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Kingdom, una fuga dal mondo verso un’utopia verde

Recensione di Kingdom, spettacolo scritto e diretto Anne-Cécile Vandalem della compagnia belga Das Fräulein, in prima nazionale al Campania Teatro Festival. Tra palco e riprese video in tempo reale, una costruzione scenica immersiva e complessa.

Foto Salvatore Pastore
Foto Salvatore Pastore

Notti di paura per l’ignoto, queste, di incendi e morti, di ordini coatti, di fraintendimenti che ingabbiano la verità, nascondendola sempre più agli occhi. Eppure, sono anche notti belle e misteriose, di giochi all’aperto, di riti da bambini, di fughe d’amore, di attesa che qualcuno ritorni.
Il parallelismo con questa estate di cambiamenti climatici e misure di eccezionalità che non possono più essere rimandate è evidente, eppure, almeno per una buona parte, stiamo parlando di uno spettacolo. Kingdom, terza parte della trilogia scritta e diretta dalla belga Anne-Cécile Vandalem  per la compagnia Das Fräulein (e, soprattutto quest’ultimo testo, ispirato al film Braguino, di Clément Cogitore),  approda in prima nazionale al Campania Teatro Festival e sorprende, ancor prima che inizi lo spettacolo, per la veridicità accurata della sua scena, che finemente riproduce una casa tra la boscaglia, un fiumiciattolo. E una barriera fatta di staccionate. A vivere in questo mondo c’è una famiglia allargata (ragazzi, bambini, qualche adulto e tre cani, tutti perfettamente tarati sulle proprie parti) che dà mostra di essere una famiglia unita, gioiosa, orgogliosa di vivere nel rispetto della natura, in un luogo che ha reso ospitale nonostante la sua aria di inaccessibilità, adatto per il ritiro di un famoso scrittore che però ha prolungato e allargato la sua utopia di tranquillità. Gli occhi nostri di spettatori si beano di questa vita idilliaca, anche e soprattutto grazie all’arrivo di due documentaristi che – nella finzione del racconto – arrivano per raccontare le vicende della famiglia e, così facendo – nella concretezza della scena – ci mostrano sul fondale un girato in tempo reale di quanto succede nelle boscaglie di molteplici punti di vista dell’interno delle varie stanze della casa.

Foto di salvatore Pastore
Foto Salvatore Pastore

Ma la gabbia dorata ha maglie larghe e mostra via via piccoli presagi che lo spettatore inizia lentamente ad assorbire – uno sguardo tra adulti, un non detto suggerito da una negazione, un cane un po’ più ammaccato – fino a sfociare in quello che appare un attacco su più fronti – l’uccisione di un orso da parte dei vicini, le minacce di bracconaggio, la dichiarazione di scomparsa del padre di due ragazzi e poi il culmine con la morte del loro cane. Dal funerale, toccante e grave, tutto sembra precipitare, e quella immagine di felicità appare sgretolarsi, illusoria e fittizia, tanto da mostrare tutte le contraddizioni e le menzogne finora presentate come vere.

La grazia di questa drammaturgia scenica si ritrova in una realtà che gioca continuamente tra l’immersione in un mondo realistico e la costruzione architettata, tra dimensione teatrale dal vivo e riprese video con un ritmo ben preciso, che morbidamente cresce e guida le emozioni di chi assiste attraverso un montaggio leggero e però ritmicamente suggestivo, in grado di mostrare quel fuori campo di solito precluso allo sguardo dello spettatore teatrale, acuendone il valore anche se in absentia. La grande cura per i dettagli visivi e sonori è davvero notevole, dalle scene di Ruimtevaarders con il loro sapore nordico, alla direzione della fotografia e della macchina da presa di Federico d’Ambrosio (in scena anche come cameraman assieme a Leonor Malamatenios, in un disegno luci, di Amélie Géhin, molto vivo nelle lunghe notti), dalle composizioni di Vincent Cahay e Pierre Kissling, al disegno del suono di Antoine Bourgai.

Foto Salvatore Pastore

Parimenti, proprio il grande grado di immersività dona naturalezza al corpo attoriale (Philippe Grand’henry, Laurent Caron, Zoe Kovacs, Épona Guillaume, Arnaud Botman, i bambini e i tre cani Judy, Omega e Olrùn, addestrati da Victorine Reinewald): volti scavati o tondi e pieni, turbamenti che non stancano mai il pubblico del Teatro Politeama, nonostante la lingua francese e i sottotitoli, e i 100 minuti scorrono fluidamente. A complicare un po’ la fruizione è proprio il testo, che, soprattutto nella parte finale, stratifica le già tante questioni, in un continuo ribaltamento che forse avrebbe bisogno di altro tempo per essere propriamente risolto. Inizialmente, appaiono con più forza temi cardini quali: la questione ambientale, la volontà di scegliere una vita meno invasiva nei confronti dell’ambiente e di conseguenza la paura per il bracconaggio, il rifiuto stizzoso nei confronti del “mondo fuori” ma anche il desiderio di scoprire quella promessa di modernità, quel mondo oltre gli elicotteri e la staccionata che proprio perché proibiti appaiono come una promessa troppo allettante.

Foto Salvatore Pastore

Interessante è questa narrazione che non si ferma alla superficie, alle strategie da greenwashing tanto abusate nell’Agenda 2030 (del resto, il mito del buon selvaggio visto alla lontana come qualcosa di auspicabile e però poi scacciato, è un refrain già del secolo scorso) ma problematizza la questione, ne affronta il dopo, le complessità di una società che non può non dirsi consapevole del contemporaneo, che non può più semplicemente fuggire dai problemi senza considerare il resto. E però poi vi aggiunge, in un’escalation forse troppo rapida, questioni personali irrisolte, segreti familiari, fantasmi che non vogliono essere abbandonati, faide territoriali, colpe ancestrali, storie che per essere raccontate sembra abbiano bisogno delle bugie. La finzione, sì, è parte del processo di creazione, ma accrescendo la finzione della realtà che racconta (lo scrittore che ha organizzato la fuga nell’isola isolata nasconde diversi segreti alla famiglia che lo ha seguito, esacerbando i conflitti con i vicini anche in questo caso tacendo o falsificando informazioni date) la esaspera, non la rende più vera. Del resto, in quel regno verde e lussureggiante – dove anche una pira incendiata scorre placida su un fiume che scompare nel buio delle quinte – vorremmo rimanerci ancora, magari realizzando quelle utopie, sia in scena che fuori.

Viviana Raciti

Giugno 2023, Teatro Politeama, Campania Teatro Festival

KINGDOM
REGIA DI ANNE-CÉCILE VANDALEM/ DAS FRÄULEIN (KOMPANIE)
LIBERAMENTE ISPIRATO A BRAGUINO DI CLÉMENT COGITORE, LA TRILOGIA (TRISTESSES, ARCTIC, KINGDOM) È PUBBLICATA DA ACTES-SUD PAPIERS
SCRITTO E DIRETTO DA ANNE-CÉCILE VANDALEM
CON PHILIPPE GRAND’HENRY, LAURENT CARON, ZOE KOVACS, ÉPONA GUILLAUME, ARNAUD BOTMAN
TELECAMERE FEDERICO D’AMBROSIO E LEONOR MALAMATENIOS
I BAMBINI JULIETTE GOOSSENS IN ALTERNANZA CON IDA MÜHLECK, LÉA SWAELES IN ALTERNANZA CON LÉONIE CHAIDRON, DARYNA MELNYK IN ALTERNANZA CON EULALIE POUCET, ISAAC MATHOT IN ALTERNANZA CON NOA STAES
I CANI JUDY, OMEGA E OLRÙN
IL MUSICISTA PIERRE KISSLING IN ALTERNANZA CON VINCENT CAHAY
SCENOGRAFIA RUIMTEVAARDERS
COMPOSIZIONI VINCENT CAHAY E PIERRE KISSLING
DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA E DELLA MACCHINA DA PRESA FEDERICO D’AMBROSIO
DRAMMATURGIA SARAH SEIGNOBOSC
DISEGNO LUCI AMÉLIE GÉHIN
PROGETTO VIDEO FRÉDÉRIC NICAISE
DISEGNO DEL SUONO ANTOINE BOURGAIN
COSTUMI LAURENCE HERMANT
TRUCCO SOPHIE CARLIER
ASSISTENTI ALLA REGIA PAULINE RINGEADE & MAHLIA THEISMANN
DIRETTORE TECNICO DAMIEN ARRII
OGGETTI DI SCENA PHILIPPE VASSEUR
TRAINER DEI BAMBINI JULIA HUET E CAMILLE LÉONARD
OPERATORE DI RIPRESA LEONOR MALAMATENIOS
ADDESTRATORE DI CANI VICTORINE REINEWALD
CONTROLLO LUCI HADRIEN JEANGETTE
DIREZIONE DI SCENA MARC GRANDMOUGIN
COSTUMI SAMIRA BENALI
SOTTOTITOLI ERIK BORGMAN – WERKHUIS
RELAZIONI CON LA STAMPA DOROTHÉE DUPLAN, CAMILLE PIERREPONT E FIONA DEFOLNY, ASSISTITE DA LOUISE DUBREIL
ASSISTENTE BAMBINI ANNE LAHOUSSE
AMMINISTRAZIONE LILA PÉRÈS
PRODUZIONE DARIA BUBALO
TOURNÉE E COMUNICAZIONE JILL DE MUELENAERE
DIREZIONE DI PRODUZIONE E AMMINISTRAZIONE AUDREY BROOKING
COPRODUZIONI THEATRE DE LIEGE, FESTIVAL D’AVIGNON, THEATRE NATIONAL WALLONIE-BRUXELLES, ODEON – THEATRE DE L’EUROPE, LE VOLCAN – SCENE NATIONALE DU HAVRE, THEATRE DU NORD – CDN, THEATRE DE LORIENT – CDN, THEATRES DE LA VILLE DI LUSSEMBURGO, THEATRE DE NAMUR, LE QUAI – CDN D’ANGERS, LES CELESTINS – THEATRE DE LYON, MAISON DE LA CULTURE DE TOURNAI – MAISON DE CREATION, LA COOP ASBL & SHELTER PROD
COSTRUZIONE DEL SET ATELIERS DU THEATRE DE LIEGE E ATELIERS DU THEATRE NATIONAL WALLONIE-BRUXELLES
COSTUMI ATELIERS DU THEATRE NATIONAL WALLONIE-BRUXELLES
CON IL SOSTEGNO DI TAXSHELTER.BE, ING, TAX-SHELTER DU GOUVERNEMENT FEDERAL BELGE, WALLONIE-BRUXELLES INTERNATIONAL, FEDERATION WALLONIE-BRUXELLES – SERVICE THEATRE, LOTERIE NATIONALE
GRAZIE A L’USINE, COMPAGNIE POINT ZERO, PROJECTION ROOM
TESTO PUBBLICATO DA ACTES SUD-PAPIERS

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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