Una conversazione a distanza con il coreografo libanese Bassam Abou Diab a seguito della visione dello spettacolo Under the Flesh andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo durante la stagione di Orbita – Spellbound
“Le persone stanno affrontando sofferenze inimmaginabili, mentre le autorità libanesi continuano a sottrarsi alla responsabilità di salvaguardare il diritto alla salute” e “ogni volta sento sempre la stessa promessa: la settimana prossima. Intanto sono passati tre mesi. Vivo nella costante paura di non trovare la medicina per la sessione di terapie” ma anche “il Ministero dell’Istruzione, che riceve fondi da donatori stranieri per l’insegnamento ai rifugiati, ha chiuso le classi del turno pomeridiano – frequentate per l’appunto dai bambini siriani – per una questione di “uguaglianza”. Questi sono solo alcuni “ritagli di giornale” che è possibile reperire sulle maggiori testate nazionali e internazionali, nei report di Human Rights Watch o di Amnesty International, diffusi negli scorsi giorni. Sono, davvero, un’infinitesima parte di ciò che riguarda, e che giunge a noi tramite i canali di comunicazione, quella che è stata definita dalla Banca Mondiale come una delle peggiori depressioni nazionali del mondo dovuta alla perdita di valore della lira libanese e all’esaurimento delle riserve di valuta estera della Banca centrale. Crisi a cui si aggiunge quella del terremoto del 6 febbraio scorso che ha devastato ulteriormente le condizioni di vita di migliaia di persone in Turchia e in Siria obbligandole all’esodo nei paesi limitrofi.
E allora noi parliamo di danza e di teatro, attraverso dei vocali che mi giungono su Whatsapp circa un mese fa dall’artista e coreografo Bassam Abou Diab, a cui rivolgo alcune domande dopo essere stata spettatrice di Under The Flesh, visto al Teatro Biblioteca Quarticciolo durante la stagione danza 2023 realizzata dal Centro Nazionale di Produzione della Danza Orbita – Spellbound. «In un paese instabile, crediamo sia fondamentale permettere alle persone di esprimersi attraverso il movimento e scoprire il proprio corpo a riparo da stereotipi e giudizi. Crediamo anche nell’importanza di approfondire quest’arte legata al nostro contesto locale per creare un vocabolario fisico specifico per i corpi nelle società arabe». Qual è dunque la specificità di questi corpi a cui fa riferimento Bassam quando spiega i principi della Beirut Physical Lab, la scuola di teatro fisico e danza contemporanea da lui fondata nella capitale del Libano? Diremmo che questa diversa natura si trova, riprendendo il titolo dello spettacolo, “sotto la carne”, al di sotto del visibile, un’energia tensiva, una volontà muscolare di difesa che ci accomuna come istinto di sopravvivenza ma che non abbiamo esperito, perché non tutte e tutti sono abituati/e a vivere sotto le bombe, ed è questa la specificità di un lessico fisico per corpi arabi. Reazione istintiva certo ma anche calcolata matematicamente come partitura coreografica con tanto di “e un, due, tre, quattro”: un colpo battuto dal tamburo dal percussionista Ali Hout a simulare il bombardamento, Bassam cade a terra, distensione del corpo, rotola a pancia in giù coprendosi il volto, piega le ginocchia, si rialza e poi…festa! Ad ogni bomba sganciata, la difesa della caduta e poi la celebrazione, sempre suonata dal musicista Ali Hout, che scandisce alcuni stilemi caratteristici della dabka, danza folcloristica diffusa in tutto il Medio Oriente.
E allora noi parliamo di danza e di teatro perché Bassam mi conferma che sì, la guerra scandisce il ritmo della sua vita, a iniziare da quella civile, «durante il primo conflitto del 1993 avevo 9 anni, nel secondo 13 anni, nel terzo 19 e nel quarto 24, ma c’è un aspetto fondamentale di questa convivenza con la guerra, ovvero che a volte hai bisogno di negarla, di negare il dolore e uno dei modi per farlo è fare festa, entrare nel caos, farlo tuo, danzare con il frastuono delle bombe che diventa una musica violenta. Devi occupare il tuo tempo in altri modi, impegnarti in qualcosa di diverso altrimenti non riesci a gestire la calma in situazioni così pesanti. Devi allora danzare». Per il coreografo bisogna tornare dunque al corpo, iniziare da lì per capire ciò che succede intorno, tramutare l’aggressività degli ordigni, il modo in cui lacerano la quotidianità in un’energia, una musica interna che, “sotto la carne”, ti muove, ti fa cadere, poi rotolare, nascondere il viso a terra e, rialzandoti in piedi, ti salva.
«All’università non ho studiato danza ma teatro laureandomi in formazione attoriale, tuttavia, durante gli studi, ho iniziato a danzare con una piccola compagnia di danza folcloristica, Maqamat Dance Company, portando avanti con loro molti progetti come performer. Questa esperienza mi ha fatto gradualmente avvicinare alla danza contemporanea, mi sono quindi specializzato attraverso il Takween Dance Intensive Program che mi ha portato anche fuori il Libano e mi ha spinto poi a tornare a Beirut e a fondare una mia compagnia». Mentre riascolto i vocali di Bassam, leggo che proprio ieri i risparmi di molti cittadini e cittadine libanesi sono stati bloccati perché il governatore della banca Centrale, Riad al-Salameh, ha scambiato l’enorme debito pubblico in lire libanesi con l’equivalente in Eurobond, generando un ulteriore indebitamento pubblico. E allora noi parliamo di danza e di teatro perché secondo Bassam: «tutto è politica per me, come ci insegna Bertolt Brecht. Il movimento del corpo è di per sé politica al quale io aggiungo alcune tematiche che per me sono rilevanti e attraverso le quali cerco di parlare degli aspetti basilari della vita delle persone, le piccole cose della loro intimità, singolari ma allo stesso tempo collettive perché riguardano tutte e tutti. Le storie che racconto attraverso il corpo non sono mai inventate ma traggono sempre ispirazione dalla mia vita, dalle mie origini e dall’ambiente in cui sono cresciuto».
Sul palco del Quarticciolo, al termine dei trentacinque minuti di Under the Flesh, Bassam insegna, come fosse un tutorial, a tre persone del pubblico come reagire a un’esplosione, spiega loro gli stessi passi di danza da lui compiuti poco prima. Nella nostra mancanza di esperienza, nel non aver mai avuto la necessità biologica (espressione scelta con cura nell’intervista fatta al coreografo da Francesco Brusa di Altrevelocità) di elaborare il dolore del conflitto, Bassam Abou Diab ci guida a tornare al corpo e a sentire attraverso il movimento la guerra e la crisi. Poi leggeremo i giornali.
Lucia Medri
UNDER THE FLESH
Coreografie e regia Bassam Abou Diab
Con Bassam Abou Diab, Ali Hout
Musiche Ali Hout