Lo ha definito il teatro più bello del mondo: John Neumeier è stato ospitato e premiato alla Fenice di Venezia per la stagione di Lirica e Balletto, con il suo più intenso capolavoro coreografico, La Dame aux camélias del 1978.
Perfino Beyoncé è stata criticata aspramente dai fans di mezzo mondo per essersi esibita a Dubai, paese che non rispetta i diritti umani né i loro difensori. Capitò un monte di critiche anche a Merce Cunningham, quando fece tappa nel 1972 in Iran, governato da un regime oppressivo: in piena guerra fredda, combattuta però anche a suon di cultura, vi creò Persepolis Event fra le rovine del passato impero. Di contro, l’ebrea e comunista Vittoria Ottolenghi, decana della critica di danza in Italia, si rifiutò di parlare in tedesco alla giovane Pina Bausch, in visita nella sua casa romana. L’uso dell’inglese fu per lei un atto di resistenza nei confronti della lingua che in Europa aveva alimentato l’antisemitismo e dato fuoco a mezzo mondo.
Mentre l’anno di nascita della coreografa tedesca, il 1940, per Ottolenghi era, naturalmente, un più vero atto di discolpa. Fa dunque riflettere che una folta flotta di critic* di danza italian* non si sia fatta scrupolo alcuno, e di recente sia accorsa per magnificare, nell’ospitalità di un lusso prodigo e ostentato, un balletto (in termini di immaginario) neocoloniale, all’ipertecnologico Teatro dell’Opera di Dubai. I paginoni, con i paroloni, a saldo poi non sono mancati: «voglia di leggerezza», addirittura «rifugio dalle brutture dell’oggi», questi i titoli in sintesi, a pensarci per il luogo spaventosi. Un impositivo ottimismo impolitico che futuri lettori sapranno smascherare.
Eppure, per trovare tanta lussuosa meraviglia era sufficiente passare al Gran Teatro La Fenice di Venezia che ha ospitato, per ben cinque date, l’Hamburg Ballet di John Neumeier, con tre differenti cast per il suo capolavoro La Dame aux camélias (Stoccarda, 1978). A volte restare è un più vero atto politico.
Alla première Neumeier ha ricevuto anche il premio ‘Una vita per la musica 2023’, primo coreografo insignito di un riconoscimento riservato finora solo a musicisti, per il quale ha ribadito perentorio, non senza improvvisa commozione da togliere il fiato, la natura fondativa del suo credo coreografico: «senza la musica il mio lavoro non esisterebbe».
Il coreografo statunitense, alla guida dell’Hamburg Ballet dal 1973, è costruttore di cattedrali danzate con cui ha dato vita a uno dei repertorî di balletto più intensi e ricchi della storia recente di quest’arte. Ma Neumeier è anche un intelligente divulgatore nonché prolifico collezionista di oggetti e testimonianze relative al mondo della danza. I suoi lavori (con drammaturgie narrative spazialmente intricate e temporalmente dispendiose) sono uno specchio perfetto del ricatto neoliberale che elegge nell’interiorità insoddisfatta la ricerca continua di un prodotto da consumare.
Da una parte i suoi drammi danzati accontentano quel pubblico che vi vede un modello di balletto tradizionale aggiornato però al contemporaneo; dall’altra, tanta ossessiva produzione divulgativa riafferma, attraverso un repertorio onnicomprensivo, l’unità storico-culturale della tradizione euroamericana.
Ma la macchina di questo balletto, in particolare, rivela molto più di Neumeier. L’ossessione per il nitido, per la pulizia in termini di linee, per la bravura sia tecnica che espressiva, per l’efficacia delle entrate sempre a effetto, sempre indimenticabili. Infine, lo spiazzante rapporto con la musica, mai oppressivo, direi autorevole, anche generativo. Neumeier costruisce una drammaturgia sonora utilizzando musiche di Chopin, e sincronizzando brani assai noti (dai Concerti per pianoforte ai 28 Preludi) su scene e situazioni drammatiche che ne segnano l’atmosfera, in una consequenzialità arbitraria eppure credibilissima. Ma è il rivolgimento dello scorrere del tempo il più vero protagonista di questa coreografia: il balletto si svolge durante un’asta di tutti gli arredi della casa di una delle prostitute più ricercate di Parigi (Marguerite Gautier, la splendida Anna Laudere).
Su questa scena si sovrappongono, in flash-back, i ricordi e le evocazioni del passato ma narrate secondo i diversi punti di vista dei protagonisti (Armand Duval, dell’appiccicoso e poi dolentissimo Edvin Revazov, e suo padre Monsieur Duval, il poco credibile Florian Pohl). L’effetto è dunque cinematografico, ma l’affetto invece un flusso ininterrotto di nostalgia. Ho una personale allergia per i lifts esibiti e compiaciuti, che rendono il passo a due un gioco di sopraffazione. Ma quando vedo quelli d’amore del primo atto o del terzo di questo balletto, davvero non ci posso credere, bisognerebbe descrivere minuziosamente la complessità e il candore, la forza e la fragilità che richiedono e che mettono in campo in termini espressivi. I corpi qui sono solo forze capaci di influenzare (e modificare) i piani dello spazio e le sequenze del tempo. Non si vorrebbe studiare altro. La forma si compie qui nell’emozione come un «superamento dei propri limiti stilistici», come ci ha insegnato a riconoscere la studiosa più attenta di Neumeier, Silvia Poletti: un muro intero allora cade, l’interdetto della cronologia, per lasciar vivere ciò che è già stato, di nuovo.
Stefano Tomassini
Gennaio 2023 Teatro La Fenice, Venezia
La Dame aux camélias
Coreografia John Neumeier
dal romanzo omonimo di Alexandre Dumas figlio
musiche di Frédéric Chopin
scene e costumi Jürgen Rose
Hamburg Ballet
Orchestra del Teatro La Fenice
direttore Markus Lehtinen
pianoforte Michal Bialk