Questa recensione fa parte di Cordelia, marzo 2023
La fisionomia dei nostri prossimi è un territorio mutevole. La lontananza è come un agente atmosferico che erode, leviga, dissesta le forme di quel territorio, un vento fra le cose che mangia i confini, mettendo in crisi il concetto di identità. Così la domanda più semplice e radicale che ci possiamo porre di fronte all’alterità, chi-sei-tu, spesso finiamo per rivolgerla nel tono più dolente alle figure che dovremmo conoscere meglio. È possibile una risposta che non ci disorienti, che non inauguri una miriade di altri interrogativi, fino a minare il senso stesso della propria identità? Da lontano – chiusa sul rimpianto di Lucia Calamaro dà forma a questa paralisi, quando il volto messo in questione è quello di una madre. Isabella Ragonese entra in scena esitando, su una porzione bianca del palco che forse è casa, forse è una sala d’attesa, forse un interno, forse un esterno. Dietro una quinta bianca il rumore e la voce di una madre (Emilia Verginelli) distorta da una distanza imprecisata, ma tratteggiata dal tono acuto di bambina o di anziana, dal suono-memoria di una tv accesa o dall’immagine-memoria di un untissimo supplì. Isa è una psicoterapeuta in seduta con sé stessa, a convegno con la rimozione rappresentata da quella parete bianca che protegge e nasconde una fragilità. Sua madre è quella fragilità, una fragilità senza oggetto che non prende mai le forme di una biografia, ma di un rimpianto cosmico. La statura archetipale, sospesa fra realtà e sogno di questa figura si staglia ancor più netta che in altri personaggi nati dalla penna di Lucia Calamaro: tuttavia, proprio qui, l’inafferrabilità del personaggio si scontra con l’interpretazione di Isabella Ragonese, in cui il lirismo del testo diviene affettatezza e cui difetta di efficacia il registro comico connaturato alla scrittura. Finisce così sottotraccia il suo personaggio, soverchiato proprio dall’assenza perfetta della madre, tutta riassunta nel suo cimento, portato avanti durante il dialogo con la figlia, di aprire una finestra sul cielo stellato in quella stanza-al di là, oltre la parete. (Andrea Zangari)
Visto al Teatro India, Roma. Scritto e diretto da Lucia Calamaro, per e con Isabella Ragonese, con la partecipazione di Emilia Verginelli, disegno luci Gianni Staropoli, costumi Francesca Di Giuliano, scene Katia Titolo, foto di Natalia Nieves Iszakovits, produzione Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Teatro e Argot Produzioni, in collaborazione con Riccione Teatro