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BRECHTDANCE (di Elena Gigliotti e Daniela Vitale)

Questa recensione fa parte di Cordelia, febbraio 2023

Più o meno sepolta in tutti noi, l’alterità ha spesso un volto preciso e inquietante. È esperienza quotidiana che quell’immagine, dissepolta e sottratta agli schemi e agli schermi quotidiani dei nostri inevitabili egotismi da civiltà tardo-capitalista occidentale, non sia così dissimile da un riflesso. L’io, per dirla con Paul Ricoeur, non è il soggetto trascendentale del mondo, ma il frutto di un processo di ermeneutica del sé: l’altro nel sé, il sé nell’altro, insomma non è raro vedersi nei volti di coloro che ci passano a fianco. Per Daniela Vitale e Elena Gigliotti questa vicinanza può diventare estrema, fino a trasformare lo sfiorarsi in un incidente di percorso, per finire ad attraversarsi. Così comincia Brechtdance, con Elena Vitale che presta il suo corpo al tremolio di voci anziane, incipit di una raccolta di testimonianze intorno al tema delle solitudini degli ultimi-prossimi-nostri in questi due anni postpandemici. Quelle frequenze incerte e spezzate invitano il corpo a una danza buffa e goffa, in cui la metafora degli anni e del loro peso su muscoli e articolazioni lascia il campo alla maldestra acerbità del corpo bambino. Daniela Vitale inizia così un viaggio fra le voci, a volte accompagnate dai volti in frammenti video, a volte puri sussulti fonici di bambine o di anziane che parlano, similmente, attraverso un alfabeto dissestato e universale. Per Vitale e Gigliotti, che sostengono il percorso di Brechtdance con una raccolta fondi su Produzioni dal basso, l’alterità è una teoria di volti realmente incontrati, impressi però su tipologie umane socialmente stereotipate: persone anziane, migranti, senza fissa dimora, rifugiat_, detenut_, etc… Il processo di raccolta che precede la messa in arte è dunque restituito nella forma di un carosello in cui i processi di empatia possibili conoscono, insieme, il pungolo e l’ostacolo di una nozione di alterità inafferrabile, universale, ancestrale, troppo rapida, su cui il collante poetico delle parole brechtiane riesce solo a tratti a penetrare i pori più profondi di un possibile rapporto col pubblico. (Andrea Zangari)

Visto a Fortezza Est, Roma. Di Elena Gigliotti e Daniela Vitale. Realizzato con il sostegno di Residenza Creativa Fortezza Est e Crowdfounding Produzioni dal Basso. Con Daniela Vitale. Coreografie Luca Piomponi. Scene e costumi Giovanna Stinga. Editing audio Luca Tomassi. Editing video e luci Chiara Trivelloni. Con il supporto di Alessandro Cavicchiolo. Foto in locandina Mauro D’Agati. Regia Elena Gigliotti

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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