Uno spettacolo sul rapporto tra desiderio e realizzazione, tra volontà e possesso. Visto al Campania Teatro Festival 2023. Recensione

Foto Maris_Mork

Un uomo torna a casa. Si toglie la giacca, la camicia, i pantaloni; si spoglia stancamente dei suoi abiti da professionista. Raggiunge un luogo privato dove il velo apparente della propria sfera pubblica cade, scivola dalla pelle abbandonato a terra. Poi entra nella doccia e inizia a masturbarsi con violenza, la sua immagine appare in una proiezione, delle telecamere accese in chissà quale interno casalingo catturano l’intimità del gesto, la violazione del proprio corpo, la carezza che muta in ferita. Finché il telo della proiezione si alza, quella doccia è lì dietro una delle tante porte sul palco, quell’uomo è un altro uomo ma il suo gesto, la vessazione a cui rivolge il proprio agire, è il medesimo atto di privazione, di rinuncia. È questa la prima immagine del classico In the solitude of the cotton fields, testo di Bernard-Marie Koltès che Timofey Kulyabin ha portato sul palco del Teatro Politeama di Napoli, per il Campania Teatro Festival 2023, con due attori straordinari: Ingeborga Dapkunaite e John Malkovich.

Foto Gio Kardava

Il testo di Koltès, autore di opere capaci di far emergere la solitudine, i contrasti e la violenza nella relazione umana, è stato scritto nel 1985, a metà del decennio che forse più di tutti ha incarnato quel dissidio tra la società che si stava facendo sempre più individualista e l’individuo che, appunto, con crescente disagio riconosceva i propri propositi comunitari. Eppure, allo stesso tempo, era l’epoca in cui la liberalizzazione dei costumi degli anni precedenti aveva innescato un processo di strumentalizzazione del privato, ossia un concetto di libertà espressiva, ostentata, che rendeva forse ancora più oscuri i lati oscuri dell’intimità umana. Il testo è infatti un dialogo tra due figure, dice Koltès: il “venditore” e il “cliente”, tra di loro l’innesco inevitabile è la merce, ma di quale tipo di merce si parla? È qualcosa di nascosto, che non si può comprare o forse nemmeno desiderare, o meglio che non si ammette di desiderare, perché farlo sarebbe un colpo al giudizio morale della società e il proprio, in quanto di essa rappresentante; l’oggetto della transazione, ammesso che avvenga, tra i due, è dunque il segreto del non confessabile, la lussuria, la depravazione, senza che di esse vi sia un connotato evidente, ma tacitamente supponendo i canoni dell’epoca. Già, perché i personaggi sono due, maschi, in un periodo storico in cui l’omosessualità è ancora un tabù, in cui l’Aids (che ucciderà peraltro lo stesso Koltès) è vissuta come condanna per una condotta depravata, in cui dunque l’amore si confronta con la galera delle convenzioni.

Foto Maris_Mork

Quando appaiono in scena, magnifici, Dapkunaite e Malkovich si avverte immediatamente la natura conturbante del testo; la domanda silenziosa, taciuta, che accomuna i due sconosciuti mescola desiderio e repressione in una sequenza progressiva di immagini che la camera cattura, da più angolazioni, e all’istante riproduce con voyeuristica brama sullo schermo di fondale (cinque videomaker invieranno live le immagini in proiezione); la fluidità del dialogo fa emergere dapprima una precisa separazione tra i due personaggi, ma con l’andare del tempo la loro connessione ne confonde i tratti, finché ognuno scivola nell’altro, finisce per interpretarne i caratteri, sostituendone il ruolo. È lo stesso Koltès a suggerire questa ambivalenza: i personaggi non sono più tali, la confidente destrezza dell’uno finisce per innescare la voracità dell’altro, la merce sopravanza anche la loro funzione, il personaggio in fondo non è che uno solo, riflesso in uno specchio distorto che, tradendo la realtà, raggiunge la più nuda verità.

Foto Gio Kardava

Componente fondamentale, evidenziata già dal testo, è la cura geometrica che distingue la verticalità della proiezione, quindi un ingrandimento dell’azione, una ipertrofia del movimento scenico, dall’orizzontalità del duello, verbale e fisico, tra i due personaggi; la sequenza testuale, che via via fa vacillare il “cliente” animato da una crescente paura dell’altro (e di sé stesso?), è rappresentata attraverso l’apertura cadenzata delle porte che fanno da fondale, svelamento di dimensioni intime che rievocano elementi onirici significanti: cinture appese nell’armadio come di un’impiccagione o di una detenzione, una lavagna con un disegno infantile, neve che cade su una costruzione a mattoncini.

Una volta ancora, di fronte a uno spettacolo come quello di Kulyabin, si avverte la grandiosità di un teatro che mira all’essenza dell’umano, volutamente provocatorio e animato dall’intenzione di ribaltare l’assoluto di verità predefinite. La pulsione sessuale è un incubo per il personaggio in lotta con sé stesso, perché mette in contatto con un’umanità recondita, da accettare oppure rifiutare; la legge lo punisce e lui combatte perché non si manifesti. Ma cosa succede se l’indicibile si dice? Cosa succede se lo scontro scava un abisso incolmabile? La merce di scambio della pulsione, del desiderio irrefrenabile, non è che l’emarginazione, la perdita di controllo sul proprio ruolo in società, la sconfitta del possesso, il crollo apparente del proprio potere.

Simone Nebbia

Campania Teatro Festival, Napoli – Luglio 2023

IN THE SOLITUDE OF COTTON FIELDS
Di Bernard-Marie Koltès
Con Ingeborga Dapkunaite E John Malkovich
Regia Timofey Kulyabin
Dramaturg Roman Dolzhansky
Coprodotto Da Dailes Theatre Latvia E Ekaterina Yakimova
Scene E Costumi Oleg Golovko
Video Designer Alexander Lobanov
Sound Designer Timofei Pastukhov
Disegno Luci Oskars Paulins
Coreografia Anna Abalikhina
Produzione Video Anastasia Zhuravleva
Direttore Della Fotografia Vladimir Burtsev
Produttore Esecutivo E Direttore Amministrativo Irina Paradnaya
Produttore Esecutivo Yara Ziva-Chernova
Assistente Di Produzione Elias Kuznetsov
Direttore Di Produzione Siarhei Rylko
Tecnico Suono Filippos Karetsos
Tecnico Luci Alexandros Ioannis Hill
Media Server Operator Anton Rodionov
Video Production Operator Andrei Mytnik
Operatori Video Frol Podlesnyi, Aliaksander Razuvalau, Pavel Minarskii
Direttore Di Scena Kseniia Vinichenko
Tour Management Flow Projects E Bormio
Con Il Sostegno Di Blavatnik Family Foundation

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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