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Cherkaoui e De Keersmaeker. La danza celebrativa e la danza del dissenso

UKIYO-E diretto da Sidi Larbi Cherkaoui e Exit above – After the tempest di Anne Teresa De Keersmaeker danno inizio alla trentottesima edizione di Romaeuropa Festival in programma dallo scorso 6 settembre al 19 novembre. Recensione.

Foto di Gregory Batardon

Lo si percepisce nella città, che si veste con la colorata campagna di comunicazione, nei saluti imprevisti delle persone che si incontrano casualmente in biglietteria, nell’accoglienza del pubblico che è ormai una costante, dimostrata non solo da quello di settore; l’attesa per gli eventi del Romaeuropa Festival, per la programmazione trasversale multi e inter disciplinare, si rinvigorisce edizione dopo edizione. Come detto in altre occasioni, ad oggi una simile proposta nella Capitale non ha eguali, per varietà e risonanza, un’opulenza culturale che probabilmente appare totalizzante ma che invece deve essere raffrontata con il lavoro, meno imponente ma erosivo, di altre medie e piccole realtà che in questi stessi giorni aprono la stagione romana. A guardare il cartellone, si è sollecitati da più di una proposta, non è un caso che sul sito è possibile crearsi una propria wishlist, affinché ci si possa fare un’idea di cosa si voglia vedere, e quindi quanto si voglia spendere. A guardare ancora più approfonditamente il programma, risulta subito innegabile che i nomi di alcuni artisti si ripetono da anni, specialmente quelli di maggior richiamo, e soprattutto afferenti alla danza (Cherkaoui, De Keersmaeker, Akram Khan, Papadopoulos) come se non ce ne fossero altri dello stesso livello o in grado di presentare nuove poetiche. Sono ospiti fissi internazionali del festival diretto da Fabrizio Grifasi: se una compagnia / ensemble / artista ha in serbo una nuova produzione, se la tournée arriva in Italia, è una garanzia vederli in programma a Romaeuropa in questo periodo.

Foto di Gregory Batardon

Inoltre, il lavoro svolto dallo staff della fondazione durante tutto l’anno continua ad offrire davvero il meglio, inteso come giudizio che prescinde da categorie estetiche di bello e brutto ma piuttosto si riferisce al meglio di una proposta spettacolare che sa unire gusti differenti all’intrattenimento, senza privarsi tuttavia della sperimentazione. A volte ci chiediamo però se questo impegno e garanzia meritevoli non siano invece sinonimo di convenienza, alla ricerca del facile consenso; un’abitudine in virtù della quale la scelta di personalità meno conosciute, meno attese, meno “glamour” potrebbe risultare rischiosa per la direzione. Ciononostante, con convinzione, crediamo che pur nello sbaglio, addirittura nella caduta di stile, Romaeuropa Festival non deluderebbe.

Foto di Gregory Batardon

L’opening night della trentottesima edizione, avvenuta circa una settimana fa, con UKIYO-E diretto da Sidi Larbi Cherkaoui ha mandato in visibilio la cavea dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone per i danzatori e danzatrici del Ballet du Grand Théâtre de Genève di cui Cherkaoui è da poco alla guida della direzione. Il gioco prospettico della scenografia ha meravigliato il pubblico alla prima: lo scenografo Alexander Dodge ha immaginato delle scale che trasformandosi continuamente sembrano ricordare il tema della compenetrazione di due mondi caro al grafico e incisore Maurits Cornelis Escher, quel «posizionarsi tra l’alto e il basso», come affermato dal coreografo belga nelle note di regia, che rende tangibile il significato di queste «geografie fluttuanti». La scrittura coreografica è appunto la rappresentazione idealizzata del mondo che abitiamo composto da un lato dalla gioia di altezze leggere, sognanti, aeree, morbide e sinuose, e dall’altro dal dolore rigido, e irregimentato, della subordinazione, della sofferenza. Un percorso che avvolge lo spettatore in una visione esotizzante e estetizzante, in cui il calore delle luci (Dominique Drillot) e la tessitura sonora permettono di ripercorrere un viaggio anche musicale, in cui i suoni del compositore polacco Szymon Brzóska, si fondono a quelli degli elementi naturali composti da Alexandre Dai Castaing e alla tradizione giapponese del taiko eseguito da Shogo Yoshii. Questo dualismo – che dall’unione di piani geografici si raccorda a livelli più intimi e psicologici, unendo proprio l’universo fisico a quello psichico – dovrebbe essere incarnato dalle parole della poesia Hold your own di Kae Tempest tratta da The Book of Traps & Lessons. “Dovrebbe” perché la pienezza del testo di Tempest si disperde in un inserimento drammaturgico raffazzonato, non organico alla scena, tanto da rendere la danzatrice che recita i versi una presenza meccanica in una dimensione armonica, quasi a scontrarsi con il contesto, incapace di accoglierne la pensosità. Incantevoli i costumi (Yuima Nagazato), anche loro mutano a seconda della narrazione: neri, quasi delle armature, quando c’è luce, e screziati di colori iridescenti quando la caduta diventa un inciampo a cui abbandonarsi, per rialzarsi, e definitivamente spogliarsi di ogni veste restando nudi, coi segni rossi del sacrificio sui corpi.

Foto di Anne Van Aerschot

Di ben altro genere – a essere sinceri decisamente meno calligrafico e celebrativo e ridondante del precedente – è Exit above – After the tempest di Anne Teresa De Keersmaeker che, dopo Drumming, persegue insieme alla sua compagnia Rosas l’indagine sulla musica. Questa volta, dopo un prologo forgiato da una atmosfera sospesa e “soffiata” dal vortice di un enorme ventilatore che fa volteggiare un telo sulle teste immobili, quasi fossero un plotone, dei giovani danzatori e danzatrici, la coreografa decide di camminare, letteralmente, nella musica blues, elettronica, pop, facendosi accompagnare da tre guide: Meskerem Mees, cantautrice fiamminga di origine etiopi, sul palco insieme al chitarrista blues Carlos Garbin, e poi Jean-Marie Aerts, sound designer del gruppo rock belga degli anni Ottanta, TIC Matic. «I vecchi artisti blues suonavano senza amplificatore, scandivano il ritmo, battendo i piedi sul legno del palco. E cantavano e suonavano ad alta voce – urlavano – in modo tale che il pubblico potesse sentirli, nonostante il suono dei passi di danza» racconta Anne Teresa nelle note di regia per spiegare al drammaturgo Wannes Gyselink la scelta del blues, quell’amore per un genere che coinvolge tutto il corpo, gambe, braccia, mani. E lo dimostra sin dall’inizio dello spettacolo, quando sulle note del leggendario Walking Blues di Robert Johnson iniziamo a percorrere una strada lungo la quale incontreremo voci, parole – in sovrimpressione sullo schermo nero alle spalle come le lyrics di un video – versi, risate, urla intensificate dalle energiche partiture danzate. Scongiurata la prima parte in cui la libertà della scrittura coreografica sembra abbandonarsi a un momento a limite tra il riscaldamento e la ricreazione che distrae e annoia gli spettatori, si passa poi a una sequenza vibrante che dà prova della diamantina qualità dei danzatori e danzatrici, e della cantante che, tra il suono del sax da lei imbracciato e la voce splendida, unica come un pastiche primordiale, ci sorprende anche per i movimenti conturbanti.

Foto di Anne Van Aerschot

Indecisi se alcuni moduli siano lasciati all’improvvisazione, ci abbandoniamo vigili a questo cammino: differenti quadri, illuminati con decisione dal complesso disegno luci di Max Adams, rappresentano le fasi di una ricerca che si basa innanzitutto sulla collaborazione amicale tra le parti, il richiamo naturale a fare e dire insieme, far ascoltare la propria voce in una realtà che ci sovrasta e inquina i messaggi, a fare squadra (concetto espresso anche dai costumi colorati di Aouatif Boulaich), e stringerci in cerchio, altra figura ricorrente. Exit above non è di sicuro uno spettacolo conciliante, come lo era invece UKIYO-E, e non stupisce infatti che proprio nel momento in cui l’ensemble simula un’intossicazione sul palco, con tanto di conati di vomito, metafora dell’avvelenamento a cui il sistema ci conduce inesorabilmente, una coppia si alzi indignata e se ne vada passando con indifferenza a pochi passi dal palco. Il dissenso genera dissenso, lo affermano i corpi infaticabili, le parole squillanti, gli spirituals intonati; il lento incedere che crea solchi profondissimi, tracce indelebili lungo il percorso, al quale fanno compiere svolte inattese.

Lucia Medri

Visto a Auditorium Parco della Musica Enio Morricone, Romaeuropa Festival – settembre 2023

UKYO – E

Ballet du Grand Théâtre de Genève Direzione generale: Aviel Cahn
Direzione della coreografia: Sidi Larbi Cherkaoui
Partner del Ballet du Grand Théâtre: INDOSUEZ WEALTHMANAGEMENT
Coreografia: Sidi LarbiCherkaoui
Scenografia: Alexander Dodge
Luci: Dominique Drillot
Costumi: Yuima Nakazato
Drammaturgia: Igor Cardellini
Musica: Szymon Brzóska e Alexandre Dai Castaing
Nuova Creazione. Première al Genève en novembre 2022 / Coprodotto con La Maison de la Danse de Lyon,Biennale de la danse deLyon 2023 e Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura

EXIT ABOVE – after the tempest

Coreografia:
Anne Teresa De Keersmaeker
Creato con e danzato da:
Abigail Aleksander, Jean Pierre Buré, Lav Crncevic, José Paulo dos Santos, Rafa Galdino, Carlos Garbin, Nina Godderis, Solal Mariotte, Meskerem Mees, Mariana Miranda, Ariadna Navarrete Valverde, Cintia Seb?k, Jacob Storer
Musica: Meskerem Mees, Jean-Marie Aerts, Carlos Garbin
Opening text:
Walter Benjamin, “On the Concept of History”, These IX
Musica eseguita da: Meskerem Mees, Carlos Garbin
Scenografia: Michel François
Disegno luci: Max Adams
Costumi: Aouatif Boulaich
Testo e liriche: Meskerem Mees, Wannes Gyselinck
Drammaturgia: Wannes Gyselinck
Direttori delle prove: Cynthia Loemij, Clinton Stringer
Coordinamento artistico e pianificazione: Anne Van Aerschot
Assistente alla direzione artistica: Martine Lange
Tour manager: Jolijn Talpe
Direttore tecnico: Freek Boey
Tecnici: Jonathan Maes, Jan Balfoort
Suono: Antoine Delagoutte
Costumista: Alexandra Verschueren assistita da Els Van Buggenhout
Vestizione: Els Van Buggenhout
Sartoria: Chiara Mazzarolo, Martha Verleyen

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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