| Cordelia | settembre 2023
Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.
Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo.
#RAVENNA - AMMUTINAMENTI FESTIVAL
CARONTE (Camilla Montesi)
Ritrovo alla Vetrina di Ravenna anche la performance dedicata alla figura di Caronte di Camilla Montesi, con le musiche di Michele Uccheddu, vista a suo tempo al debutto di Santarcangelo, qui ora in uno spazio più ampio e francamente più adatto alle esigenze cinetiche di questa bravissima giovane interprete. Caronte è figura di transizione, di traversata, di guardianía, e nel corpo di Montesi diventa accettazione anche ironica di ciò che in tale congiunzione resta invisibile: l’esperienza di panico e della paura. Certo, sul personaggio grava soprattutto la memoria virgiliana e poi dantesca, ma qui nulla sembra ammiccare al tetro sfondo del viaggio ultraterreno, premessa letale del suo incontro. In scena, due soli oggetti essenziali: una piccola piscina gonfiabile (declassamento della “zattera di color ferrigno”?), e un casco nero da motociclista (utile riparo alle mazzate della vita? rifugio dallo sguardo malevolo dell’altro?). Ma il trapasso e il pericolo qui sono mere didascalie per pensare il confine (Anzaldúa diceva che ogni confine è creato dal residuo emotivo di un limite innaturale). Si tratta di un intenso assolo di danza pensato per impugnare ingiunzioni e imposizioni non richieste: Caronte, forza apparentemente ultimativa, si fa allora guida per una differente conoscenza del corpo e della mente. La sofferenza della perdita, forse; la natura di ogni passaggio, che comporti però dolore. Sorprende infatti il preciso disegno spaziale e la pregevole qualità di movimento di Montesi, che sembrano tenere perfettamente a bada ogni cedimento, ogni minaccia. Così come la gestualità precisa e dinamica combinata allo humor e contaminata da mille evocazioni, in grado di tradursi in visione poetica fondata sullo spazio-ombra di un confine. Resta anche l’aggancio virtuoso, in apertura della presentazione scritta, con una citazione da Sartre: «I diavoli sono gli uomini che guardano e il loro forcone lo sguardo». Esortazione o monito poco importa: occorre farla finita con il giudizio, e Caronte resterà senza lavoro. Stefano Tomassini.
Visto a Ammutinamenti Festival, Ravenna 2023. Credits: coreografia e interpretazione Camilla Montesi, musica Michele Uccheddu, disegno luci Alessia Cimarelli, coproduzione Santarcangelo Festival, con il sostegno di Scenario Pubblico_Compagnia Zappalà Danza.
LINGUA (Chiara Ameglio)
Alla Vetrina della giovane danza organizzata dal Festival Ammutinamenti di Ravenna, ho intercettato una bellissima performance di Chiara Ameglio, dal titolo Lingua, che mantiene (e rivela) molto più di quanto promette. È un lavoro che indaga nuove condizioni per una performance condivisa col pubblico, attraverso una forte prossimità fisica. E insieme mostra tutto il potenziale erotico di un consenso portato al limite, che investe direttamente il rischio dell’esperienza. La danzatrice, in uno spazio bellissimo, il salone di Palazzo Rasponi dalle Teste (Nomen omen), compare alle spalle del pubblico, si intrufola fra di esso e con un pennarello chiede di essere segnata e tracciata sulla superficie del suo corpo, secondo una volontà condivisa ma negoziata lì per lì, sul momento. Questi tracciamenti producono una performance composta di «eco di micromovimenti», che lei raccoglie e amplifica dall’azione di inscrizione sulla sua pelle, in seriali atti performativi che sono appunto “una nuova lingua”. E qui sta il bello: da una parte, il pubblico interviene sul suo corpo (quasi sempre sulla parte di corpo che la danzatrice pone in prossimità dello spettatore/scrittore, per vincerne resistenze e pudori) tracciando esclusivamente linee continue, mostrando un’attenzione al corpo dell’altro prevalentemente di natura spaziale, mai ritmica (nessun puntinare, né picchiettìo o ticchettìo nelle tracce, che avrebbe comunque prodotto la trasmissione di una cadenza, di un battito). Dall’altra, nella muta consegna della propria pelle come spazio di scrittura al pubblico, la parte anatomica più perturbante risulta essere la testa, il volto. Forse perché qui la prossimità con lo sguardo della performer è quella più alta, gli occhi sono il piano più ingiuntivo del vivente, e le condizioni di un consenso oltre il limite sono ora continuamente arginate, quando non bloccate, dal volto della performer, mentre già si prefigura, qui senza sviluppo alcuno, un successivo possibile incontro con l’opacità. Stefano Tomassini.
Visto a Ammutinamenti Festival, Ravenna 2023. Credits: di e con Chiara Ameglio, in collaborazione con Santi Crispo, musiche Keeping Faka, produzione Fattoria Vittadini | Festival Danza In rete. Creazione nata dal progetto Terrestri del Centro di Produzione La Piccionaia di Vicenza
#ROMA - SHORT THEATRE 2023
ECHOLALIAS + IL TERZO REICH (Sofia Jernberg, Romeo Castelucci)
Tra il pubblico qualcuno ammette di non essere mai stato in questo luogo, il Teatro Nazionale, l’entrata è proprio all’angolo tra via del Viminale e via De Pretis; è la Roma turistica ma anche la Roma del potere. E d’altronde siamo qui per “una diade sul linguaggio e il suo potere”, così la curatela di Piersandra Di Matteo ha immaginato di ancorare l’installazione di Romeo Castellucci, Terzo Reich alla performance vocale di Sofia Jernberg, Echolalias, the Amnesia of Forgotten Sounds. La ricerca vocale e canora dell’artista svedese (ed etiope di nascita) mette in dialogo e in contrapposizione mondi sonori apparentemente lontani. Sussurri, rumori, fischi e un campionario di effetti con cui viene intessuta una stratificazione sonora terrena, animalesca e fisica in contrapposizione all’edificio vocale dolcemente melodico della tradizione italiana: dal barocco di O leggiadri Occhi Belli (anonimo seicentesco) e di Che si può fare (1664 Barbara Strozzi) a un frammento della Tosca di Puccini; con una parentesi sulla storia dell’Etiopia in cui Jernberg canta Adwa, di Ejigayehu Shibabaw, suggestiva canzone tributo alla storica battaglia. Basterà un buio e una luce che illuminerà una frazione di spina dorsale appoggiata sul palcoscenico per dare il via a Terzo Reich, la prima parola che appare sullo sfondo è come un colpo di pistola, ci sorprende e quasi spaventa. “Cosa”, “osso”, “legge”… i vocaboli inizialmente si percepiscono con una certa facilità, poi bisognerà intraprendere una lotta con la dittatura di questa macchina in grado di mitragliare decine e decine di termini al secondo. Il Terzo Reich di Castellucci è il fiume di parole in cui siamo costretti a vivere, un mare di segni senza discorso. Qualcuno si ribella ed esce, altri non riescono a staccare lo sguardo da questo flusso ipnotico, chi si abbandona e chi cerca di strappare di tanto in tanto il significato ai significanti, ma è sempre più difficile, le forme predominano: i sostantivi (tutti quelli presenti nel vocabolario italiano) si combinano, ora, per lunghezza. Prima della chiusura la macchina rallenta lasciando esplodere lentamente cinque vocaboli in grado di comporre interrogativi di un misticismo a tratti biblico: "concezione", “abisso”, “vittima, “frutto”, “orizzonte”. (Andrea Pocosgnich)
Visto a La Pelanda, Short theatre 2023. Credits: foto Claudia Pajewski, Qui il link ai crediti di entrambi gli spettacoli
HAVE A SAFE TRAVEL (Eli Mathieu-Bustos)
Il finale è una fotografia muta, Eli Mathieu-Bustos guarda verso la platea. Passano interi minuti, lunghissimi e nulla accade se non quello sguardo; qualcuno mi suggerisce sottovoce che non può esserci un buio, una fine, perché questa è la realtà delle cose, del vivere quotidiano. Mathieu-Bustos è un artista giovanissimo - come molte delle scoperte internazionali di Short Theatre quest’anno - nato nel 1998 si è formato tra la Francia e Bruxelles, in questo lavoro inserisce all’interno di una coreografia fisica precisa e tagliente una narrazione tanto semplice quanto potente. Il racconto è un fatto realmente accaduto durante un viaggio in treno dal Belgio alla Svizzera. Un poliziotto entra nel vagone del giovane e comincia a interrogarlo e perquisirlo con con insolito zelo e malcelata pressione. Eli Mathieu-Busto racconta, con pochissimi gesti, soprattutto del volto, mostrando la propria nudità di cui non nasconde i tratti fisici femminili, perché quella nudità evidentemente è l’emblema di un corpo esposto alla violenza verbale e psicologica delle forze dell’ordine, un corpo razzializzato e indifeso. Chi sei? Cosa fai? Sono un danzatore. Il racconto si ferma solo per dare spazio alla partitura fisica, da quanto si legge derivata proprio da un'improvvisazione in grado di trasformare la violenza subita in scrittura fisica: senza musica gli arti tagliano lo spazio con una forza quasi da arti marziali. Basta sfogliare questo report di Fair Trials per rendersi conto della situazione europea circa razzismo e forze dell’ordine. Se in Francia nel 2022 una persona percepita come musulmana, magrebina o nera aveva 20 volte in più la possibilità di essere fermata la perquisizione raccontata dall’artista non stupisce (ma tocca e rattrista lo spettatore attento), racconta un dato reale e inquietante come d’altronde è inquietante l’ironia sinistra contenuta nella frase con cui il poliziotto saluta il viaggiatore, quel “Have a Safe Travel” che dà il titolo alla performance. (Andrea Pocosgnich)
Visto a La Pelanda, Short theatre 2023. Credits: coreografia, drammaturgia, interpretazione, concept Eli Mathieu-Bustos produzione esecutiva Anaku lighting design Maureen Béguin sound design Loucka Fiagan con il supporto di Wipcoop/ Mestizo Arts Platform, Kvs, La Bellone, Be My Guest – International Network for emerging practices, Kaaitheater, La Balsamine, Desingel, Atelier 210, Anaku, Buda for the feminist futures festival, Belluard Bollwerk festival, Short Theatre festival. Foto Claudia Pajewski
IN A CORNER THE SKY SURRENDERS… (di Robyn Orlin, con Nadia Beugré)
C’è da riflettere su ciò che dicono alcuni sguardi che con attenzione considerano la scena di oggi, soprattutto quella proposta da luoghi come Short Theatre, Santarcangelo o Centrale Fies: stiamo forse assistendo a una lenta mutazione dell’accezione del termine “performativo”. Se oggi l'evoluzione narrativa sembra procedere per emersioni e spostamenti di densità, vedere un lavoro come In a Corner the Sky Surrenders della sudafricana Robyn Orlin ci ricorda che prima c’è stato un tempo in cui la drammaturgia del corpo aveva ancora il compito di svelarsi suddividendo il discorso delle immagini in blocchi semantici ben definiti. Con l’aggiunta di un secondo titolo – Unplugging Archival Journeys (for Nadia) – il solo che nel 1994 aveva consacrato la “danza arrabbiata” di Orlin si rianima nel 2022 per la coreografa e performer ivoriana Nadia Beugré. Ella contribuisce a rideclinare, aggiornandola al presente post-pandemico, quella lacerante meditazione sullo sradicamento e sulla solitudine. L’intera performance è agita usando come struttura modulare un grande scatolone da imballaggio che – squadernato, ricomposto ed eretto, quadro dopo quadro, su tutti e sei i lati – definisce ora uno spazio claustrofobico, ora un respiro di cielo, ora un palco per squallidi spettacoli di un effimero varietà. In un divertito dialogo con due altre figure, dietro a rispettive consolle ai lati del palco, e con una spettatrice invitata a eseguire un intimo massaggio, la performance è illuminata solo da una piccola ribalta di luci a led. La danza conduce un costante e divertito riesame critico delle posture, come nel tentativo di governare lo sguardo altrui mentre il discorso sulle «strategie di adattamento» sfocia in un rito propiziatorio alla libertà personale, consegnato come simbolico carico a un trenino elettrico incastrato in un binario circolare. Il corpo di Nadia Beugré è esplosivo, acuto nell’espressività e profondamente sensuale, dissacrante e irresistibile la sua danza che, mescolando tratti popolari ad accenti estremamente contemporanei, critica e demolisce ogni approccio esotista e coloniale. (Sergio Lo Gatto)
Visto a La Pelanda, Short theatre 2023. Credits:Un progetto di Robyn Orlin, creato nel 1994 e rianimato nel 2022 performer Nadia Beugrécostumi Birgit Neppl ricostruzione del set Annie Tolleter direzione tecnica Beatriz Kaysel Velasco e Cruz musica e sound Cedrik Fermont
MINING STORIES (di Silke Huysmans e Hannes Dereere)
La diffusione mediatica di un fatto di cronaca ha un impatto rilevante sull’opinione pubblica, determina la presa d’atto della comunità cui si riferisce (secondo gli effetti: locale, nazionale, umana) attraverso la discussione del fatto in sé e, contestualmente, le testimonianze ad avvalorarne importanza e veridicità. Se se ne tracciasse un grafico, si vedrebbe al momento della notizia il picco più alto, con un contraltare in basso nello spazio del prima, quando cioè un fatto può essere prevedibile, e del dopo, quando c’è da valutare più lucidamente gli effetti. Proprio in questo settore si situa il lavoro Mining Stories di Silke Huysmans e Hannes Dereere, presentato in apertura di Short Theatre 2023, primo capitolo (2016) di una trilogia sullo sfruttamento del sottosuolo. Storie dell’estrazione o, all'opposto, Estrarre storie, la traduzione. Ma il risultato non muta. Infatti il lavoro si compone di una raccolta di storie che riguardano una storia originaria: il crollo di una diga in Brasile, a pochi passi dalla casa natale di Huysmans, il 5 novembre 2015. La dimensione autobiografica, che non emerge nei racconti, sarà tuttavia determinante per leggere, dopo, la qualità delle testimonianze. Huysmans è sola in scena, in alto alle sue spalle una serie di schermi in fila, recanti ognuno il nome di chi parlerà in quel riquadro; di fronte a lei una pedaliera che azionerà le voci, prima di singole opinioni, poi via via in una intersezione di frammenti che su una base musicale compongono, come un rap, un racconto collettivo, una partitura di voci mescolate. La voce, appunto, della comunità. C’è chi dopo la tragedia e i molti morti non vuole più l’estrazione nella regione di Minas Gerais, c’è chi in contrario ricorda che senza di essa la regione muore, perché rappresenta il 90% del PIL regionale. In un tempo di dibattito ambientale, con questo lavoro sul rapporto tra catastrofe e capitalismo Huysmans e Dereere riflettono sull’esercizio di memoria e sull’identità, individuale o globale, focalizzando la loro indagine sull’impatto universale del rapporto tra causa ed effetto: si scrive diga, si legga mondo. (Simone Nebbia)
Visto a La Pelanda, Short theatre 2023. Credits: Creato da Silke Huysmans, Hannes Dereere performance Silke Huysmans consulenza drammaturgica Dries Douibi supporto tecnico Christoph Donse scenografia Frédéric Aelterman, Luc Cools
BOLERO DE BIENVENIDA (di Lorena Stadelmann)
Rosse sono le stoffe, i vestiti e le maschere che compongono un piccolo fondale, rossa è la maglietta T-shirt sopra il pantaloncino azzurro, come rosso è un drappo con il quale è segnata la scacchiera sul pavimento, Lorena Stadelmann ha chiuso gli appuntamenti performativi della prima serata di Short Theatre 2023 alla Pelanda lasciando il testimone al duo di dj italo-peruviani, La Diferencia, che avrebbero chiuso, in questo modo, un piccolo percorso sull’America Latina, cominciato con il Brasile raccontato da Silke Huysmans e Hannes Dereere.
Stadelmann si prende quella striscia di spazio di fronte alla scena, è il suo luogo, stretta tra le due colonne che sostengono i soffitti dell’ex mattatoio, in questa sorta di proscenio post industriale comincia una performance in cui vengono convocati canti, accenni di danza, arti visive. Ma il primo atto è quello di una voce, che però non ha nulla a che vedere con la performance canora dedicata all’intrattenimento, Bolero de Bienvenida viene, a ragione, presentato come il rito di una performer sciamana. Il centro è la ricerca vocale che l’artista ventottenne svizzero-guatemalteca sta intraprendendo, nel 2021 era uscito il primo album, Síndrome Premenstrual, del suo progetto musicale Baby Volcano (con cui andrà in scena alla Pelanda il 9 settembre). In Bolero de Bienvenida la voce però viaggia su canali di sperimentalismo puro: sorretta da un talento cristallino Stadelmann vocalizza suoni piccolissimi che lentamente si trasformano diventando sessioni ritmiche quasi da rap. L’eclettismo performativo di questa giovane e carismatica artista è evidente anche nell’approccio scenografico; è autrice dei costumi, dei filati e delle maschere (che compaiono anche in alcuni dei video musicali). E poi quel reticolato proiettato sulle pareti che quasi trasforma lo spazio in una caverna aliena mentre quella voce, composta da mille voci, rumori e risuonatori che rimbalzano dai muscoli agli sguardi ipnotici, diventa una nenia soffiata in piccoli megafoni. (Andrea Pocosgnich)
Visto a La Pelanda, Short theatre 2023. Credits: regia, performance, allestimenti, costumi, sound design Lorena Stadelmann aka Baby Volcano lighting design Justine Bouillet sound engineering Stéphane Murugan drammaturgia Adina Secretan accompagnamento artistico L’Abri-Genève