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WHITEWASHING (di Rébecca Chaillon)

Questa recensione fa parte di Cordelia, agosto 2023

Foto Pietro Bertora

Nella platea costruita all’interno dell’Itc Molari di Santarcangelo c’è una sola spettatrice afrodiscendente e probabilmente rispetto alla media italiana è già un risultato. Un corpo nero piegato a carponi sul pavimento, è Rébecca Chaillon. In scena un carrello delle pulizie, stracci e prodotti vari: lavare via il bianco dal pavimento bianco e poi dal corpo, spogliandosi dei pochi indumenti. La donna, dalla fisicità abbondante, ha la pelle ricoperta di bianco, ma non con la precisione di un trucco teatrale, qualcosa è andato storto, qualcosa non ha funzionato, rimane ben visibile la pelle. Con lei un’altra performer (Aurora Déon), da subito intenta a lavare il pavimento con un mocio. Dal soffitto penzolano ghiaccioli marroni che lentamente si squaglieranno gocciolando, solo uno è bianco. La donna a carponi, ormai completamente nuda, tenta con foga di lavar via il colore bianco che copre le proprie origini, senza riuscirci. «Esecrabile macchia… cancellati, dico! Una, due… due ore… è tempo di agire», ci tornano in mente le parole di Lady Macbeth nel pieno del delirio. Ma qui la macchia non è una colpa, la purificazione è liberazione dall’oppressione, è messa in discussione del colore dominante e in fin dei conti anche ribaltamento parodistico dell’ormai obsoleta pratica del whitewashing, ovvero gli attori bianchi che interpretano altre etnie. Chaillon si siede, rompendo il tempo lunghissimo del lavaggio; non ci eravamo accorti che anche le pupille erano bianche. Ora Déon applica lunghe extension che arrivano fino al pubblico, Chaillon diventa una dea madre in connessione con il mondo. Ma il misticismo lascia il posto subito al quotidiano, quando le due performer cominciano a leggere una serie di annunci più o meno grotteschi, di uomini bianchi che cercano le loro “perle nere” oppure donne nere in cerca dell’amore bianco. Le pagine delle riviste verranno appese sulle lunghe treccine mentre un suggestivo spoken word si trasformerà in canto. Ultima liberazione: le treccine vengono bruciate. «Non voglio più essere una figlia di questa terra che mi ricopre di fango». (Andrea Pocosgnich)

Visto all’Itc Molari Santarcangelo Festival. Testo e direzione Rébecca Chaillon e Aurore Déon produzione Compagnie Dans le Ventre con Rébecca Chaillon e Aurore Déon regia e allestimento Suzanne Péchenart traduzione e sovratitoli Lisa Wegener produzione e sviluppo L’Oeil Ecoute – Mara Teboul & Elise Bernard logistica L’Oeil Ecoute – Lise Barbut progetto realizzato con il supporto di Institut français, Fondazione Nuovi Mecenati

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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