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“C’ho il Marx mentale”. La Sparanoia di Fettarappa e Guerrieri

Recensione. La Sparanoia, atto unico senza feriti gravi purtroppo di Niccolò Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri visto al debutto romano durante la decima edizione di Dominio Pubblico. Stasera in scena al 44° Festival La Versiliana

Foto Giacomo de Angelis

Se penso a una parte della mia infanzia la associo a un brick, e non a Another brick in the wall, quello viene dopo, ma al succo di frutta in brick, alle merende, e ai pranzi al sacco durante le gite. Scarti la cannuccia, inserisci la cannuccia, silenzio, bevi, finisci, e butti via. Inevitabilmente non poteva quindi che aprirsi un varco spazio-temporale-personale al sentire pronunciata sulla scena del Teatro India la battuta: «se non disturba nessuno, noi di sinistra timida facciamo una merenda», «Coi succhetti». C’è una generazione intera, più di una, e sicuramente la mia, che è cresciuta con la rassicurazione del “succhetto”, e con programmi tv come Solletico e Bim Bum Bam, poi le assemblee di istituto, le liste dei rappresentanti, la Kefiah alla manifestazione contro la Moratti, il primo voto, e quelli seguenti, dati a partiti che non raggiungono il quorum, la Gelmini e la speranza de L’Onda, e varie altre amabili insolenze sociali, che come degli abbrivi ci hanno preparato a resistere durante il governo Meloni, concrezione di sventurate timidezze, di sinistra. Da “sparasse”, per dirla alla romana. Non proprio, diciamo, da Sparanoia, piuttosto, come il titolo dell’ultimo lavoro di Niccolò Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri a cui si aggiunge il caustico sottotitolo Atto unico senza feriti gravi purtroppo, visto al debutto romano durante il festival Dominio Pubblico.

Foto Giacomo de Angelis

Nove scene, un intermezzo, il buio e la seconda parte: è tutto qui, condensato in settantacinque minuti più agili e anche con meno sbavature e ridondanze rispetto ad Apocalisse Tascabile. Certo, la tendenza a parlare, e a parlare tanto, all’invettiva loquace e forbita, resta come coerenza stilistica e drammaturgica ed è attraente perché, ancora più del passato, resta ben ancorata al come; il testo collima con l’azione che non è mai staccata da ciò che si dice e la scrittura si dispiega unitariamente per testo, voce e oggetti scenici. Non passa inosservata la collaborazione artistica di Christian Raimo che fa sentire il suo portato generazionale e il suo riconoscibile punto di vista in alcuni passaggi. Quattro tralicci quadrati perimetrano la scena rispettivamente ai quattro angoli, a delimitare una sorta di safe zone, l’ennesima, in cui al centro vi è uno stendino (in Apocalisse Tascabile c’era invece un carrello della spesa) indicato nel copione come «segno scenico della repressione casalinga», e sul fondo una corda sulla quale sono stesi altri oggetti/simboli: una sediolina gialla, una paletta, una giacca, un asciugamano rosso e alcune cravatte. «Lorenzo entra in scena e, come ogni bravo represso, indossa una cravatta», sulla sigla del TG1 anche «Niccolò entra in scena in ritardo rispetto alla sigla». Scarpe Crocs ai piedi e un completo dai colori smorti, sul grigio, praticamente due trentenni in pigiama, o quasi, ma con ciabatte firmate, che svogliatamente iniziano a discorrere sul «dettato paranoico del giornalismo» su quanto tutto vada male nel mondo, «E anche io non sto bene». «E mo’ pure lui sta male» «Sì, fra un po’ faccio 30 anni…». È la scena 1 questa, dal titolo Cattive notizie, e subito si palesa con acume una sottigliezza: il peso del mondo che grava su “i giovani” non è una questione che interessa la collettività ma è innanzitutto personale che appesantisce e determina insoddisfazione, repressione, depressione e ansia.

Foto Giacomo de Angelis

Con feroce cinismo al ritmo di rapide stilettate dialogiche, Fettarappa e Guerrieri passano in rassegna – contrapponendosi l’uno all’altro nella gestione dei ruoli, l’uno aggredito (Fettarappa) e l’altro aggressore (Guerrieri) –, l’attualità nella quale siamo immersi. La paletta tenuta in mano rappresenta la «Digos o Digos Boia» che dà le botte, pretesto funzionale per parlare della «Riforma della polizia. Alla camera passa il decreto me prudeno le mano» riferimento esplicito alla proposta di legge di FdI presentata negli scorsi mesi per l’abrogazione del reato di tortura. Si continua con le manifestazioni «con i fumogeni» dove vanno “i giovani”, o meglio, «Alcuni studenti si sono trovati a manifestare in piazza»: notasi bene, “si sono trovati”, espressione non casuale che introduce la seconda scena, la più impeccabile, sia per forma che per contenuto, e paradigmatica di tutto lo spettacolo, dal titolo La sinistra timida. L’antagonismo di cui si parla, contrapponendosi miseramente ai fasti bolscevichi, è ora ridotto alla discrezione, alla richiesta dei permessi, «se non disturba nessuno, noi di sinistra timida facciamo una merenda» «coi succhetti». La merenda è allora metafora dell’empasse generazionale, il precipitato di una decrescita socio politica che nella merenda esplica l’unica azione e reazione possibile, che raggiungerà estreme conseguenze tramutandosi, nella seconda parte dello spettacolo, in «flash mob di piazza con le gambe a farfallina»: «Quindi tu mi assicuri che questa ginnastica prepara alla lotta di classe?», chiederà Lorenzo a Niccolò. E forse se lo sono chiesto anche in passato alla visione dei primi girotondi…

Foto Giacomo de Angelis

Rappresentazione delle “lotte”, e non solo di questa fascia di età purtroppo, è Il metro quadro, che dà il titolo alla terza scena in cui con spericolata dissacrazione si ride, e piange ahinoi, del miraggio della casa toccando trasversalmente i temi dell’emergenza abitativa, del diritto alla casa, del rincaro dei mutui, confinando, geniale la rappresentazione, i diritti civili in un metro quadro di tatami per bambini, una prigione, però «abitabile» e «calpestabile». Seguono le Ordinanze del sindaco (scena 4) e A casa serve la droga (scena 5) per inveire contro altri due pregiudizi massmediatici coi quali si ritraggono “i giovani”, cioè la droga-il disagio-la movida. Forse più deboli perché piegate dalla disillusione retorica di sinistra, sono le scene Compagni e Fidel che aprono però alla seconda parte in cui si incastonano alcune delle battute più dirompenti: «Dottoressa! C’ho i disordini mentali. C’ho Marx mentale. Non so se sono all’altezza di questo colpo di stato, c’ho le paranoie da carro armato. Ho tanti sensi di golpe».

Già, i sensi di colpa, afflittivi e punitivi. Per tutti i settantacinque minuti, Fettarappa e Guerrieri ci fanno sentire il crepitio della miccia che brucia ma la bomba rivoluzionaria non solo non esplode ma farà di peggio, ringrazia. Una sequela di “grazie” finali stringono il cappio della miserevole condizione di chi ha sognato di fare politica, semmai si è pure dichiarato anticapitalista a piedi scalzi, cantando Jovanotti, bevendo un succhetto, senza avere la consapevolezza critica per accorgersi che stava gradualmente trasformando il pugno chiuso in un destro, di destra, da darsi dritto in faccia.

Lucia Medri

Dominio Pubblico – giugno, 2023

Prossime date tournée in calendario:

Roma Teatro Vascello 26-30 marzo 2024

LA SPARANOIA
Progetto ideato e scritto da: Niccolò Fettarappa
con: Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri
collaborazione artistica di Christian Raimo
Regia di Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri
assistente alla regia: Giulia Bartolini
Produzione di AGIDI – SARDEGNA TEATRO Con il sostegno di: Armunia Teatro. – Spazio Zut- Circuito Claps – Officine della cultura
si ringrazia Carrozzerie n.o.t.

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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