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Da Weimar danze, guerre e rivoluzioni

Reportage. Per il terzo anno siamo stati a Weimar in occasione del Kunstfest, festival trentennale delle arti contemporanee diretto da Rolf C. Hemke. L’edizione 2023 rinnova la volontà della rassegna di guardare al futuro celebrando il passato, con sguardo aperto alla diversità e alla multidisciplinarietà e sempre in profonda connessione con il pubblico. 

Tra gli eleganti vicoli di Weimar non è raro incontrare il baluginio dorato del Ginkgo Biloba, uno degli alberi più antichi al mondo. Fossile vivente di origine orientale, ha una storia di migrazione e resistenza: non cresce più spontaneamente in natura tranne che in una remota valle cinese, eppure l’uomo ne ha fatto viaggiare i semi in tutto il mondo per le sue peculiari caratteristiche: ha proprietà curative e può sopravvivere in condizioni estreme, com’è successo a Hiroshima e Nagasaki. Basterebbe questo per intravedere in questa pianta un suggestivo rimando al potere dell’arte di sublimare la realtà e restituire ossigeno e nutrimento. A consacrare il ginkgo alla città di Weimar sono i versi sublimi di Goethe: in quello stelo da cui crescono due foglie in una, il poeta intravede la verità della propria natura, il proprio essere uno e doppio. Come la parola arte nella lingua tedesca: kunst viene da kennen, conoscere, e können, saper fare: lo scarto di una lettera, una dieresi, e il pensiero incontra fragorosamente la realtà. Questa immagine, unita alla fiducia nella stessa, è palpabile quando si attraversa il Kunstfest, da trentatré anni appuntamento dedicato all’esplorazione del presente, della diversità e della memoria attraverso le arti, in uno dei luoghi più carichi di cultura della Germania dell’est. Diretto da cinque anni da Rolf C. Hemke, drammaturgo e volitivo organizzatore, è un evento dalla portata notevole che spazia dalla musica alla letteratura, dalla danza alla performance, dall’arte visiva all’opera, andando incontro al pubblico più variegato.

Gli spettatori del Deutsche Nationaltheater durante la serata finale del Kunstfest

L’edizione 2023, terza esperienza per teatroecritica, ha come slogan Erinnern schafft Zukunft, il ricordo crea il futuro. Il festival sembra andare incontro alla città, abitarla nei suoi luoghi e nelle sue abitudini, lungo i vicoli illuminati da una luce tenue, pieni di api e di stelle. Molti degli appuntamenti si tengono in quel salotto all’aperto che è la Theaterplatz, davanti al teatro nazionale e sotto lo sguardo bronzeo di Goethe e Schiller, mentre seduti su sdraio da spiaggia si chiacchiera, si beve, ci si gode le temperature ancora tiepide di inizio settembre e si ascoltano musica e storie provenienti da epoche, luoghi ed esperienze variegati.

Il transitare tra memoria e futuro, strettamente legati anche nell’edizione precedente del festival, è il cardine del lavoro di Amir Reza Koohestani (a ottobre a Milano con un altro spettacolo), in scena nello spazio postindustriale E-werk, appena fuori dal centro. Dantons Tod Reloaded è una riscrittura de La morte di Danton di Georg Büchner firmata dal regista iraniano e dalla drammaturga e attrice Mahin Sadri, presente nello spettacolo in video. Questo dramma metateatrale sovrappone efficacemente molteplici linee poetiche, politiche e temporali: nella Parigi contemporanea degli scioperi contro la riforma delle pensioni, gli attori di una compagnia internazionale si ritrovano in camerino in attesa di un debutto che, proprio a causa delle proteste in atto, non avverrà.

Dantons Tod Reloaded, ph Krafft Angerer

La vicenda che avrebbe dovuto andare in scena è proprio quella di Danton e Robespierre al tramonto della rivoluzione francese, nel momento cioè in cui i due, un tempo alleati, si scontrano davanti alla necessità di fare concrete le parole della democrazia. Così dietro le quinte e durante le prove le voci dei personaggi si confondono con quelle degli attori, sul filo di un dialogo serratissimo in cui la parola contemporanea scivola inavvertitamente nel linguaggio poetico di Büchner e viceversa. La pièce tratteggia con raffinata tridimensionalità il panorama di un Occidente ancora bloccato a un passo dal realizzare i propri sogni di giustizia, nel delirio di una costante rivoluzione che contiene in sé il germe reazionario dell’apatia e dell’ipocrisia. Sull’eroe Danton (Stefan Stern) pesano i sospetti di aver molestato l’aiuto regista, e mentre dall’Iran giunge l’eco della rivoluzione femminista contro la polizia morale (il riferimento è alle proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini), a Parigi – ieri? oggi? – Robespierre (Oliver Mallison) cupamente proclama che «l’arma della Repubblica è il Terrore e la forza della Repubblica è la virtù».

Dantons Tod Reloaded ph Krafft Angerer

I cinque personaggi (insieme a Stern e Mallison, Pauline Rénevier, Toini Ruhnke, Neda Rahmanian) si muovono in uno spazio essenziale che è ora teatro, ora camerino, ora spazio mentale della coscienza. La regia pulita e netta usa la luce proveniente principalmente da tagli laterali per disegnare le ondeggianti temperature emotive, l’andirivieni e il sovrapporsi tra realtà e finzione scenica, mentre sei specchi-schermi, spostati ad arte dagli attori, contribuiscono a sdoppiare e trasformare personaggi, idee ed emozioni, smascherandone miserie e gloria, finché il peso della ghigliottina – o della Storia – rimetterà tutti sulla stessa linea, lasciando Lucile (Neda Rahmanian) sola con l’incredulità del dolore: sua sorella, attivista per i diritti delle donne in Iran, è stata uccisa. Alla fine della pièce, come all’inizio, la platea si ritrova ad affollare il palcoscenico riflessa in quegli specchi, unita nello stesso stato d’animo, raggelato e commosso.
 

“Runthrough IV” Cocoondance Company Ph Thomas Müller

Di altro segno è l’energia che si propaga dal palcoscenico del Deutsche Nationaltheater, dove sotto due file di luci neon si raggruppano i danzatori della Cocoondance Company diretta dalla coreografa svizzera Rafaële Giovanola. Runthrough IV è la quarta versione di un lavoro nato dagli incontri che la compagnia continua a organizzare con esperti di movimento che provengono da molteplici ambiti non coreutici. Da queste sessioni di lavoro e di scambio di pratiche deriva uno studio del corpo e dei suoi linguaggi che porta sulla scena un movimento parcellizzato, sintetizzato, scomposto nelle sue minime componenti. Gli otto danzatori, con le suggestioni sonore elettroniche ossessive e suggestive di Franco Mento, abitano lo spazio come contagiati da un’unica serpeggiante elettricità. Quest’energia li attraversa scatenando pulsioni differenti in ognuno dei loro corpi, che pure restano uniti, solidali e saldi al pavimento. Nelle variazioni figurative che si succedono si intravedono le influenze, gli incontri che la compagnia ha fatto con corpi prevalentemente sportivi, ma subito il gesto del boxer trasla in slancio, l’incedere del runner si colora di un senso nuovo e il mutamento avviene grazie all’incontro con l’altro, in grumo blu di elettroni che continuamente cedono e acquistano energia preservando ognuno la propria specifica sostanza.

Existenz – ph Ann-marie Schwanke

Riconoscersi nell’altro, per quanto distante, per quanto diverso. Riconoscersi nella comune capacità di soffirire e di gioire. Probabilmente non è un caso che l’ultimo lavoro teatrale del festival sia Existenz, testo potente della giovane drammaturga siriana Wihad Suleimain che ha debuttato lo scorso luglio al Campania Teatro Festival con la regia di Lydia Ziemke (Simone Nebbia ne aveva scritto per il numero di luglio di Cordelia). La replica tedesca offre allo spettatore l’esperienza dell’ascolto di due lingue tanto distanti quanto inspiegabilmente consonanti, il tedesco e l’arabo. La pièce è infatti presentata in doppia lingua e in questa collaborazione tra i suoni, resa vivida dall’ascolto in cuffia, emerge con potenza l’orizzonte comune che Suleiman racconta: quello di un’umanità dilaniata dall’incomprensibile orrore della guerra, dei suoi infiniti risvolti materiali e psicologici. La regia di Lydia Ziemke accumula segni e simboli; la generosa interpretazione di Amal Omran, Mohamad Al Rashi, Alois Reinhardt e Corinne Jaber, pur in un allestimento violento e amaro, restituisce un respiro di speranza: l’arte rende possibile quell’impossibile comprendersi, tendersi la mano e restituire un significato all’esistere.

Il ricordo crea futuro solo se abbiamo memoria della nostra umanità, contraddittoria e per questo capace di contenere il suo opposto, di averne rispetto e pietà. Scrive Goethe della foglia dorata del Ginkgo: «E’ una sola cosa viva / che in se stessa si è divisa? / O son due, che scelto hanno, / si conoscan come una? / In risposta a tal domanda / trovai forse il giusto senso. / Non avverti nei miei canti / ch’io son uno e doppio insieme?».

Sabrina Fasanella

Kunstfest, Weimar – settembre 2023

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