Intervista a Valeria Told, prima sovrintendente donna dell’INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa.
Valeria Told è da maggio alla guida dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa in qualità di Sovrintendente. La Fondazione, uscita dal commissariamento nel 2018 e dopo la direzione di Antonio Calbi, rischiava una nuova battuta d’arresto in assenza del bando. Il ministro della cultura Sangiuliano ha dunque nominato la manager e musicista, che, tra i vari ruoli ricoperti, ha alle spalle la direzione generale per 11 anni della Fondazione Haydn di Trento e Bolzano, è stata membro del Consiglio direttivo del Conservatorio C. Monteverdi, vicepresidente dei Teatri di Tradizione, project manager per diverse istituzioni teatrali e musicali internazionali.
Dal punto di vista del management culturale quali sono le caratteristiche gestionali di una fondazione come l’INDA?
Nel passato era vissuta molto la parte artistica, mentre l’aspetto gestionale era considerato più come un fattore esterno – si tratta di un atteggiamento non solo nostrano. Adesso è cambiato il contesto, considerando le situazioni finanziarie più complesse, la gestione del pubblico, la presenza dei media, ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di un’ulteriore professionalizzazione in tale direzione. All’interno della fondazione INDA stiamo iniziando un percorso di elaborazione di linee strategiche e il relativo business plan; dobbiamo capire quali sono gli obiettivi strategici, se siamo sulla strada giusta, se e dove adeguare, imparando dalle buone prassi che ci sono nel mondo dell’economia e nell’impresa per poi adattarle al contesto culturale.
Quali scelte sono da prendere e cosa comportano dal punto di vista delle possibilità per gli artisti?
Un esempio molto concreto riguarda la gestione delle tempistiche: se riusciamo a gestire le decisioni con un cospicuo preavviso, a cascata riusciamo ad avere artisti e artiste di altissimo livello, a costruire una scenografia con una pianificazione congrua, a ottenere una comunicazione anche orientata all’estero… A pensarci a ritroso, iniziano ad emergere tutti gli aspetti fondamentali a cui dedicare il necessario tempo. Vale il principio dell’effetto farfalla, che batte le ali in oriente e cambia il meteo in occidente, dobbiamo pensare a ritroso a tutte quelle scelte che potranno influenzare azioni in tempi anche distanti.
Adesso [con la stagione 2023 in corso, ndr] stiamo lavorando alla scenografia del prossimo anno: i registi si trovano ora in una fase progettuale, a settembre ci sarà la presentazione dei concept, così avremo due mesi per adattarli e capirne le fattibilità con tutto il nostro staff tecnico, poi tra novembre e la metà di dicembre inizieranno le costruzioni effettive con l’obiettivo di averle pronte per la prima giornata di prove, ovvero almeno tre settimane prima dei singoli debutti.
In un teatro con le dimensioni come le nostre serve un tempo consistente per l’allestimento, non si possono utilizzare macchinari e bisogna portare pressoché tutto a mano sul palco perché bisogna salvaguardare il monumento in cui ci troviamo; abbiamo bisogno sempre di più tempo. In passato c’erano delle tempistiche più strette ma ci stiamo lavorando, anche perché le decisioni poi devono essere approvate dal CdA. Nella scelta del regista si parte due anni prima – tre anni nel caso di registi molto richiesti –, questo approccio è tipico nell’ambito dell’opera, nel quale le tempistiche sono prese con largo preavviso, nel mondo teatrale questa pianificazione può lasciare sorpresi, di solito queste decisioni vengono prese con tempi molto più ridotti. Poi, fisicamente, chi dirige deve rimanere tre settimane prima del debutto, il resto può anche farlo da remoto.
Con quali criteri vengono selezionati i registi o le registe?
Abbiamo una platea da 5 mila persone, dunque abbiamo bisogno di una messinscena popolare. Non possiamo permetterci di fare esperimenti non in grado di chiamare altri numeri di pubblico, il compito dell’INDA è diffondere quanto più possibile le rappresentazioni classiche: i registi devono avere la dimestichezza di lavorare con un palco e un pubblico di tali dimensioni.
In generale, nelle nostre linee guida c’è sempre l’intenzione di coinvolgere un regista con un curriculum internazionale, un regista nazionale di peso e uno più emergente che però sia già riuscito ad ottenere dei riconoscimenti anche se magari si trova ancora in una fase di crescita. Sulla base di questi criteri, delle rispettive disponibilità, a partire anche dal confronto tra le loro interpretazioni di altri spettacoli teatrali e quanto noi come Fondazione INDA vogliamo proporre al nostro pubblico, si prende poi la decisione; non c’è un unico criterio. La scelta del regista così come le indicazioni delle linee strategiche partono dal sovrintendente, in questo caso dunque da me, e poi le scelte vengono deliberate dal consiglio di amministrazione. La strategia della Fondazione deve essere ben chiara e coerente; se per esempio scegliessimo di promuovere spettacoli solo con costumi storici, o spettacoli in grado di risuonare con tematiche contemporanee, questo dovrebbe essere chiaro fin da subito.
L’INDA negli anni ha vissuto momenti più conservativi e altri di maggiore sperimentazione, in un sistema politico in cui i valori della tradizione vengono rivendicati, e a volte strumentalizzati, anche e soprattutto in ambito culturale, qual è il rapporto tra classico e contemporaneo?
Il punto di partenza è sempre il testo: se ancora nel 2023 andiamo ad ascoltare e vedere le rappresentazioni classiche, vuol dire che il legame è ancora profondo, il nostro scopo è capire perché riusciamo ancora a entrare in dialogo con testi di 2500 anni fa, far emergere dal testo la loro contemporaneità. Dunque poi si chiede al regista di dare una propria interpretazione della contemporaneità. Per esempio, nella stagione in corso, progettata da chi mi ha preceduto, vedo un legame con temi molto attuali: dal Prometeo situato in questo finis terrae industriale dove la tecnologia ha portato l’uomo alla distruzione totale, con la Medea Federico Tiezzi fa dialogare il mondo capitalistico e mondo sciamanico mentre già dal titolo è evidente la scelta della Pace, nel sogno di Trigeo che vorrebbe portare la pace sulla terra, ma si scontra con il desiderio dell’uomo di vivere sulla guerra.
Dal punto di vista amministrativo la posizione della Fondazione nel passato è stata oggetto di dissesti e di questioni da risolvere, rimane qualcosa da fare?
Al momento sì, ho trovato i conti in pari; è stato fatto un lavoro importante da parte di chi ha precedentemente governato, tutte le procedure sono state ben sviluppate e seguite. Ci sono ancora alcune questioni aperte legate a contributi vecchi per cui trovare delle quadre, sicuramente lavoreremo per chiudere tutto e avere una nuova partenza pulita. La Fondazione ha delle entrate private pari al 70%, che è una quota altissima, in Italia c’è solo un’altra istituzione che è l’Arena di Verona ad avere tali caratteristiche, normalmente la parte privata è di solito del 20%, ed è già tantto, si tratta di un importante segnale di salute.
Dal punto di vista del pubblico, che è sempre molto numeroso, state notando delle variazioni in termini di sbigliettamento, tipologie di spettatori?
C’è una variazione di pubblico molto ampia. sicuramente vorremmo lavorare su pubblico che viene anche dal resto di Italia e dall’estero. Quello che noto è che abbiamo un grande numero di pubblico giovane, l’anno scorso, sui 150.000 spettatori complessivi 30.000 erano giovani, ma c’è un pubblico di tutte le età. Quest’anno abbiamo notato già una crescita ulteriore, si tratta di segnale importante in quanto abbiamo superato la criticità pandemica.
Per quanto riguarda le politiche in favore degli spettatori al momento sono previsti prezzi convenzionati per gli studenti (5€), le giornate siracusane che sono specificatamente rivolte ai cittadini (15€), ma anche 8 giornate a prezzo unico (28€) per tutti e altre convenzioni.
Le tournee sono state a lungo precluse a questi spettacoli, invece ora è possibile per alcuni. Che peso ha nella scelta degli allestimenti la possibilità di circuitare? Si tratta di una scelta a priori o successiva?
Si tratta di una strada che vogliamo percorrere nel futuro ma deve essere una scelta da prendere a priori, il regista o la regista deve già pensare a un allestimento per buona parte modulare che poi può essere integrato con delle costruzioni fatte ad hoc. Quest’anno abbiamo la grande fortuna di aver ottenuto un fondo del ministero per diffondere le rappresentazioni classiche per cui riusciremo ad andare a Verona, ad Agrigento, a Pompei, a Ostia, a Milano [Quest’anno gireranno la Medea, l’Ulisse e la Pace, ndr]. Avremo così la possibilità di diffondere il repertorio classico, che è uno dei nostri compiti principali oltre alla preparazione degli spettacoli. Speriamo di poter replicare questa strategia anche l’anno prossimo sia in Italia che all’estero, sia nei cosiddetti “teatri di pietra” che anche in altri luoghi più convenzionali. Chiaramente, per mettere le nostre scenografie luoghi che non siano il Teatro Greco, sono poi necessari oltre agli adattamenti modulari, almeno ulteriori due settimane di prove con gli attori per rimontare il tutto.
Sono già previste delle sinergie con gli altri teatri antichi?
Soprattutto nell’Europa meridionale esistono diversi teatri di pietra, ci piacerebbe creare una rete europea, insieme per la valorizzazione di questi teatri. Sono dei percorsi che bisogna iniziare per vedere cosa riusciremo a fare nel corso degli anni, il nostro obiettivo primario sono le rappresentazioni classiche a Siracusa. Al momento non esiste una sinergia consolidata, ma delle collaborazioni che si definiscono di volta in volta. Tra i punti del mio programma ho individuato la costruzione di una rete nazionale dei teatri di pietra con cui condividere le peculiarità di questo tipo di rappresentazioni. È complessa la gestione e la salvaguardia del monumento e nello stesso tempo è importante aprire questi monumenti al pubblico tramite la fruizione degli spettacoli.
Oltre alla formazione dell’ADDA, l’Accademia D’arte del Dramma Antico, direttamente coinvolta e connessa all’INDA, sono previste altre manifestazioni legate alla formazione? Che valore assume oggi per la Fondazione?
Il festival internazionale di teatro classico dei giovani che si svolge ogni anno a Palazzolo Acreide [dal 1991 al 2000 aveva una cadenza biennale, poi diventato annuale, ndr] è un pensiero lungimirante, quest’anno vi hanno partecipato quest’anno 90 licei e università, sono così appassionati che alcuni di loro vanno in tournee, alcuni di loro iniziano a muovere i primi passi in teatro.
l’ADDA non è riconosciuta a livello della Silvio D’Amico, è un istituto privato, vorremmo riuscire a renderla equipollente al diploma universitario, metterla in rete con le altre accademie. Entro l’autunno decideremo quale visione dare all’accademia per poi partire con il nuovo triennio nell’autunno 2024. Vediamo chiaramente negli spettacoli cui partecipano ogni anno competenze molto alte nel canto e nella recitazione, ma vorremmo offrire un piano di studi agli studenti in modo tale che possano trovare lavori anche al di fuori del teatro greco. Ci sono tutta una serie di questioni cui pensare oltre alla qualità, che già c’è: stili recitativi diversi, per diversi mezzi, altre materie da poter portare in accademia, sia come integrante ai piani di studio che come masterclass aggiuntive. Penso che la cosa più importante sia capire cosa sia richiesto nel mondo del lavoro e quindi formare la proposta accademica in risposta. È molto buono per loro partecipare ai nostri spettacoli perché vengono visti dai registi, alcuni di loro sono già stati scelti, nello stesso tempo è anche molto faticoso in quanto la maggior parte dei ragazzi del 2° e del 3° anno sono coinvolti in più di una produzione.
Viviana Raciti