Recensione e approfondimento dopo la visione di Sei personaggi in cerca d’autore, con la regia di Valerio Binasco, la produzione del Teatro Stabile di Torino. In scena al Carignano e poi all’Ivo Chiesa di Genova e al Bellini di Napoli.
Valerio Binasco, nella nuova produzione dello Stabile di Torino, ambienta nella nostra epoca il capolavoro che incendiò il Teatro Valle in quel 9 maggio 1921, questione che pone una serie di problemi, risolti dal regista attraverso un’idea drammaturgica radicale; tanto che vedere quel Capocomico muoversi nei panni di un moderno regista e pedagogo porta un’intuizione: cosa accadrebbe se finalmente, dopo 102 anni di allestimenti, il Capocomico, durante l’entrata dei sei, riconoscesse proprio i protagonisti del testo pirandelliano? Ambientare I sei personaggi in cerca d’autore nella contemporaneità conferisce la possibilità insomma di inserire la messinscena nel divenire della Storia. Come a dire che far deflagrare totalmente quella vicenda metateatrale oggi vuol dire farla cortocircuitare nel suo meccanismo drammaturgico interno.
Questo svelamento non accade nello spettacolo in scena al Carignano, ma proprio il dialogo tra il Capocomico e gli attori sembra poterlo sfiorare: parlano di Pirandello, di Goldoni e Shakespeare – verrebbe da dire: come fanno ancora a non conoscere I sei personaggi? Sembrerebbe un discorso di universi paralleli, ma, d’altronde, è stimolato da un allestimento coraggioso e convincente, che si prende la responsabilità di agire drammaturgicamente anche cambiando il finale e che in locandina infatti mostra un “da Pirandello”, invece del “di”. Siamo in uno spazio abbastanza consunto, forse la palestra di una scuola: un grammofono a destra, un tavolo con vecchie sedie, una porta che dà su un’uscita a destra, una a vetri che verrà spostata in scena al bisogno. Jurij Ferrini è il direttore di questa compagnia di giovanissimi, numerosa, piena di vita (sono le studentesse e gli studenti della scuola dello Stabile), forse una compagnia teatrale scolastica, forse un gruppo di giovani professionisti o la compagnia di un’accademia. Ferrini, come nel testo, viene chiamato “direttore”, i ragazzi si esercitano al piano, parlano tra di loro, discutono, rimane ben poco del polveroso ambiente anni ’20 che ha immaginato Pirandello. La riscrittura di Binasco qui è totalizzante e coerente: l’incontro tra i personaggi e il teatro non avviene in una compagnia di giro prima dell’avvento della regia in Italia, ma in un affollato gruppo laboratoriale di giovani.
Dalla massa emergono due degli attori con i copricapi da chef e attaccano la famosa scena della prova del Giuoco delle parti, da qui si capirà l’intera modalità di azione sul testo: nell’impalcatura generale Binasco opera veri e propri inserimenti per spiegare e semplificare così il meccanismo narrativo, oppure per “completare” personaggi rimasti volutamente irrisolti nella penna di Pirandello, è il caso della Madre che qui vivrà un dissenso più spinto, oppure del Figlio al quale lo spettacolo delegherà un colpo di scena finale. D’altronde è il regista ad affermare nelle note: “Pirandello è un classico. Mi dispiace per lui, ma è andata così. Un classico della modernità, se vogliamo, una specie di pezzo di museo d’arte moderna. Ma pur sempre un pezzo da museo. Quindi è naturale, giusto, necessario, inevitabile rivolgersi a lui – come ci si rivolge a Shakespeare, a Goldoni, a Čechov – quando si cerca il senso del nostro mestiere”. Da qui l’intervento sulla lingua, di semplificazione e avvicinamento: per intenderci, rimane la parola giuoco ad esempio ma la busta “cilestrina” lascia il posto all’immediatezza del “celeste”. Forse questo lavoro avrebbe potuto seguire maggiormente la coerenza dell’idea generale che vede contrapporsi i due mondi, quello degli attori studenti di oggi e quello dei personaggi; questi appaiono nei costumi degli anni Venti, come fossero usciti dalle fotografie del primo allestimento diretto da Niccodemi al Valle e allora la lingua dei Sei avrebbe potuto rimanere in originale.
Ai Personaggi mancano i due bambini, ed è naturale che siano due del gruppo degli studenti dell’accademia a coprire quei ruoli silenti. I ragazzi e le ragazze sono una sorta di coro e contraltare, chiedono spiegazioni e chiarimenti giocando dunque con la difficoltà della filosofia pirandelliana, con la trama intricata e spezzettata del dramma. La riscrittura investe il personaggio della Madre (Sara Bertelà) spostando così la visione della storia dal solo punto di vista del Padre. Orgogliosa, sprezzante, senza freni è la Figliastra di Giordana Faggiano (un prova importante, che non manca l’appuntamento con la risata più famosa della prosa italiana). Binasco si porta sulle spalle un Padre distrutto, ciò che rimane del Padre, come se il personaggio avesse attraversato decenni di mondi, è dolorante, sempre alle prese con un fazzoletto con il quale si asciuga naso e lacrime. Non ha la forza del reasoner pirandelliano e dunque il guizzo di farsi portavoce dello scrittore: l’eloquio perde lucidità, diventa frastagliato (forse alcune volte eccessivamente), ciò che rimane è un uomo pieno di fragilità che altro non può fare se non chiedere di essere rappresentato. Al contrario invece di quel ragazzo, quello che se ne sta per tutto il tempo sulle sue: Giovanni Drago rispetta la spigolosità del personaggio, lo chiude in un carattere misterioso, i capelli ricci con la brillantina e la riga da un lato e un paio di occhiali scuri, sembra una rock star riottosa. Eppure sarà lui a cercare di chiudere la partita con l’eterno ritorno.
Ecco dove la regia di Binasco meglio coglie il carattere post drammatico e post storico della pièce pirandelliana: dopo cento anni quei personaggi sono ancora, sempre, chiusi in un altrove e il destino è per loro immutabile. Il ragazzo cercherà una via d’uscita contravvenendo al copione originale, ma non si muore, non si può morire se qualcuno non ha scritto quella morte. E così al dolore del dramma si somma l’incalcolabile sofferenza di un tempo circolare. Negli ultimi e commoventi attimi sono i ragazzi a farsi carico del dolore prendendo per mano i sei personaggi sfiancati dal tempo e lasciando intravedere uno slancio di speranza in una generazione che ha il coraggio dell’empatia. Ora il cerchio può davvero rompersi e quei sei poveri cristi possono finalmente mostrarsi come esseri umani. Il dramma non è stato rappresentato, ma è stato ascoltato e compreso.
Andrea Pocosgnich
Torino, Teatro Carignano, fino al 7 maggio 2023
Calendario date tournée
9-14 maggio 2023 Genova Teatro Ivo Chiesa
16-8 maggio 2023 Napoli Teatro Bellini
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
da Luigi Pirandello
regia Valerio Binasco
con (in ordine alfabetico) Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini
e con la partecipazione degli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino
(in ordine alfabetico) Alessandro Ambrosi, Francesco Bottin, Cecilia Bramati, Ilaria Campani, Maria Teresa Castello, Hana Daneri, Alice Fazzi, Matteo Federici, Iacopo Ferro,
Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione, Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo, Diego Pleuteri, Emma Francesca Savoldi, Andrea Tartaglia,
Nicolò Tomassini, Maria Trenta
scene Guido Fiorato
costumi Alessio Rosati
luci Alessandro Verazzi
musiche Paolo Spaccamonti
suono Filippo Conti
aiuto regia Giulia Odetto
assistente regia e drammaturgia Micol Jalla
assistente scene Anna Varaldo
assistente luci Giuliano Almerighi
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Nazionale di Genova / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini