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L’ESTINZIONE DELLA RAZZA UMANA (di Emanuele Aldrovandi)

Questa recensione fa parte di Cordelia, giugno 2023

Foto Luigi Palma

In un tempo pressoché indefinito e dalle tonalità neutre, ma così simile al nostro, un’epidemia virale che trasforma gli esseri umani in tacchini costringe l’umanità all’isolamento domestico. Salvo emergenze eccezionali e mansioni quotidiane necessarie, a nessuno è consentito uscire dal proprio confine abitativo, nemmeno per un po’ di jogging. È questo l’ingranaggio che aziona la macchina scenica e drammaturgica del lavoro di Emanuele Aldrovandi: il cortile interno di un palazzo, rievocato negli ambienti metallici di Francesco Fassone al pari di una cella, è il luogo di scontro tra le posizioni morali di un colorito vicinato. L’opposizione tra coppie, Mario e Andrea, Giulia e Anna, è lo strumento di innesto tra i dialoghi, che pongono la questione sul rispetto delle norme, sul bene pubblico, sulla fine del mondo, sulla speranza nel futuro. Le conversazioni tra i condomini si sviluppano così attraverso una verbosità schietta e concitata, tramite incastri di domande-risposte e si susseguono nell’evocare riflessioni, immagini, parole di un lessico che rivela soprattutto il suo sostrato traumatico (contagio, positivi, restrizioni). La scrittura apparentemente semplice di Aldrovandi, ma in fondo di una complessità rara e precisamente calibrata, chiede però allo spettatore di prendere parte a questo dibattito, perché testimone “neutro” delle argomentazioni trattate. E lo spettatore – che siamo noi in sala, noi che quelle fratture di moralità e pensiero le conosciamo bene, noi che quel periodo di isolamento l’abbiamo vissuto sulla pelle – finisce per immedesimarsi, cambiare punto di vista, facendo vacillare la propria presa di posizione, comprendendo la problematicità delle riflessioni di ognuno. È chiara, qui, l’intenzione dell’autore e regista di raccogliere le diverse visioni e di «spingerle alle loro più estreme conseguenze, non de-costruendole col tipico approccio post-moderno, ma piuttosto iper-estendendole, fino al punto di rottura, o al paradosso». E nel paradosso, abitando nuovi confini, queste visioni respirano e sopravvivono, anche alla inevitabile trasformazione collettiva di uomini in tacchini. (Andrea Gardenghi)

Visto al Teatro Franco Parenti. Crediti: testo e regia Emanuele Aldrovandi, con Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi, con la partecipazione vocale di Elio De Capitani, scene Francesco Fassone, luci Luca Serafini, costumi Costanza Maramotti, maschera Alessandra Faienza, consulenza sonora GUP Alcaro, musiche Riccardo Tesorini, progetto grafico Lucia Catellani, aiuto regia Giorgio Franchi, foto Luigi De Palma

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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