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LA COMMEDIA PIÙ ANTICA DEL MONDO (de I Sacchi di Sabbia)

Questa recensione fa parte di Cordelia, aprile 2023

C’è risata e risata. Non è vero in assoluto che il “potere” teme la comicità, come spesso si dice, poiché v’è certamente un modo di ridere accondiscendente, mellifluo, disposto a favore dello stato delle cose. Si potrebbe andare oltre e distinguere fra un ghigno amaro e fatalista, conservatore ma a suo modo apotropaico, e la risata violenta, a orologeria, disposta dal potere per segregare e ridicolizzare – la risata del bullo, o la risata dei media di massa, dal Bagaglino a Pio e Amedeo. Ma la risata può anche contorcersi e ritorcersi, fino a diventare “ostile”, a far mostra della dentatura da sotto in su quando la bocca si spalanca e il collo flette all’indietro, a erompere in un suono sguaiato che libera un’energia atavica. Per I Sacchi di Sabbia la risata della commedia più antica del mondo, la risata più profonda i tutte, è questa – insolente e sboccata, pronta a misurarsi violentemente con la violenza. Gli Acarnesi di Aristofane, la commedia più antica giunta a noi (portata in scena al concorso lenaico del 426 a.C), diventa il canovaccio per una brillantissima lectio sul senso del ridere e sulle geografie impossibili che la risata può tracciare in una realtà ingiusta e perennemente in guerra. Massimo Grigò, solo in scena, è un anfitrione virtuosissimo e spassoso, che nella sala piccola del Teatro Tor Bella Monaca riesce a disegnare una moltitudine di presenze foltissime: ci sono i personaggi del testo greco, ci siamo noi impietriti, poi stanchi, poi sbadati di fronte alle notizie di guerre vicine e lontane. Senza ricorrere a viete retoriche e didascalie cronachistiche, il testo greco è riscritto in una lingua viva e originalissima fra la sardonica verve toscana e l’iperlingua grecista dei dipartimenti accademici, pur trattenendone con lieve ironia tutto il gusto per la metrica e la filologia greca. Con Grigò, su un tavolino di legno che è cattedra e scranno d’osteria, una candida scultura di fallo (di Noela Lotti) dà forma a un mondo che contrappone all’orgia del sangue e della becera convenienza l’orgia incarnata di una sessualità popolare, precristriana, terricola. Con uno spassoso slittamento, il protagonista della commedia diventa Dickeopoli, che infine trionfa sull’antieroe Lamaco, generale delle armate ateniesi. Ma la commedia più antica del mondo è in fondo una tragedia, e questa vista in scena un’utopia amara che racconta brillantemente la complessità politica e psicologica del ridere, oggi. (Andrea Zangari)

Visto al Teatro Tor Bella Monaca. Con Massimo Grigò, con la collaborazione di Francesco Morosi, scultura Noela Lotti, produzione I Sacchi di Sabbia, in collaborazione con Compagnia Lombardi-Tiezzi
e con il sostegno di Regione Toscana e MIC, foto di Antonio Ficai

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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