Al Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure Arrivano dal mare! di Ravenna l’occasione per fare il punto sul teatro di figura in uno dei luoghi simbolo, alla 48a edizione
Il teatro è pronto dentro ma, talvolta, il teatro inizia appena appena fuori. La sala sarà buia e forse un po’ paurosa, a non sapere chi sarà sul palco e cosa ci dirà, ma quando si attende di entrare ancora il gioco, che sarà degli attori, è dei bambini o, in tal caso, delle bambine: hanno, tutte, i capelli biondi di diversa misura e se ne stanno sul tappeto che costeggia il bar dove si attende l’ingresso; una sa far bene la verticale, poi ne arrivano altre due fisicamente prestanti che la fanno in una sorta di unisono già quasi professionale, ma il teatro, la forma di relazione tra spazio e umanità, tra ardimento e fragilità, arriva poco dopo, quando una quarta bambina dai capelli biondi, che osserva le altre un po’ intimorita da ciò che non sa fare, trova il coraggio per trasmettere a tutte le altre quella sensazione, raccoglie le forze e le porta ad ammirare un altro esercizio per cui lei si sente pronta: si arrampica con i piedi dal basso verso il muro, un’altra acrobazia che l’adulto osserva rapito, e tutte le altre la seguono raccogliendo l’invito al gioco, ad essere insieme comunità. Ecco, questa è l’immagine forte che il Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure Arrivano dal mare! di Ravenna, alla 48a edizione, lascia sulla retina di chi le osserva, per la naturalezza, il desiderio, ma un po’ anche per la tecnica a dire il vero.
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Questo è il titolo di quest’anno e no, non c’è un punto interrogativo. Segno che non si tratta di una domanda, ma di una affermazione derivata da ciò che verrà messo in scena e condiviso. I bambini sono sempre nelle prime file, così da dietro è anche più facile osservarli come uno spettacolo nello spettacolo: c’è uno, porta un cappellino con la visiera che è più grande del suo volto, uno fa merenda ma si sbriga perché la mamma gli ha detto che non può mangiare quando inizia, una bambina si aggiusta sulla sedia irrequieta, un’altra sta ferma, ma se la prende con gli occhiali che non le fanno vedere ancora come vorrebbe. Ecco, di cosa parliamo quando parliamo d’amore: quella forma di elettricità dell’attesa, di condiscendenza verso l’ignoto, di compromissione all’invisibile o non visibile ancora.
E poi, appunto, nel complesso delle Artificerie Almagià, qualcosa arriva a farsi vedere: c’è Mr Barti che tiene dai fili il burattino musicista, ballerino e cantante, alto lo stesso di questi piccoli spettatori che fanno fatica a credere non sia umano, non perché sia una sorta di umanoide ben fatto, ma perché per questi ascoltatori il gioco è una cosa vera, gli danno la mano e si fanno guidare ad abbracciarlo, lo fanno con naturalezza perché per loro non c’è confine tra verità e finzione.
Il Pinocchio di Teatro del Drago – compagnia che è alla direzione del festival con Roberta Colombo e Andrea Monticelli – ha fatto mille repliche in vent’anni lungo quattro continenti, il grammelot e le ombre riproducono la storia di Collodi in una dimensione onirica che non disdegna presenze inquiete; ogni tanto qualcuno si volta a cercare la sicurezza di un genitore, ma è un istante appena, poi di nuovo la fiducia è – in platea e nella vita – guardare sempre avanti.
Ma un festival dei burattini può mai fare a meno di Pulcinella? È l’ospite speciale, il metro attraverso il quale comprendere a che punto sia, l’arte della figura. OfficinaCommedia, di Paola Maria Cacace e Angela Dionisia Severino, presenta Pulcinella, Arlecchino e la città fantastica, ossia l’incontro pasticciato tra le due maschere per disegnare il progetto al fine di rifare la città, altrimenti nelle mani della brama di potere del padrone Pantalone; è un pensiero adulto, quello sulla privatizzazione dello spazio pubblico e sulla cecità del popolo nell’approvare degli amministratori privi di visione e di scrupolo, ma allo stesso tempo questa commedia dell’arte sa tradursi mirabilmente per le mani dei bambini: qual è la tua città fantastica? Chiedono le due maschere ad ogni spettatore che, sotto la sedia, troverà un foglio e un pennarello per tracciare, ad ogni età, i segni dei sogni. Pulcinella, per la prima volta interpretato da una donna, entra di spalle verso il palco perché ha il tempo contrario, anche qui forse i grandi hanno dovuto faticare per afferrare il principio che ai bambini pare abbastanza naturale. C’è un bambino con la bocca aperta in seconda fila, il suo rapimento è uno scorrimento emozionale fluido che si proietta sul palco e torna indietro sulla sedia. Ma senza che il bambino se ne accorga. È allora che arriva lì dietro la sua baracca Bruno Leone, un Pulcinella che racconta Pulcinella: Le mie prime guarattelle è un viaggio per mani, voce e pivetta che l’ultimo grande burattinaio della tradizione napoletana conserva e consegna, da un tempo all’altro, per mani molto piccole che un giorno, chissà, sapranno mantenere i fili a un nuovo burattino.
Once upon a time, c’era una volta. Eppure al Museo della fiaba di Emanuela Dall’aglio, allestito nel Teatro Rasi, le volte sembrano moltiplicarsi per tutti i reperti rinvenuti all’interno delle fiabe: dalla mela di Biancaneve a quella di Adamo e Eva, dalla treccia di Rapunzel alla scarpetta di Cenerentola, questo museo, gestito da una guida che non lesina un’ironia caustica e un po’ di sano terrore, permette una volta ancora di dire come il teatro di figura sia il punto d’incontro più efficace tra diversi pubblici: c’è chi bambino si muove in un terreno fantastico ma noto, chi bambino lo è stato e riscopre, a distanza di tempo, che certe storie di tempo non ne hanno, che “c’era una volta” sta a significare che “c’era e c’è tutte le volte” che tu – lettore, spettatore di ogni età – verifichi che sia finto e insieme credi che sia vero.
Simone Nebbia
Arrivano dal mare!, Ravenna – Maggio 2023