Terreni Creativi, la manifestazione diretta dalla compagnia Kronoteatro (Maurizio Sguotti, Alex Nesti e Tommaso Bianco), rischia di chiudere dopo 14 anni. Abbiamo intervistato Tommaso Bianco responsabile dell’organizzazione e delle relazioni esterne.
Già nelle scorse edizioni era suonato il campanello d’allarme per Terreni Creativi, festival che ogni anno segna i primi giorni di agosto nella parte alta della Liguria, ad Albenga. Ora gli organizzatori non riescono più a far fronte alla gestione di un progetto così importante e complesso contando solamente sulle proprie risorse. Prendo un appuntamento telefonico con Tommaso Bianco, uno degli animatori del festival insieme a Maurizio Sguotti, Alex Nesti e a tutto il numeroso staff.
Il teatro italiano esiste nonostante la propria insostenibilità economica. Se dovessero ritirarsi tutti quei soggetti che producono, organizzano e creano teatro senza il giusto compenso la scena italiana piomberebbe in un inverno senza ritorno o, ad essere ottimisti, dimostrerebbe di essere meno varia e decisamente più povera di oggi. Ma è possibile chiedere a intere generazioni di sacrificare la propria vita per tenere in piedi progetti di fronte ai quali le istituzioni sono insensibili?
Una delle specificità di Terreni Creativi – oltre alle location tutt’altro che teatrali ma appartenenti al paesaggio imprenditoriale della florovivaistica ligure – è il tentativo reale di creare una piccola comunità temporanea: ho un ricordo vivo delle lunghe tavolate attorno alle quali dopo gli spettacoli si cenava tutti insieme, artisti, pubblico, ospiti. Forse non è un caso che io faccia questa chiamata dall’appennino modenese, dal borgo di Gombola, altro luogo in cui il festival (Trasparenze) non è pensato come la sommatoria di una serie di spettacoli ma come un momento di incontro. Nella voce di Tommaso Bianco c’è la commozione sincera, quella per un sogno in cui lui e i suoi compagni si sono visti crescere, tra fatica e stupore. (A.P.)
Nella comunicazione stampa relativa al festival parlate di ultima edizione. Cosa sta accadendo?
Sta succedendo che in questi 14 anni – questa è la quattordicesima edizione – abbiamo investito nel festival mettendoci tutto quello che era nelle nostre possibilità, in termini sia di economie che di energia fisica e lavorativa. Abbiamo cercato di convincere le istituzioni e gli enti, che finanziano le imprese e gli eventi culturali, che Terreni Creativi valesse non solo in un’ottica locale, ma anche come visione nazionale. Eppure, questo progetto non ha convinto molto, non crediamo a causa di una colpa nostra (abbiamo avuto anche probabilmente le nostre responsabilità). Però crediamo che sia a livello locale che nazionale siano state fatte delle scelte che non abbiano tenuto conto delle potenzialità del festival e di quello che voleva dire, per un territorio come il nostro, il progetto, unico, di Terreni Creativi. Unici sono i luoghi dove si svolge: le aziende agricole. Spazi con questa conformazione ci sono solo ad Albenga. Negli anni il festival ha raggiunto importanti risultati: il Premio Ubu e il Premio Hystrio nell’ultimo anno, Il Premio Garrone e il Premio Rete Critica negli anni precedenti (sono solo alcuni dei momenti simbolici che hanno riconosciuto il nostro lavoro), il numero alto di spettatori, non solo specializzati, come operatori e critici, ma anche un pubblico territoriale fatto di appassionati che appositamente viene al festival. Ecco, questi elementi non sono serviti per dare agli enti pubblici e alle fondazioni una motivazione valida per sostenere il festival e di sicuro Kronoteatro non può farlo da solo.
In questi 14 anni quali sono state le economie del festival? Come vi siete sostenuti?
Le economie del festival si sono sempre basate su un piccolo contributo del comune di Albenga, che devo ammettere è anche cresciuto nel tempo, ma non è significativo per reggere autonomamente il progetto, poi abbiamo un contributo regionale che però è ancora più basso di quello del comune e che quindi non ci dà la possibilità di mantenere gli standard (sia di tempo speso che di qualità), poi ci sono state alcune fondazioni locali e, naturalmente, le aziende agricole. Queste, anche senza un apporto economico, ma attraverso il lavoro dei dipendenti nell’allestimento delle serate, ci hanno sempre sostenuto. Noi abbiamo sempre realizzato il festival rimettendoci economicamente, oggi non ce lo possiamo più permettere, per tanti motivi: perché avevamo altre attività a sostegno, come quelle legate alla stagione invernale che si è dovuta interrompere perché abbiamo perso lo spazio ad Albenga e quindi il finanziamento collegato. E non pensiamo che sia giusto chiedere per l’ennesima volta, attraverso una raccolta fondi dedicata, un aiuto al pubblico (come già è accaduto nelle edizioni precedenti ndr) e soprattutto crediamo che non sia giusto chiedere agli artisti di sacrificarsi accettando condizioni e cachet al ribasso.
A quanto ammonta il contributo che vi darebbe la possibilità di rilanciare il festival con una certa tranquillità?
Per rilanciare un festival così come è stato nella scorsa edizione, credo che avremmo bisogno di almeno 90.000 euro di contributi, che divisi tra fondazioni bancarie, enti locali e nazionali e sponsor privati non sono una cifra esagerata.
In questi 14 anni quali sono stati i numeri del festival? Quanti artisti e spettatori si muovevano ogni anno attorno a Terreni Creativi?
Sin dal primo anno, abbiamo registrato presenze importanti, tra le 200 e le 300 persone a sera. Per quello che riguarda gli artisti non scendiamo mai sotto le dieci unità al giorno, tra attrici, attori, danzatrici e danzatori, performer. Abbiamo poi un numero di volontari che fluttua tra i quindici e i trenta, a seconda delle edizioni, abbiamo una squadra tecnica che negli anni ha raggiunto anche i dieci elementi. Tutto questo senza contare la nostra struttura fissa di Kronoteatro e le decine di operatori culturali e giornalisti che ogni anno raggiungono il festival.
Dal tuo punto di vista Terreni Creativi negli anni cosa ha portato a questa parte della Liguria?
In questa porzione di territorio, da dopo Genova fino al confine con la Francia, gli eventi di promozione della nuova drammaturgia, dei linguaggi della scena contemporanea, non si erano mai visti. Dunque Terreni Creativi ha coperto una fetta di proposta culturale, di supporto anche al turismo. E poi ha dimostrato che questo territorio poteva essere qualcosa di più oltre alla spiaggia e al pomodoro cuore di bue, perché in grado di proporre come prodotto doc anche qualcosa che avesse a che fare con l’immateriale, con la creazione artistica, col pensiero critico e alternativo. Abbiamo deciso di non abitare la costa per questo motivo, perché tutto si è sempre svolto sulla costa, ci piace lavorare nel primo entroterra e questa è una missione che continuiamo ad avere. È un luogo ricchissimo che però spesso viene valutato solo nella parte finale che ha a che fare con il mare. Per le comunità che ci abitano – stabili o temporanee che siano, dunque anche i turisti – Terreni Creativi ha sempre rappresentato la possibilità di partecipare a un evento che non abbia una visione legata alla stagionalità estiva ma che vuole mettere in relazione Albenga con il sistema nazionale, attraverso gli strumenti e i linguaggi del teatro contemporaneo e della ricerca scenica. Abbiamo cercato di dimostrare che si può fare.
Perché le istituzioni nazionali e regionali non si accorgono di quello che avete fatto? Da cosa dipende?
Ci sono diversi elementi, quello che salta all’occhio è l’incapacità e l’impreparazione nell’immaginare una politica culturale e una strategia che vadano oltre la durata di un’amministrazione – oltre i cinque anni di governo –, a livello regionale poi l’attenzione è accentrata molto su Genova e concentrata sui grandi eventi, quelli che possono raccogliere numeri molto grandi ma che non stimolano un pensiero perché producono un prodotto predefinito e tranquillizzante. A livello regionale, come comunale, gli amministratori non hanno gli strumenti per immaginare politiche e strategie culturali a lunga gittata. Sul piano ministeriale non ti so dire, vediamo cosa succederà con il nuovo governo… di certo il fatto che Terreni Creativi sia stato tenuto fuori dal Fus in questi anni è il sintomo di una mancata conoscenza di quello che accade nei territori non centrali, luoghi che però spesso sono quelli più propulsivi dal punto di vista della creatività.
Dunque se la situazione rimarrà quella da te descritta la prossima edizione sarà l’ultima?
Sì, noi non riusciamo più a sostenere questo sforzo e penso che non sia neanche etico continuare a farlo solo con le nostre forze.
Ti chiedo un pensiero o un ricordo personale di questi 14 anni e poi un breve sguardo all’edizione di questo anno.
Terreni Creativi è sempre stata la creatura bellissima e fragile, da maneggiare con estrema cura, ma che sapeva – e sa – riempire un vuoto di soddisfazione. Ed è una soddisfazione quasi fisica, quella di percepire una struttura fatta di amici o di persone che si conoscono nell’arco del festival e che contribuiscono a creare qualcosa di cui poi si gode tutti insieme. Tutto questo nonostante le ore di sonno perse, le tante ore in piedi, la fatica di correre da una parte all’altra, nonostante il caldo di agosto nelle serre e nei capannoni, una fatica comune tutta indirizzata per creare qualcosa che è per tutti ma più grande di tutti. Mi sono sentito sempre in famiglia e sostenuto. Quello che succederà in questi due giorni (7 e 8 agosto), vedrà il festival in una forma contratta, più piccola, dentro a un vigneto, per un numero ridotto di spettatori, avremo i Sacchi di Sabbia (La commedia più antica del mondo e Pluto), poi ci sarà la danza curata da Francesca Foscarini con Collettivo Micorrize protagonista di un lavoro specifico sul luogo. Mentre l’8 agosto torneremo da BioVio, una delle aziende storiche tra quelle con cui il festival ha collaborato, lì aprirà ancora la danza con le Sorelle di damiano, (una formazione giovane), poi ci saranno i Quotidiana.com con I greci, gente seria!, spettacolo che noi produciamo anche come Kronoteatro. Entrambe le serate saranno completate da musica dal vivo e djset, come sempre con la consulenza musicale di Rock‘n’Roll robots e Riviera Gang Crew. Insomma un festival più contenuto, più intimo, ma molto curato; se questo festival dovesse diventare un ricordo vorremmo che fosse un bel ricordo per tutti. Abbiamo deciso di pensarlo come fosse un ultimo ballo, questo non vuol dire che non potremo più ballare insieme, in altri modi, con altri ritmi e in altri spazi, ma intanto pensiamo a questo momento come un tempo felice in cui stare insieme, consapevoli di quello che c’è e di quello che c’è stato, con lo sguardo rivolto sempre a quello che possiamo fare insieme.
Andrea Pocosgnich