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JÉRÔME BEL (di Jérôme Bel)

Questa recensione fa parte di Cordelia, giugno 2023

È incredibile che siano passati quasi trent’anni. Faccio fatica a tenerne il conto (oggi, poi, che tutto ci ha segnato…). Jérôme Bel di Jérôme Bel, che è del 1995, è riapparso intatto, in tutta la sua forza (e retorica) nel programma del camping estivo del CN D di Pantin a Parigi. Il seminale lavoro di Bel, qui anche con due degli straordinari interpreti originari (Frédéric Seguette e Claire Haeni), risente della lettura di Le Degré zéro de l’écriture, e ammicca evidente al Barthes di Roland Barthes. Cinque corpi nudi fanno a pezzi le strutture verbali e i significanti che sorreggono il dispositivo teatrale, con l’uso soltanto di una lampada (con un effetto perenne di grotta platonica), la voce che solo canticchia (brani, credo, della Passione di Matteo) e la scrittura che designa (i nomi) e trasporta (i significati attraverso i significanti) anche per cancellazione (così della scritta JOHANN SEBASTIAN BACH non resta leggibile che ABBA, e sùbito parte Dancing Queen). La richiesta di una scena senza gerarchie estetiche e coercizioni culturali, la ricerca inesausta di un neutro possibile (ma che resta simbolico) capace di giustizia, è sapientemente inseguito (e assorbito) non senza l’uso di forti metafore e inevitabili allegorie. Tuttavia ciò che maggiormente, alla fine, sorprende in questa evidenza tutta ragionamento sul come e sul cosa dei meccanismi della performance, riconosciuti e smontati ed esposti, è che non crea nostalgia alcuna. L’ultimo interprete compare in scena di tutto punto vestito, per partecipare al meccanismo che lo celebra, giusto il tempo per gli altri performer di uscire di scena, e lasciarlo solo, per gli applausi finali. Dopo trent’anni, tutto accade di nuovo ma nel tempo allenato della memoria, senza l’oblio necessario al sentimento della nostalgia. Come per quei saggi critici, fondamentali e formativi, che una volta bene assimilati e resi operativi, alla rilettura risultano poi freddi e frenanti, incapaci di deriva. (Stefano Tomassini)

Visto a Les Laboratoires d’Aubervilliers (Pantin). Crediti: di Jérôme Bel, con Éric Affergan, Yaïr Barelli, Michèle Bargues, Claire Haenni, Frédéric Seguette.

 

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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