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Eleusi a Milano. L’ironia del tragico

Al Piccolo Teatro di Milano Davide Enia ha presentato un’opera articolata nell’arco di 24 ore. Eleusi, dal nome della città dei misteri dell’antica Grecia, affronta il tema della morte e della violenza, della tortura e del potere. Nel teatro di una città ignara, Milano, che si avviava a diventare teatro non di tragedia ma di commedia. Recensione

Foto Masiar Paquali

Molto spesso, troppo spesso, quando si dà conto di esperienze teatrali di lunga gittata, previste in spazi diversi che si raggiungono attraversando parti di città, si tende a eliminare tutto ciò che sta nel mezzo tra un evento artistico e l’altro, come se tutto il tragitto, l’ambiente esterno, non ne facessero parte. E invece la portata di tali esperienze si arricchisce proprio di tutto quanto in apparenza non c’entra, tutto il carico del trasferimento da un posto all’altro, la differenza del momento in cui si sceglie di partecipare, il meccanismo stesso della ripetizione e i diversi accadimenti del mondo che – teatro o non teatro – continua ad andare avanti. Ecco, questo sembra un approccio possibile per orientarsi nelle 24 ore di Eleusi, rito teatrale che Davide Enia ha realizzato per il Piccolo Teatro di Milano, collegando due delle sale del teatro milanese attraverso un calendario giornaliero scandito dal tramonto al tramonto. Mentre fuori appunto, il mondo, era occupato da altre faccende.

Foto Masiar Paquali

Eleusi. Nell’antichità greca è la città dei famosi misteri, capaci di offrire caratteri esemplari definiti dal mondo immortale per quello mortale, la cui qualità di segretezza offriva l’idea che solo l’immersione, impedita nella vita cosiddetta diurna, ne fosse la possibile esperienza; proprio allora la religione iniziava a configurarsi come emblema di ciò che è altro dall’umano, attorno o sopra la vita mortale. E dunque, in tal modo, la partecipazione ai misteri eleusini rappresentava una continua ricorrenza del sacro nella vita mortale, ma più ancora una purificazione della mortalità che si rinnova nel ciclo della vita. Enia intende dunque ricavare da questo titolo e dalla scelta dell’arco temporale proprio il riferimento al rito sacro, atto umano del culto divino, per dirla con un assunto filosofico: evocazione del tempo assoluto nel tempo più breve della durata. Ciò è vero anche per i luoghi scelti: il Teatro Grassi, dove furono torturati e uccisi civili e oppositori antifascisti tra il ‘43 e il ‘45; il Teatro Studio Melato, un tempo Teatro Fossati, che fu chiuso per molti anni finché fu proprio Strehler, il fondatore del Piccolo, a riaprirlo nel 1986. Il passaggio dal buio della chiusura e della morte alla luce dell’apertura e della nuova vita, fa corrispondere i due teatri secondo Enia a questa nostra civiltà, o almeno questo paese finito nella secca di una pulsione culturale retroflessa.

Foto Masiar Paquali

L’opera è così suddivisa lungo le 24 ore: al Teatro Grassi si ripete una performance collettiva di 20 minuti, che ricomincia ogni ora; al Teatro Studio si alternano senza pausa gruppi corali che, con talvolta la voce narrante di Silvia Giambrone tra le note, riempiono il vuoto di un canto ininterrotto. Il valore simbolico dell’intera operazione, che nel dittico trova una sua unità, ha l’atto teatrale come prima evocazione, perché più dura, inaccettabile. Allo Studio la successione dei cori richiama una ritualità antica, i canti sembrano passare l’uno nell’altro anche se cambia la postazione e il cono d’ombra in cui sono ospitati gli spettatori; si siede in alcuni angoli, per terra, ci si abbandona alla totalità dei versi che, pur di difficile comprensione, emettono una risonanza emotiva avvolgente.

Foto Masiar Paquali

Gli attori al Grassi, diversi gruppi si succedono interpretando le stesse scene, mettono invece in risalto la violenza delle torture, quadri che ricalcano situazioni di sopraffazione o in modo più astratto effondono attraverso il canto o la danza tutto il dolore che la violenza ha provocato; le torture, avvenute davvero in questo squisito palazzetto del centro città, sembrano urlare da dietro i muri ricostruiti, ridipinti, da sotto le tende e le poltrone che li hanno arredati, come se volessero squarciare il tempo attraverso il mistero, riapparire dal passato dissepolto sotto forma di carne viva; le immagini, non sempre sostenute da parole ma magnificate dalle luci di Manuel Frenda e dalla musica di Serena Ganci, si stagliano dal palco al fondale attraverso un ripetuto gioco di ombre che ingrossa le figure, ne amplifica la massa perché la scena se ne senta schiacciare, proprio come se la sopraffazione del potere fosse non solo nei gesti indifferenti, che colpiscono senza toccare e definendo la schiavitù con la sola imposizione del limite, ma già nell’immagine in sé stessa. Sembra dunque, nella relazione tra i personaggi fissi di queste piccole scene, che l’esercizio del potere e la violenza abbiano in comune una componente giocosa, attraverso cui il male arriva immotivato, privo di cause. “Ricordare non assolve, non redime”, è un monito che si assimila con rabbia mentre si tenta proprio l’atto della memoria, dei luoghi e delle persone, ammantata da un canto ininterrotto che ne rivela il senso tragico.

Ma poi lo spettacolo finisce, per raggiungere l’altro teatro bisogna fare una via “corridoio” dove si incontrano i pellegrini del teatro, da una sala all’altra. Si passa insomma in mezzo al centro di Milano, una città che durante le 24 ore tra sabato e domenica ignora ciò che avverrà il lunedì mattina: la morte del re, la piazza del Duomo pronta per il funerale, coro tragico a piangere e colare trucco dalla plastica dei lineamenti, collegamento TV ininterrotto più lungo di Eleusi, rito contemporaneo di assoluzione e purificazione dell’umano nella sua veste peggiore; da qui, da questa celebrazione, partirà poi il lutto nazionale e l’ordine di stop dei lavori parlamentari per una settimana. E quasi, da Milano, sembra una buona notizia: il governo di cui il re faceva parte, da marzo 2023, ha consegnato alle Camere una proposta di abolizione del reato di tortura. Magari per una settimana non la approvano. E allora l’importanza di Eleusi, il monito con cui si chiude, rinnova per converso la necessità della memoria come atto labile di giudizio storico: nel teatro di Milano va in scena la tragedia, ma Milano stessa si fa teatro di commedia.

Simone Nebbia

Piccolo Teatro, Milano – Giugno 2023

ELEUSI
prima nazionale
di Davide Enia
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Teatro Grassi
musiche e regista assistente Serena Ganci
costumi Gianluca Sbicca
luci Manuel Frenda

dalle 21 del 10 giugno alle 2.20 dell’11 giugno
dalle 16 alle 21.20 dell’11 giugno
Valentina Bosio
Enzina Cappelli
Eleonora Gambini
Daniele Pilli
Luigi Maria Rausa
Simona Sala
Vito Vicino

dalle 3 alle 9.20 dell’11 giugno
Giovanni Consoli
Roberta Indolfi
Carola Invernizzi
Sebastian Luque Herrera
Emma Rebughini
Riccardo Rizzo
Giacomo Toccaceli

dalle 10 alle 15.20 dell’11 giugno
Gian Mattia Baldan
Giulio Cervi
Michele Ermini
Alessandra Indolfi
Alessia Lombardi
Lorena Nacchia
Beatrice Verzotti

Teatro Studio Melato
regista assistente Giulio Barocchieri
luci Manuel Frenda
in collaborazione con Cori Lombardia
performances corali per 24 ore continuative

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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