HomeArticoliWilliam Forsythe alla Scala e la fine del nuovo

William Forsythe alla Scala e la fine del nuovo

Recensione e approfondimento. L’atteso debutto scaligero di una nuova tappa dei Blake Works di William Forsythe non ha deluso le aspettative. Molti passi, tanta velocità e formidabile chiarezza esecutiva hanno anche rivelato una condizione del balletto post-pandemico per niente solare e aproblematica.

Foto Marco Brescia & Rudy Amisano

È un grande atto d’amore in forma di suite. Pieno di nostalgia. Per il presente. Ma anche pieno di ambiguità per la sua ricezione. Perché rischia di essere visto come un lavoro di semplice godimento interamente disegnato dal dipartimento vendite, quello che invece è il più atroce atto di necrofilia coreografica nei confronti di quel sistema. Perché è un apologo sulla fine.

La fine del nuovo. Ossia la fine del guardare e ricevere un balletto come un prodotto capace sempre di novità. Non è per niente un lavoro senile, forse meditativo, di certo compendiario (infatti sùbito vien da pensare: quello viene da lì, questo lo ha già fatto di là…), ma perché in parte realizzato come reazione alle difficoltà dell’isolamento pandemico. È anche un progetto di grande pretesa estetica post-presente. The Barre Project è infatti nato per celebrare e insieme esplorare (e innervare) la logica delle convenzioni che sono alla base del vocabolario del balletto classico. E Forsythe lo fa scommettendo sulla musica post-dubstep ricca di atmosfere soul del compositore britannico James Blake.

Foto Marco Brescia & Rudy Amisano

LA SBARRA SOSPESA

Il programma che ha debuttato in Scala, dal titolo Blake Works V, è composto di tre parti: un Prologue (su Lindesfarne I di Blake, nuova creazione per la formazione scaligera), poi The Barre Project (del 2021, creato in piena pandemia), e Blake Works I (che è invece del 2016). Il prologo è abbastanza mite, c’è un’aria insieme di ricchezza, con singole apparizioni molto dinamiche, ma anche di desolata ‘povertà’: corpi gettati in uno spazio illimite, come nelle vuote piazze italiane del solito De Chirico, o sui disabitati pavimenti decorati di tanta pittura italiana rinascimentale. Ed è tutto molto intenso e di grande eleganza, tutti sembrano divertirsi immensamente ma questa gioia, questa happiness reliquiaria e dell’abbandono è sempre solitaria, senza comunità né forse comunione. Anche un duo davvero mirabile (di Navrin Turnbull e Giulia Lunardi, affiatatissimi) che progredisce orizzontale tra prese toccate e spostamenti (senza, credo, mai un lift), non riesce quasi a scaldare, quello che appare resta come muto (in senso metaforico, com’è ovvio) perché il vuoto che circonda sempre sovrasta. È stato levato tutto. Tranne loro, unico incanto.

Foto Marco Brescia & Rudy Amisano

Il video di transizione che anticipa la centralità confortante della sbarra di danza come simbolo di ripartenza post-Covid alla quale è votato la parte di questo progetto (ossia, nel video, mani che si spostano si appoggiano si incrociano e si sfiorano sopra una sbarra) è però di una banalità sconcertante. C’è casomai da chiedersi come mai Forsythe abbia pensato che ciò potesse bastare.

Finalmente, The Barre Project, che è bellissimo, ed è similmente tetro: nero funebre ovunque (scatola scenica e costumi), con questa sbarra orizzontale al centro illuminata come se fosse in una vetrina, ma anche come imbalsamata al centro di una veglia funebre, e della quale non vediamo la messa a terra (i piedi che la sorreggono): bara sospesa sul suo invisibile catafalco. È un rimando all’imperituro?, qualche fumo metafisico?, due passi per la veglia litanica?, non datur casus, non datur saltus.

Foto Marco Brescia & Rudy Amisano. Sessione di prove

Gli arrivi e le partenze per da e verso questa sbarra si alternano veloci, sono tutti assoli, speditissimi briosissimi orchestratissimi e balanchinianissimi, ricchi di dettagli ma solitari, anch’essi come sospesi, con un effetto postpandemico di prolungata nostalgia per il presente che a vederlo e sentirlo toglie tutto il fiato. (E qui Rinaldo Venuti è ipnotico, potente, calamita energie e sembra fare tutto, sembra essere dappertutto, compare e scompare per ogni dove: una rivelazione).

MUSICA SCOMPOSTA

Occorre riconoscere però che la musica di James Blake è bruttina, già anche un po’ old-fashion con quella ritmica glitch, i bassi allungati e quell’uso ossessivo del vocoder che francamente ormai si ascolta ovunque. L’interesse non è quindi d’ascolto, ma nella scomposizione acustica continuamente proposta, nella qualità del tempo diluito e nei silenzi calcolatissimi, tutto molto spesso fuori sincrono col movimento, che è sempre una meraviglia guardare. Anche nella seconda parte, la musica più ballabile di Blake non si sottrae all’impressione di un sottofondo da lounge un po’ hipster e un po’ cringe, un’elettrotecno da ascensore (come un Brian Eno già sentito, un Robert Fripp già raggiunto e assimilato, un Sol LeWitt studiato e ristudiato). Qui la vera sorpresa è Linda Giubelli intensa, spiazzante, con uno sguardo aperto che sembra perfettamente dominare, con perizia, palco e platea. (Da dove le verrà tanta forza, c’è da chiedersi: una presenza che è riscatto ben oltre la dismisura del talento…).

Foto Marco Brescia & Rudy Amisano

C’è spazio anche per un disgraziato abbinamento di colori (che non perdoneremmo mai a nessuno) negli abiti di scena per un dinamico duo, in realtà stratosferico e seducente (dei bravissimi Christian Fagetti in maglietta verde intenso militare e calzoni neri, e Alice Mariani in body e gonnella azzurri pastello, invece, per un accostamento da denuncia). Ma appunto affinché nulla sia o appaia memorabile, tutto sia invece possibile, accostabile, compresente e al di fuori di ogni cronologia. Una estetica senza l’estetica, il mistero in quelle che Forsythe chiama «eccezioni coreografiche», il virtuosismo epifanico dell’ordinario perché “solo conta il movimento”.

William Forsythe alla Scala. Foto Marco Brescia

FIGURE DEL RITORNO

C’è infine una figura cinetica apparentemente insignificante ma ricorrente e che chiede attenzione: sono sporadiche camminate all’indietro di figure maschili, così, dirette quasi da quinta a quinta, à la Trisha Brown, riavvolgendo il tempo, ballando a ritroso, come esplicite figure del ritorno. Post-memoria e post-presente. Questo intenso nuovo mondo creativo di Forsythe non celebra dunque il nuovo, ma la fine del nuovo: ci libera dall’idea di un balletto che si alimenti della novità dei propri formati (alla McGregor, per intenderci). Del resto, è proprio il funerale come spazio di celebrazione il più vero congedo dalle forme obbliganti del tempo.

Stefano Tomassini

Visto al Teatro alla Scala, in scena fino al 30 maggio 2023

Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Durata spettacolo: 1 ore e 35 minuti ca. inclusi intervalli

BLAKE WORKS V

Prologue
Nuova produzione Teatro alla Scala
Prima rappresentazione assoluta
William Forsythe, coreografia, scene e costumi
Jodie Gates e Noah Gelber, assistenti coreografo
James Blake, musiche
Tanja Rühl, luci sui disegni originali di Brandon Stirling Baker

The Barre Project
Nuova produzione Teatro alla Scala
William Forsythe, coreografia, scene e costumi
Jodie Gates e Noah Gelber, assistenti coreografo
James Blake, musiche
Tanja Rühl, luci sui disegni originali di Brandon Stirling Baker

Blake Works I
Nuova produzione Teatro alla Scala
Prima rappresentazione 4 luglio 2016, Ballet de l’Opéra de Paris, Palais Garnier
William Forsythe, coreografia e scene
James Blake, musiche
Dorothee Merg e William Forsythe, costumi
Tanja Rühl, luci
Musica su base registrata

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Laura Curino. Un teatro di ispirazione, per e con il pubblico

A Genova è da poco passato lo spettacolo Alfonsina Alfonsina, con la regia di Consuelo Barilari e il testo di Andrea Nicolini. Abbiamo intervistato...

 | Cordelia | dicembre 2024