Questa recensione fa parte di Cordelia, marzo 2023
È necessario, oggi più che mai, che il teatro sia politico. E non si intende che abbia contenuti politici, ma che sviluppi dai propri contenuti un’azione che si possa definire politica. C’è una storia dentro il Ritratto dell’artista da morto (Italia ’41 – Argentina ’78) che Davide Carnevali, dopo averne realizzato una versione in Germania nel 2018 e in attesa della versione francese del prossimo anno, disegna attorno a Michele Riondino, una vicenda che arretra al 1978 durante la dittatura in Argentina e ancora fino all’Italia fascista del 1941, ma non si tratta della muta narrazione dell’esproprio di una abitazione appartenuta a un musicista dissidente, che attende una sentenza di riassegnazione dopo 44 anni: la biografia dell’attore Riondino, abilissimo a gestire un dispositivo affascinante ma molto delicato, si mescola a diventare materia viva del racconto, così che la storia resta continuamente in bilico tra il vero e il falso. Ma a ben vedere non importa più se sia vera o falsa. Cosa è vero e cosa falso? Una storia – la storia – è sempre una mistificazione, vive un tempo non suo, lontano dai fatti, protetta, dai fatti. Carnevali gioca sapientemente su questo confine, accettandone i margini perché siano parte di una discutibilità più estesa: che diritto abbiamo di raccontare la storia? E, più precisamente, questa o altre storie? Che diritto abbiamo di rappresentare o, meglio, di credere alla nostra rappresentazione delle cose? Un inquietante racconto di scatole cinesi ha luogo nella ricostruzione di un appartamento di Buenos Aires, attorno al quale compaiono fantasmi che evocano un’oscurità crescente di torture, ingiustizie, rapimenti, omicidi. Gli elementi della vicenda, che via via si aggiungono e che si espandono in una relazione sempre più immediata con lo spettatore, sembrano darsi appuntamento sul palco e stringono lentamente sulla figura dell’attore, caduto in una storia in cui non c’entra, con cui non ha niente a che vedere, in apparenza. Ma non è, proprio la storia, apparenza? (Simone Nebbia)
Visto al Piccolo Teatro Studio Melato. Crediti: scritto e diretto da Davide Carnevali; scene e costumi Charlotte Pistorius; luci Luigi Biondi, Omar Scala; musiche Gianluca Misiti; con Michele Riondino; assistente alla regia Virginia Landi; con la partecipazione di Gaston Polle Ansaldi; produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; coproduzione Comédie de Caen – CDN de Normandie, Comédie – Centre dramatique national de Reims, Théâtre de Liège