Recensione. Massimiliano Civica debutta al Teatro Metastasio di Prato con La stoffa dei sogni, scritto da Armando Pirozzi. Con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate, Maria Vittoria Argenti. In tournée tra Torino e Roma.
Un’isola misteriosa del Mediterraneo, il mare che per l’epica antica rappresentava il mistero in sé, il limite della conoscenza e, più a fondo, della coscienza. È su quell’isola che vive Prospero, con sua figlia Miranda, nella Tempesta di Shakespeare; è su quell’isola che lo conducono i venti e le burrasche imposti dall’esistenza, dove si può esprimere liberamente privo dai vincoli della terraferma, dove può dunque dare sfogo al desiderio dell’arte fino a dire con decisione che “siamo fatti della stoffa dei sogni”. Shakespeare insiste continuamente su questo concetto, non può ignorare come l’individuo che sceglie l’isola, l’artista, si trasformi via via al punto di divenire l’isola stessa, a volte e di rado si raccoglie insieme e forma un arcipelago, ma sempre sarà circondato da mare, tutto intorno. Da questo concetto, dalla solitudine esistenziale di chi sceglie la misera via dell’arte e della fantasia, prende forza il pensiero del drammaturgo Armando Pirozzi per la stesura di La stoffa dei sogni che Massimiliano Civica, con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti sulla scena, dirige al debutto per il Teatro Metastasio di Prato.
C’è un interno casalingo, o meglio una veranda verso sera, e c’è una donna, in vestaglia, che accoglie un uomo anziano di certo non atteso. Sono una figlia (Argenti) e un padre (Carpentieri), uniti questa sera in una distanza che appare fin dalle prime battute insanabile: lui, un attore anziano che non ha ottenuto ciò che sperava dal proprio mestiere, se n’è andato tanti anni prima, lasciando lei crescere sola intrisa del risentimento che ora, questa sera e molte altre prima, gli riversa senza remore. È andato, lui, per inseguire l’arte – proprio il teatro che spunta in un profluvio di citazioni dalle sue parole, dai suoi vezzi – per dedicarsi totalmente a quello stato di inquietudine che solo sa conservarne la purezza necessaria, senza cui tutto è privo di spessore, privo di gloria. L’uomo è inquieto, un po’ esaltato, non ha altro fine che farsi accettare, parlare, recuperare un dialogo sfiorito; la donna ha non pochi problemi: una separazione da gestire, due figli e le bravate del più grande che proprio a lei toccherà ripagare, un’insoddisfazione diffusa la cui origine è da imputare, ovvio anche fin troppo, all’assenza di questo padre che, forse troppo tardi, ora è presente. Lui si è presentato senza preavviso, lei è sola ma lo accoglie senza farlo entrare in casa, disposta a dargli ostello per la notte ma lì, tra il piscio del cane e un tappeto impolverato; è solo quando appare un terzo uomo (Abbate), giovane sodale dell’artista e anch’esso dedito al teatro, che la situazione sembra prendere una piega forse non distensiva, ma che almeno concede un’apertura lontana, possibile, chissà se decisiva.
Il testo di Pirozzi, che la regia di Civica rispetta in tutta la sua asciuttezza, è scarno, “pieno di vuoti” come lo definisce lo stesso regista, si presta contemporaneamente sia al piano del realismo che a quello vagheggiato, onirico dell’incertezza, accoglie il silenzio di una percezione non decisa a monte e dunque di maggior valore per lo spettatore. Renato Carpentieri dibatte tutto il tempo con le piume di pavone dentro il vaso lato scena, è un attore che sembra non avere età, come forse capita solo agli attori, o agli equilibristi, ma poi forse non c’è molta differenza: il suo modo di stare in scena è un ballo di cui si improvvisano i passi pur già fatti mille volte, e questo sanno farlo solo i grandi attori; Argenti e Abbate esprimono la problematizzazione efficace dei propri personaggi: la durezza di lei, in bilico tra l’accoglienza e il rifiuto, ha una forte tensione drammatica, mentre la qualità mediatrice di lui, l’umanità disinteressata e complice di questo “fratello elettivo”, le forniranno la chiave per prendere, forse, la propria decisione.
Un viaggio nei ricordi accoglie l’uomo in una sera di pioggia, dialoga con le varie età di sé stesso e telefona alla ex moglie per una comunicazione in entrambi i casi impossibile, si accorda con il giovane per recuperare i soldi di repliche, forse, mai fatte, dà tutto quel che può anche se non è poi molto. Eppure. Eppure se il mondo andasse in altro modo, se non si desse l’etichetta del fallimento a ciò che non è conforme, se l’inadeguatezza alla realtà non fosse un delitto e la fragilità non fosse una mancanza, allora l’uomo avrebbe più fiducia in ciò che gli è negato per essenza, lui buffone e non altro, con il naso rosso anche nella vita, a compiere la fatica estrema di essere e mostrarsi nello stesso tempo. C’è un po’ di Strindberg, un po’ di Čechov; come dice Lorenzo Donati (nell’incontro appena dopo una replica pratese) sembra «un dramma borghese senza più la borghesia», c’è forse un po’ del Minetti di Bernhard oltre all’ovvio riferimento shakespeariano, sicuramente c’è nella regia di Civica la volontà di parlare del tempo che passa e rincorre avanti e indietro le proprie scelte, c’è un dolore profondo e teso che attraversa in lungo la vicenda, c’è la coscienza della relazione stretta tra marginalità ed emarginazione che solo una meccanica degli affetti può scardinare, un amore, anche “mal riposto”, come il teatro.
Simone Nebbia
Teatro Metastasio, Prato – Gennaio 2023
Tournée
Teatro Astra, Torino 2-5 febbraio 2023
Teatro India, Roma 7-12 febbraio 2023
LA STOFFA DEI SOGNI
di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti
costumi di Daniela Salernitano
disegno luci Massimo Galardini
oggetti di scena a cura di Enrico Capecchi e Loris Giancola
assistente alla regia Valeria Luchetti
Produzione Teatro Metastasio di Prato