Trasparenze Festival è una manifestazione organizzata da Teatro dei Venti, ma non è solo un festival, quest’anno ha accolto progetti e residenze di studio.
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Quando arrivo a Gombola mi trovo nel mezzo di abbracci, saluti, sorrisi: è appena terminato un percorso residenziale organizzato da Trasparenze Festival insieme a Cresco, aperto a chi crea, organizza, amministra il fare teatro. Cinque giorni di condivisione collettiva, di discussione e riflessione organizzati per tavoli di lavoro e con un titolo più poetico che funzionale: “Attraversare il vuoto”. Negli incontri pubblici, oppure negli scambi privati con artiste e artisti o in generale con le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, emerge spesso la necessità di riuscire a ritagliarsi momenti di incontro e riflessione, momenti in cui attraversare il tempo senza la pressione della produttività. Questa necessità c’è sempre stata ma è tornata in primo piano quando uscendo dalla pandemia ci si è resi conto di quanto tutto tornasse velocemente ai ritmi pre-pandemici. Allora capisco quei sorrisi, di chi ha passato cinque giorni ad abitare questo borgo dell’appennino modenese, capisco i saluti con chi si è condivisa la crisi, il dibattito, le serate leggere, i tavoli della cena, gli spazi nell’ostello.
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In questo borgo, che risponde all’amministrazione comunale di Polinago, costituito di case per lo più disabitate durante l’anno, ma tutt’altro che fatiscenti, il cuore dell’accoglienza è rappresentato dall’Ostello Podesteria e oltre allo spazio nella piazzetta antistante – dove vanno in scena gli spettacoli – la ex-chiesa parrocchiale di San Michele è il luogo della ricerca teatrale, delle prove e delle messinscene che necessitano di un tetto. Per arrivare alla parte alta del paese si lascia l’automobile a un parcheggio e ci si munisce di buoni passi oppure si attende una delle navette organizzate dal festival, poi bisogna percorrere un’altra breve salita a piedi: a sinistra le case, a destra un prato in cui riposare, i tavoli in cui fermarsi, e poi il verde intorno, i boschi e le colline. Stefano Tè, direttore artistico del festival e della compagnia Teatro dei Venti, mi racconta che qui ha ritrovato qualcosa del suo mare campano, quella relazione con la natura e la sua potenza. Mi spiega che se avesse l’appoggio delle istituzioni locali e nazionali qui il lavoro di Teatro dei Venti potrebbe far nascere un vero e proprio centro per residenze artistiche.
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D’altronde è facile intuire quanto Trasparenze sia un festival anomalo, proprio perché in primis è Gombola a creare tracce, perimetri e scene; bastano poche ore per rendersi conto che questa non è una rassegna vetrina: in cui assistere alla nuova produzione di cui tutti parlano o allo spettacolo che ha destato scandalo. Le opere fanno parte di un sistema di relazioni in cui la natura circostante e i luoghi hanno un ruolo preciso. Penso a Muoio come un paese di Gemma Hansson Carbone: qui il racconto in cuffia, recitato dal vivo dall’autrice – una distopia in cui nel finale emozionante ritroviamo come in uno specchio le macerie del nostro presente – si svolge durante una camminata nei boschi che termina proprio nel borgo.
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Oppure Attraversamenti di Residui Teatro in cui il tema del viaggio, dello sradicamento dei popoli, si snoda in una sorta di teatro di strada tra corpi e canzoni. E ancora, le performer dirette da Noemi Piva che proprio in una radura, tra gli alberi, scavano lo spazio per una leggerezza color pastello, un po’ danza e un po’ surreale rebus. Il pubblico è attento e riempie le sedie a disposizione anche quando si tratta di impianti spettacolari frontali. Come nel caso di Nerval Teatro con Walking Memories, al chiuso della ex-chiesa, ma con una drammaturgia che combina narrazione e gestualità coreografica (Elisa Pol, in scena, ha collaborato con Raffaella Giordano), a partire proprio da un’autobiografia che riflette sulla relazione che abbiamo con la natura e con il paesaggio montano. Giovanni Onorato invece ha mostrato il proprio È come se dovessi contenere l’universo. Uno sviluppo di Alde di fronte alla facciata laterale della chiesa, ai piedi del Campanile: è una sorta di spinoff del lavoro che debutterà a Romaeuropa ma già qui mostra una sorprendente capacità narrativa e spettacolare; in un calcolato alternarsi di stand up comedy, reading poetico su musica elettronica live, gioca attorno a una storia che potrebbe essere vera… oppure no.
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Sono spettacoli, questi, che, al di là dei risultati, hanno l’accortezza di mettere lo spettatore in una condizione empatica, di ascolto e partecipazione, di prossimità con l’artista. D’altronde il Teatro dei Venti cerca di lavorare in questo equilibrio: creare una comunità per le artiste agli artisti, ma che sia accogliente anche per gli altri. Nei giorni precedenti al mio arrivo la compagnia ha portato a compimento un percorso annuale, Le opere e i giorni, proprio con gli abitanti di questi luoghi (la valle di Rossenna). Anche in questo caso lo sguardo drammaturgico era rivolto a un tempo altro, quello della vita in campagna, degli incontri e delle condivisioni.
A Gombola durante le serate di fine luglio, a un certo punto della sera, bisogna coprirsi: penso ai festival che scelgono spazi al chiuso in grado di rispettare le estetiche degli artisti ma caldissimi e mi domando per quanto tempo – con un cambiamento climatico che ogni anno fa segnare temperature più alte – tale soluzione sarà sostenibile. Questo non vuol dire che tutti i festival debbano cambiare prospettiva e inseguire ideali eremitici e d’altura (e Trasparenze non è poi l’unico), ma la piccola utopia di Gombola rappresenta un’alternativa, una possibilità su cui continuare a riflettere, in cui continuare ad abitare.
Andrea Pocosgnich
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