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Orestea di Livermore. La regia, le grandi attrici e il superfluo

Recensione e approfondimento. L’Orestea per la regia di Davide Livermore, messa in scena al Teatro Nazionale di Genova, in un progetto nato in collaborazione con l’INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico, con la traduzione di Walter Lapini.

Foto Federico Pitto

Improvvisamente un lamento strozzato, dietro di me, mentre la compagnia intona Heroes di David Bowie e vengono proiettate le immagini di alcuni tra i più tragici accadimenti della storia d’Italia. Tragedie vissute collettivamente, tra le prime a scorrere, la Costa Concordia piegata da un lato, come una grande balena ferita. Ed è qui che arriva il “buh”. Alla fine della canzone, dopo gli applausi sento qualcuno borbottare, se la prende con il direttore artistico del teatro. È un giovane spettatore, appartiene a un gruppo di universitari, non hanno digerito la sfarzosa operazione, l’Orestea diretta da Davide Livermore.

Foto Federico Pitto

Subito un altro paio di spettatori sui cinquanta stigmatizzano la reazione del ragazzo ammonendolo, perché  il suo sarebbe un comportamento irrispettoso. Ma si tratta di una piccola protesta – forse non siamo più abituati? – tra l’altro a spettacolo ormai finito. Mi intrattengo qualche minuto con gli studenti, capisco che non sopportano l’immaginario da grande concerto rock applicato da Livermore alla trilogia eschilea. Colpisce il sentimento di questi giovani proiettato sul teatro cittadino, questa protesta insomma è anche il simbolo di una vivace appartenenza: il teatro nazionale come un bene collettivo nel quale le scelte registiche non si ripercuotono solo sull’estetica della singola performance ma si riverberano sulla cultura teatrale cittadina.

Foto Federico Pitto

Non si tratta qui di capire quanto quei giovani spettatori siano intransigenti verso il trattamento dei classici e quanto sia nel diritto di ogni regista far avverare i propri sogni teatrali anche con i testi più antichi e fondamentali per la cultura occidentale. Il teatro fortunatamente non è un tribunale (a proposito di Areopago) nel quale decidere la “correttezza” di un’idea registica anche perché qui le cose si fanno complesse. Il discorso dovrebbe partire da una tradizione condivisa: ma cosa è tradizione oggi nell’ambito della regia teatrale? In Italia è molto difficile rintracciare una tradizione della messinscena post ronconiana, ancora di più è arduo rintracciare questa tradizione per gli allestimenti dedicati al teatro antico. Le tragedie rappresentano così una tela bianca sulla quale i registi/artisti possono imprimere la propria idea di teatro-mondo.

Foto Federico Pitto

Sia che si tratti di una ricerca verso una dimensione più arcaica e rituale (si veda ad esempio un lavoro come Eracle di Emma Dante o l’Edipo di Robert Carsen), sia che si tratti di una direzione effettistica e tecnologica (Livermore o Carlus Padrissa) il punto di partenza è sempre la grandiosità dello spazio scenico, di Siracusa, fuori formato per il teatro contemporaneo. Non è un caso che una delle opere più riuscite degli ultimi anni tra quelle siracusane sia stata l’Edipo di Carsen, il canadese, come Livermore, è anche regista d’opera lirica. L’accostamento tra spettacolo lirico e tragedia greca è inevitabile: la convenzione minima del teatro antico in Grecia si basava sull’utilizzo della parola in voce, lo strumento più importante per gli attori del V secolo doveva essere l’apparato fonatorio, la voce magnificava una presenza attoriale poco più che statica, di fronte a migliaia di spettatori.

Foto Tommaso Lepera

E infatti su un impianto evidentemente musicale lavora anche Livermore in questa Orestea ripresa (dalle creazioni di Siracusa) e riadattata per gli spazi al chiuso del Teatro Ivo Chiesa: gli interpreti spesso si rivolgono direttamente alla platea, con il corpo proiettato verso la declamazione pubblica, come i cantanti della lirica appunto; e poi una partitura che tutto scandisce, nelle musiche suonate dal vivo, negli effetti sonori grandiosi, nelle coreografie gestuali e collettive, c’è insomma un tempo musicale che sapientemente tutto controlla.

Foto Federico Pitto

La reggia di Argo appare qui in un’ambientazione moderna, poltrone in pelle, un divano al limitare del proscenio, due pianoforti, uno a sinistra e uno a destra, un’automobile sul fondo – un pezzo d’epoca, una Lancia Aprilia 1500 nera, a dire il vero utilizzata solo nel secondo spettacolo Coefore-Eumenidi, quando Clitennestra uscirà dall’abitacolo per andare incontro a Oreste. I costumi di Gianluca Falaschi e le acconciature, gli abiti scintillanti d’oro delle Erinni, il tailleur nero di Atena, l’abito lungo prima rosso e poi argentato di Clitennestra, indicano un immaginario da cinema anni Trenta e Quaranta che si incupisce poi nelle divise nere dei soldati a protezione del palazzo reale. Passano dieci anni dalla fine dell’Agamennone e il governo di Egisto e Clitennestra appare ora come un regime autoritario senza scrupoli.

Foto Federico Pitto

L’elemento che visivamente connota entrambi gli spettacoli (nella scenografia dello stesso Livermore) è uno schermo di forma circolare, un ledwall di 50 mq, sul quale appare una sfera che ruota sul proprio asse (come un globo terrestre) e dentro alla quale prendono forma i video progettati da D-Wok; l’elemento illusionistico sta nella tecnica, soprattutto nella forte tridimensionalità delle immagini. Qui appariranno occhi giganti e rossi, maremoti, incendi, esplosioni… Un campionario di effetti visivi tutt’altro che imprescindibili se non come compendio simbolico e didascalico di certe situazioni: il fuoco e il sangue nominato si riverberano nella sfera amplificando l’immagine già impressa nella parola.

Foto Federico Pitto

Ma a dire il vero nelle quattro ore e mezza di questa Orestea la tecnica da premiare è quella in carne ed ossa delle attrici e degli attori, loro sì macchine potentissime nella restituzione della poesia tragica eschilea. Se il livello è molto alto anche nei ruoli più piccoli e collettivi, la performance è poi sostenuta da presenze eccellenti: Gaia Aprea è una corifea splendida nella sua vocalità pura e precisa, anche nella gestione prossemica e coreografica; come d’altronde Linda Gennari nella dolente Cassandra (si erge sul piano rialzato del proscenio per un monologo da ricordare); oppure Olivia Manescalchi nei panni di Atena, ironica e ferma allo stesso tempo, padrona della scena; fuori misura è il talento espressivo di Laura Marinoni, ricco di cambi vocali, per una Clitennestra maligna e diabolica. Elettra di Anna della Rosa è empatica, forse troppo e nell’ultima replica domenicale rischia di perdersi in pianti non sempre credibili. Giuseppe Sartori è impeccabile, potente e fragile allo stesso tempo, nelle parole come nel corpo, il suo Oreste appare insieme a Pilade: abbigliamento povero, canottiera consumata e straccali, è un ribelle e la sue azioni non puntano solo alla vendetta nei confronti di Clitennestra ed Egisto, ma fanno pensare anche alla sovversione del potere, Oreste è una spina nel fianco del regime.

Foto Federico Pitto

La seconda parte vira esplicitamente verso una scansione quasi da action movie o almeno da thriller: compaiono pistole, proiettili (è tramite un proiettile che durante la scena dell’agnizione Oreste lascia una traccia riconoscibile), e poi i due fratelli che si puntano le armi da fuoco, in un crescendo di tensione, fino a quando Oreste si rivela. Alcune invenzioni della regia hanno funzione drammaturgica e contribuiscono alla coerenza generale, si veda anche la felice intuizione delle Erinni con i loro abiti lamé dorati, come fossero uscite fuori da un cabaret tra le due guerre. Altre trovate sono superflue, come l’entrata in scena di Egisto (Stefano Santospago nel suo carisma sempre riconoscibile): il re assassino porta con sé una ragazza in sottoveste rossa, mentre si aggiusta la camicia nei pantaloni la spinge via e poi le spara. Una scena con la quale dimostrare ancora di più il delirio di onnipotenza di Egisto? Ma quel delirio era già evidente nelle parole e nei movimenti efficaci di Santospago. E ancora: nella prima parte ci sono anche delle comparse, anziani generali su sedie a rotelle, alcuni elementi del coro vestono dei camici, come se l’allestimento volesse indicarci la possibilità di un’ambientazione in una sorta di sanatorio. Insomma una serie di segni che concorrono a suggerire un altro paesaggio narrativo con il rischio però di evidenziare una insaziabile ipertrofia registica. È quello che d’altronde accade anche nel finale: non basta la sottolineatura musicale con Heroes di David Bowie cantata dall’intera compagnia, Livermore ha bisogno di aggiungere un altro piano tematico. Ecco i video sulle tragedie italiane, quasi a voler suggerire che abbiamo dimenticato le invocazioni di Atena, che qualcosa dopo l’avvento della giustizia è andato storto. Ma appunto, è l’ennesima sottolineatura, forse fin troppo didascalica.

Andrea Pocosgnich

Visto al Teatro Ivo Chiesa, Genova, Marzo 2023

Prossime date calendario tournée

Torino, Teatro Carignano dal 28 marzo al 6 aprile (Agamennone dal 28 marzo al 2 aprile, Coefore / Eumenidi dall’ 1 al 6 aprile, i due spettacoli nella stessa giornata l’1 e il 2 aprile).


CAST E CREDITI COMPLETI

AGAMENNONE

COEFORE/EUMENIDI

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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