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DELEUZE/HENDRIX (di Angelin Preljocaj)

Questa recensione fa parte di Cordelia, febbraio 2023

Sono tempi piccolini, di poca generosità. Forse perché tempi violenti, e di guerra. Tempi da usurai, riconoscerebbe Ezra Pound. Dopo le microdanze abbiamo le monodanze. Così Angelin Preljocaj, in un uso maldestro e inadeguato dell’anacronismo temporale, mette assieme filosofia e rock, per omaggiare in Deleuze/Hendrix (visto, in prima italiana, all’Auditorium di Roma per Equlibrio) il pensiero della molteplicità, della proliferazione rizomatica e della performatività della lettura e dell’ascolto. Ma inventando pochissimo, in corpi monoespressivi, su traiettorie e soluzioni spaziali e temporali monotone e senza sorpresa (tra cui: una sessualità tutta mimata, schitarrate senza chitarra e un finale playback da Moulin Rouge). Con interpreti che non hanno mai nel corpo la musica: la ammiccano soltanto. Ma è soprattutto l’avarizia della coreografia, in termini compositivi, a lasciare delusi. Sono quasi sempre monodanze moltiplicate per otto, un poco rimescolate e ripetute variando direzione, nella più scontata divisione, e successione, danzatori/danzatrici, con buona pace di tutta la ricezione femminista di Deleuze. Come in un qualsiasi saggio di fine anno. Un bel compitino ma nella materia sbagliata. Ci si chiede se, al di là delle formule da manuale ripetute durante l’artist talk del post-show (cosa può un corpo?, significante vs. significato, hippy e amore libero, etc.), qualcosa Preljocaj di Deleuze se lo sia anche letto. Da una parte c’è il tentativo di replicare il capolavoro Empty Moves (su performance di John Cage, che Preljocaj ha realizzato nel 2004) come fosse una formula seriale, e dall’altra quello di intercettare un trend coreografico che fa dell’anacronia un potenziale compositivo dell’oggi (e penso soprattutto agli ultimi lavori di Emanuel Gat). Preljocaj mi ricorda l’ultimo Béjart (che è stato un grande, tutto da ritrovare), incapace di uscire di scena, condannato a ripetersi inseguendo di sé l’irripetibile, e scambiando per variazione la ripetizione. (Stefano Tomassini)

Visto all’Auditorium per Equilibrio Festival CREAZIONE 2021 Coreografia Angelin Preljocaj Voce registrata Gilles Deleuze Musica Jimi Hendrix Luci Éric Soyer Assistente alla direzione artistica Youri Aharon Van den Bosch Coreologo Dany Lévêque Ballerini Baptiste Coissieu, Matt Emig, Clara Freschel, Isabel García López, Florette Jager, Tommaso Marchignoli, Zoë McNeil, Redi Shtylla Production Ballet Preljocaj Coproduction Festival Montpellier Danse 2021, Le Centquatre-Paris, Le Rive Gauche – Scène conventionnée Danse de Saint-Etienne-du- Rouvray Un ringraziamento speciale a Olivier Raillard Premiere al Festival Montpellier Danse 2021

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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