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ROMEO E GIULIETTA (di Mario Martone)

Questa recensione fa parte di Cordelia, marzo 2023

Foto Masiar Pasquali

“Non mi ricordavo che Verona fosse un bosco…”, questo dice una signora dalle file dietro mentre inizia Romeo e Giulietta, certo presa ad osservare l’imponente foresta incastonata nel Teatro Strehler da Margherita Palli, per questa versione del capolavoro shakespeariano firmata da Mario Martone. Eppure, estesa sopra una periferia meccanica di barili polverosi dove una vecchia automobile giace come un relitto di nave nell’oceano, quella foresta piena di viluppi e rami intrecciati è metafora della città in cui vita e morte si confrontano come opposti coesistenti, dove odio e amore si danno convegno portando nei medesimi luoghi un linguaggio antitetico. Quelle parole, urlate o sussurrate, sono il codice dell’adolescenza, fatto di assoluti, espressioni prive di dubbio o negazione, sferzate di cui si ignora ogni conseguenza, anche estrema. L’idea di Martone accompagna la vicenda degli amanti pareggiandone l’età: adolescenti i personaggi e così anche la maggior parte dei 30 attori (Francesco Gheghi e Anita Serafini i due amanti), giunti su questo palco dalla vicina scuola del Piccolo Teatro, assieme a un cast in cui brillano di luci aggressive Licia Lanera e Lucrezia Guidone – rispettivamente nutrice e madre Capuleti – ma in cui emergono, come se danzassero con le parole e i gesti, il Mercuzio satiresco di Alessandro Bay Rossi, Gabriele Benedetti che veste l’abito freak di un dionisiaco Frate Lorenzo e uno straordinario Michele Di Mauro che libera un’energia esplosiva e seduttiva nella brutalità di padre Capuleti. La vicenda è nota, ma vi emerge una freschezza espressiva che tiene assieme la dolcezza e la violenza di quest’opera, quel carattere definitivo che nelle parole degli adolescenti esprime il pensiero che il mondo sia eterno. E non lo è. Ma Shakespeare, sembra dire Martone, è dei giovani, dei solitari che non riescono più a pensarsi come comunità e non si fanno più trovare, di coloro che rifiutano il presente perché sconfitti dall’eccessiva gravità del passato e perché forse troppo è il futuro di fronte, per dirsi davvero parte di qualcosa. (Simone Nebbia)

Leggi anche: Mario Martone. Il mio Shakespeare in fuga dagli adulti

Visto al Piccolo Teatro Strehler. Crediti: di William Shakespeare, traduzione Chiara Lagani adattamento e regia Mario Martone; scene Margherita Palli; costumi Giada Masi; luci Pasquale Mari; suono Hubert Westkemper; video Alessandro Papa; regista assistente Raffaele Di Florio; assistente alla regia Michele Bottini, Giulia Sangiorgio; con (in ordine alfabetico) Alessandro Bay Rossi, Gabriele Benedetti, Leonardo Castellani, Michele Di Mauro, Raffaele Di Florio, Emanuele Maria di Stefano, Francesco Gheghi, Jozef Gjura, Lucrezia Guidone, Licia Lanera, Anita Serafini, Benedetto Sicca, Alice Torriani e con Leonardo Arena, Giuseppe Benvegna, Francesco Chiapperini, Carmelo Crisafulli, Giacomo Gagliardini, Hagiar Ibrahim, Francesco Nigrelli, Libero Renzi, Federico Rubino e gli allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano Clara Bortolotti, Giada Ciabini, Ion Donà, Cecilia Fabris, Sofia Amber Redway, Caterina Sanvi, Edoardo Sabato, Simone Severini; voce registrata Michele Bottini; produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

1 COMMENT

  1. Visto e goduto a fianco di una nipote dodicenne che è restata affascinata per tutte le tre ore filate dello spettacolo e con cui sono perfettamente concorde. Ricordo una Giulietta con la Guarnieri (favolosa, da scuola) con la nutrice Ave Ninchi e poi il film con le scene di Flavin, altri altrettanto meritevoli di memoria no, il più fragile forse quello di Zeffirelli, mi manca e sarei curioso se decidesse un’edizione di Branagh. Ma qui siamo nel pieno della storia shakespeariana, e mi ha reso felice di essere stato tra coloro che alla fine si sono spellati le mani.

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