Continuiamo ad occuparci del panorama siciliano, attraverso i fatti e le parole dei soggetti coinvolti. Parliamo di nuovi aggiornamenti sul FURS e delle prime idee intorno all’offerta performativa ad Agrigento, Capitale Italiana della Cultura per il 2025
Qualche tempo fa avevamo parlato della situazione siciliana, e in particolar modo di alcuni particolari aspetti del rapporto tra pubblico e privato. Discutere della gestione dell’offerta performativa dell’isola è un fatto complesso, che oltretutto esula dai limiti del teatro e della danza. Ci torniamo, perché nel frattempo altro è successo: tutto concorre a ristabilire un quadro nel quale, per quanto sfuggente, possono intravedersi possibili linee di crescita.
Ancora sul FURS. Altre prospettive
Dopo un’iniziale contrazione dei fondi del FURS a svantaggio del comparto privato, che aveva suscitato le reazioni di Latitudini, ossia la Rete siciliana di drammaturgia contemporanea, il 15 giugno il governo Schifani ha deliberato, su proposta dell’Assessora a Turismo, Sport e Spettacolo Elvira Amata, il «via libera alla ripartizione per il 2023 del Fondo unico regionale per lo spettacolo (FURS) e dei fondi previsti dalla legge regionale n. 3 del 2016». Al privato andranno circa 3,7 milioni di euro, destinati a 240 associazioni private. Al comparto pubblico saranno invece assegnati 3,9 milioni di euro, da ripartire tra pochi Enti. Per Latitudini si tratta soltanto di un accoglimento parziale delle richieste avanzate nei mesi passati, non sufficiente a compensare «il drastico ammanco per il 2023, dovuto alla riduzione di circa il 25% di tutto il FURS». Gigi Spedale, presidente della Rete, si augura miglioramenti per il futuro: «Speriamo che, come accaduto talvolta negli anni precedenti, con la legge di assestamento di bilancio di luglio, questa riduzione possa essere recuperata con uno stanziamento integrativo sul capitolo FURS».
L’opposizione pubblico/privato sembra persistere in termini concorrenziali, e non pare facile trovare la quadra. Ne abbiamo parlato con Luca Mazzone, direttore – assieme a Beno Mazzone, fondatore dell’istituzione nel 1968 – del Teatro Libero di Palermo, il quale ci ha fornito un punto di vista alternativo sulla questione. Il Teatro Libero, assieme ai catanesi Scenario Pubblico e Teatro della Città, è un Centro di Produzione riconosciuto dal ministero, ed è finanziato dall’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Sicilia. Dal suo punto di vista «per poter rivendicare un ruolo di peso conta il lavoro, ossia la capacità di generare occupazione» e di rispondere «a una progettualità precisa che sappia proiettarsi nel futuro». Si tratta di «elementi imprescindibili per per una crescita del settore, troppo spesso votato all’amatoriale», quando invece non si può prescindere da precisi parametri in termini di capacità contributiva, giornate lavorative e tutele per i lavoratori e il settore. Non è scontato trovare la quadra tra le tessere che compongono il mosaico dell’offerta culturale siciliana, ma è necessario compiere un “salto di qualità”, ragionando «in termini di sistema, valorizzando le strutture e gli organismi professionali che lavorano con continuità e ragionando in termini di agevolazioni e servizi per gli altri». La decrescita demografica impone poi un ragionamento sulle periferie: le province, spesso dotate di teatri comunali, « andrebbero inserite in un sistema virtuoso che consenta a imprese e Comuni di dialogare in un’ottica di sussidiarietà. Penso al sistema dei “teatri abitati” che in Puglia ha garantito casa alle compagnie e alle attività dei comuni».
Fuori dal capoluogo. Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025
La proclamazione di Agrigento a Capitale Italiana della Cultura per il 2025 è stata salutata dalla città di Pirandello come un miracolo di portata secolare. Ciò è interessante perché accende i fari su una realtà solo apparentemente periferica. Palermo e Catania non sono rappresentative della proposta dell’Isola nella sua interezza: Agrigento, forse, lo è un po’ di più. Abbiamo parlato con il Presidente della Fondazione Teatro Pirandello, Alessandro Patti, per capire cosa significhi gestire l’offerta teatrale in un territorio tendenzialmente retrivo a proposte più innovative, soprattutto in vista dei copiosi fondi che verranno stanziati in seguito alla nomina. Il programma consultabile a questo sito appare, bisogna dirlo, insufficiente. Si può obiettare che siamo soltanto agli inizi: ma è vero anche che gli inizi non sembrano rassicuranti. A parte l’apertura di un’appendice del Centro Internazionale di Sperimentazione per la Drammaturgia Applicata allo Spazio, per la direzione dell’artista Andrea Cusumano (centro che verrà realizzato a Palermo), per il resto le idee rimangono ferme a forme di intrattenimento a buon mercato.
Lo facciamo notare al Presidente, il quale risponde con imprevista e cordiale consapevolezza: «Ci rendiamo conto che la prima parola che possa venire in mente è “banalità”». E ce ne spiega i motivi, in termini demografici: «È cambiato il pubblico: a quella degli abbonati storici si è sostituita una nuova platea che preferisce il teatro brillante, con nomi di grido, il cabaret, il musical». Il pubblico educato da una diffusione sempre maggiore dell’immaginario prodotto dalla TV commerciale, insomma Così, ad Agrigento come in buona parte dell’isola (spesso anche nei capoluoghi maggiori) i cartelloni «cercano di venire incontro ai desiderata del pubblico». Ma il problema è proprio qui: nell’educazione di questo pubblico, che dovrebbe essere il fine primo di qualsiasi agenzia di cultura. Certo, ad Agrigento, non è scontato: «Noi non possiamo prendere come punto di riferimento l’offerta di centri come Catania o Palermo. Ci confrontiamo con una platea che è diversa» dice Patti, per poi aggiungere «è chiaro che i nostri sforzi sono tesi verso una prospettiva di miglioramento. In questa direzione, ad esempio, è il coinvolgimento degli studenti del Conservatorio Toscanini di Sciacca nella programmazione di questa stagione».
Ma ciò è davvero sufficiente? Quali difficoltà impediscono l’adozione di visioni più ampie? «È difficile fare fronte al buco generazionale: è un problema trovare nuove professionalità». Certo si tratta di un problema oggettivo, ma quest’ultimo in particolare è molto strano: in Sicilia le università traboccano di laureati costretti ad emigrare. Come scrivevamo anche qui, l’emorragia delle giovani generazioni è inarrestabile. Evidentemente, non c’è comunicazione tra le parti del sistema. Forse basterebbe davvero poco, per ristabilire un minimo la situazione: umiltà, consapevolezza, volontà.
Tiziana Bonsignore