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Una Supernova nel cielo di Rimini. Conversazione con Daniela Nicolò

Supernova, il progetto per le arti performative curato da Motus e Santarcangelo dei Teatri,
sta esplodendo nel centro storico della città di Rimini, dal 12 al 16 aprile. Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, abbiamo intervistato Daniela Nicolò.

Foto di Enrico Casagrande

Daniela Nicolò mi risponde al telefono al primo squillo e ha una nota festosa e indaffarata nella voce. È nel pieno dell’allestimento al Teatro Galli e degli ultimi preparativi prima dell’inizio di Supernova, il progetto per le arti performative che sta curando, come sempre insieme a Enrico Casagrande e ad Associazione Santarcangelo dei Teatri, e che esploderà a Rimini dal 12 al 16 aprile. Si tratta, per Motus, di un’avventura nuova, sostenuta dall’impegno del Comune di Rimini e della Regione Emilia-Romagna che porterà in tutti gli ambienti del teatro cittadino, «più che un festival, o una rassegna, amiamo chiamarlo un’occupazione», e nelle piazze che lo circondano una programmazione composita, che tiene insieme compagnie storiche (Cristina Kristal Rizzo, mk, Kinkaleri, Masque, Ateliersì, Fanny & Alexander, Giorgina Pi, grupponanou) e realtà più giovani, locali e internazionali. Ci saranno anche tre workshop: Criaturas Humanas tenuto da Susana Botero Santos, dedicato al design tessile in relazione all’identità; Plutone/Esploso, esperimento coreografico in forma di laboratorio curato da Elisabetta Consonni e Supernova Fanzine LAB, per la creazione di un gazzettino spettatoriale di Supernova, con la supervisione di Mariagloria Posani e Laura Gemini. Inoltre, poiché gli artisti coinvolti nel progetto sono da tempo impegnati in un dialogo attorno a questioni di politica culturale e indipendenza produttiva, c’è ora l’intenzione di aprire questo dibattito attraverso due incontri pubblici, dal titolo significativo: Annusa i fiori finché puoi. La finalità è quella di ragionare e operare nel segno di un principio di realtà, distante dal negazionismo ma anche dallo scoraggiamento, un po’ alla maniera di Jonathan Franzen che, nel saggio What if we stopped pretending? (2019) approccia il problema della crisi climatica sostenendo che solo attraverso l’accettazione dell’imminenza del disastro si possa elaborare la vera speranza. L’immagine della supernova –  “stella degenere” che, in un tempo di qualche settimana, può eguagliare l’energia emessa dal sole nella sua intera esistenza, e che può portare alla formazione di nuove stelle – condensa in sé l’idea della distruzione, dell’irreversibilità e quella dell’evoluzione.

Foto di Ilaria Depari

Si legge nella nota curatoriale: «La supernova è un’esplosione stellare di enorme potenza, / con la sua luce può illuminare / ciò che altrimenti resterebbe al buio». Cosa è che resterebbe al buio?

È la prima volta che organizziamo nella nostra città un’iniziativa del genere. Rimini ha una sua programmazione interessante, in cui trova spazio il contemporaneo – anche noi siamo stati presenti con i nostri lavori – però ci siamo resi conto che mancava un evento che potesse funzionare da catalizzatore. Quando il Comune ci ha rivolto l’invito di “curare il contemporaneo”, abbiamo pensato che un primo gesto offerto alla città, più potente e illuminante rispetto al fare una serie di date nella stagione, potesse essere concentrare la proposta: creare una cellula pulsante di persone che abitassero la città e, anche e soprattutto, il Teatro Galli. È un teatro bellissimo, rinnovato, istituzionale, dedicato anche alla lirica, insomma un teatro con tutto il suo corredo di ori e palchetti. Abbiamo pensato di aprirlo a una comunità di artiste e artisti che noi frequentiamo e viviamo da anni in tanti contesti, tra i quali il più vicino è il Festival di Santarcangelo, e abbiamo subito trovato una forte complicità nel settore cultura del Comune di Rimini. Insomma una “protesi primaverile”, mossa da un pensiero che si spinge al di là della stagione: Supernova è infatti inserita all’interno di un progetto triennale, che punta, in futuro, a toccare anche altri spazi, più periferici. Rimini è una città interessante e, da riminese, ho assistito alla sua mutazione, anche urbanistica, e anche riferita ai luoghi deputati alla cultura. È il momento di lavorare sulla continuità: noi vorremmo svilupparla a partire dall’aspetto laboratoriale, dai progetti partecipativi. Si tratta dunque di creare un nuovo pubblico, di fare entrare nei luoghi “consacrati” chi di solito non li frequenta. Un po’ come è accaduto quando abbiamo presentato Tutto brucia al Galli: è stato un sold-out molto bello, con tanto pubblico locale che paradossalmente non aveva mai visto il teatro, perché continua a esserci una sorta di separazione tra i linguaggi teatrali e performativi. La supernova evoca l’idea di qualcosa che compare all’improvviso, in un cielo che è di tutti, che abbaglia e poi scompare, ma che speriamo lasci tracce, che segni.

Foto di Ilaria Depari

A proposito del Teatro Galli, mi è sembrato di capire che verrà usato in funzione di un’idea di intimità e di rottura delle gerarchie. Puoi raccontarci qualcosa in più?

L’idea è quella di usare il Teatro Galli non concependolo solo come un grande palco e una grande platea, circondata dai palchetti. Ci sono sale bellissime che non sono state neanche mai viste, come la sala danza e la sala musica, a volte un po’ complesse da raggiungere. Il percorso può essere labirintico e su più livelli ma, naturalmente, ci sono gli ascensori e c’è stato un pensiero rivolto all’accessibilità per tutte e tutti. In alcuni di questi spazi si svolgeranno i workshop e gli incontri: le sessioni di lavoro per la fanzine (curate da Mariagloria Posani e da Laura Gemini, rispettivamente per l’aspetto grafico e quello contenutistico) e gli appuntamenti di Annusa i fiori finché puoi. E, poi, la scelta che più ha sorpreso ed è stata anche accolta positivamente dalla responsabile della programmazione culturale: avendo varie proposte spettacolari che richiedono un rapporto ravvicinato con il pubblico e non volendo appunto strutturare una gerarchia, abbiamo deciso di portare spettatori e spettatrici sul palco, così che possano percepirlo in tutta la sua altezza, e di lasciare vuote le 650 sedute della platea. C’è stata grande disponibilità verso le nostre proposte, in parte dettate anche dalla necessità di aggirare, assecondandone la natura, ostacoli di budget, creando quindi una serie di dispositivi che intensifichino la prossimità, esplorando formati “strani” che investano tanti luoghi, compreso il museo della città. Una serie di ramificazioni che riflettono anche i linguaggi plurimi di queste compagnie che, come noi, amano avventurarsi in nuovi territori.

L’invito ad annusare i fiori finché si può si allaccia, mi sembra, al sentimento della fine del mondo (o del “post fine del mondo” …), centrale anche in Tutto brucia e della sua opera-fonte, Le Troiane di Jean-Paul Sartre. Contiene un anelito di resistenza e un compromesso con la provvisorietà…

Questo titolo è un omaggio al poema Smell the Flowers While You Can di David Wojnarowicz e lo amiamo molto: si tratta, sì, di una frase apocalittica ma, allo stesso tempo, contiene appunto un invito al fare, al godere del fare. Per adesso, si tratterà di due giornate laboratoriali in dialogo con varie compagnie e artisti, a proposito di arti performative e politiche culturali: lo scopo è giungere a una “scrittura” condivisa e rilanciare altre date, visto che il progetto nasce da alcuni incontri spontanei con Cristina Kristal Rizzo, mano a mano allargati a una sorta di dialogo attorno al tema del rischio, organizzato in forma collettiva e aperta al pubblico e accompagnato dagli interventi di Laura Gemini e Paola Granato. Cerchiamo, come artiste e artisti, un luogo in cui poter prendere parola su alcune questioni molto concrete, come la spartizione delle risorse, la fondazione di una compagnia, le modalità del fare impresa. Sarà anche un’opera di “redazione insicura”, una collezione di istanze da parte di compagnie che hanno anche attività curatoriali e la creazione di un’agenda di altri appuntamenti, per arrivare a una proposta di tipo politico.

Foto di Ilaria Depari

Trovo interessante l’idea di aprire questo tipo di prospettiva al pubblico, di solito posizionato al di fuori del dialogo tra compagnie e istituzioni. Si tratta anche di una sollecitazione simbolica e politica?

Non intendiamo proporre la classica dinamica in cui ciascuno racconta le proprie vicende (e le proprie sfortune), e ci auguriamo, magari, un pubblico già misto, composto anche di artisti e artiste giovani che forse devono ancora scoprire come funziona il sistema dall’interno. Siamo, come è evidente, un gruppo molto schierato, vicino a queste storie ma cerchiamo una condivisione attiva, una trasmissione dell’esperienza, per creare un tavolo in cui si affiancheranno maestranze, critici e figure giuridiche e istituzionali. Insomma, intessere delle alleanze, portandoci fuori dalla dimensione memoriale e nostalgica per analizzare insieme l’oggi.

Foto di Ilaria Depari

Ti faccio un’ultima domanda, e mi rendo conto che suonerà un po’ come un complimento. Come fate a intercettare sempre, dall’inizio degli anni ’90 a oggi, l’attualità e anche l’extra-ordinario?

Qui entra in gioco la natura del nostro background: noi non veniamo da scuole di teatro, non abbiamo avuto quella preparazione professionale spesso chiusa nel suo stesso mondo, ma dalle occupazioni universitarie. Ci siamo conosciuti lì, durante l’attività politica. L’incontro determinante è stato quello con il Living Theatre che, pur attraverso un linguaggio molto lontano dal nostro, ha sempre usato il teatro per parlare del “qui e ora”. Anche se la nostra vita politica è oggi, in qualche modo, meno “diretta” di quanto fosse negli anni ’80, cerchiamo di utilizzare gli spettacoli per analizzare i temi che ci stanno a cuore, da Antigone al recente Tutto brucia. Per noi è davvero una necessità quella di parlare e di rendere il teatro che facciamo reattivo ai tempi, senza però assumere un tono didascalico, cercando di mantenere una forte sospensione poetica e immaginifica. Il prossimo lavoro sarà su Frankenstein e l’implicazione con il presente è forte, a partire dal sentimento dell’“essere fuori” e dalle questioni poste dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, dall’estetica cyborg, riconvocando anche alcuni temi presenti in MDLSX: non a caso, per la drammaturgia, collaboreremo, oltre che con Ilenia Caleo, con Paul B. Preciado. Inizieremo a breve una residenza in Norvegia con lui, per poi lavorare in prova nel corso dell’estate e debuttare in autunno. Ogni volta per noi è una grande ricerca, un’occasione per studiare quello che non conosciamo e buttarci alle spalle i temi e i formati del passato, rigenerandoli. Questa idea della “variazione sul tema”, di una nuova emanazione, la mettiamo in campo anche nella programmazione di Supernova, dove presenteremo, su richiesta del Comune, uno spin-off di Tutto brucia, dal titolo Of the nightingale I envy the fate: è una ricerca, affidata alla performance di Stefania Tansini, sulla metamorfosi in uccello di Cassandra. Di nuovo, una trasformazione.


Ilaria Rossini

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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