Un racconto e riflessione dalla Galleria San Ludovico di Parma per NUMERI Pentateuco Antico Testamento | Dal IV Libro dell’Antico Testamento di Lenz Fondazione con Marcello Sambati.
Una maschera ci accoglie scostando i velatini che vestono le absidi della Galleria San Ludovico, chiesa sconsacrata nel cuore di Parma che offre una scena dalla notevole profondità, che si sviluppa nello spazio longitudinale della navata creando una dimensione multipla, in prospettiva e su più livelli che si sovrappongono. Accomodandoci nella piccola platea di sedie, già ci troviamo immersi nel contesto visuale e sonoro della performance, che non gode di un vero e proprio inizio. Al centro della scena un lettino e un corpo magro che, avvolto nel tulle bianco, giace, dormiente o addirittura morto, in attesa.
Il lavoro sulle Sacre Scritture intrapreso da Lenz Fondazione nel 2021 si configura come una progettualità ampia, in quattro fasi che ricalcano altrettanti momenti fondamentali della Bibbia: la Genesi (La Creazione, prodotto nel 2021), il Pentateuco con Numeri, presentato quest’anno nel contesto di Natura Dèi Teatri, e l’Apocalisse, che si svilupperà in due differenti interventi performativi tra 2023 e 2024, includendo anche le Apocalissi gnostiche. Una progettualità maestosa, che vede impegnate le maestranze storiche di Lenz così come apre la possibilità a nuove collaborazioni e incontri. Una progettualità che, nel racconto della regista Maria Federica Maestri, non ha una data di inizio, manca di “un prima”, e nasce dalla necessità di uno strappo doloroso ma salvifico nei confronti di un lavoro durato vent’anni con attori e attrici con disabilità (attori e attrici “sensibili” nella definizione di Lenz), e che si sviluppa dall’intreccio di intuizioni e svelamenti: dai Promessi Sposi a Hölderlin, dal lavoro sul concetto di Creazione, divina ed artistica, a quello di sacro e di religiosità, della morte degli dèi.
Con il variare delle luci in sala, hanno inizio su quelli che la regista definisce “confessionali del retinato”, le fantasie di immagini, frattali, ritagli e dettagli di elementi naturali che si proiettano sui velatini ora in contemporanea, sovrapponendosi, ora in successione sul ritmo della colonna sonora che ci trasporta dalla quiete e monotonia della siccità alla densità vocale del coro nelle onde piene e distruttrici dei mari. Nascondono e svelano, i velatini, il vitello d’oro di Aronne: il simbolo del tradimento in cui la fede è rinnegata, una presenza silenziosa e possente, inquietante nella sua fissità dai riflessi dorati. La sacralità dello sfarzo e della prepotenza della vita terrena che rinnega Dio.
“Imagoturgia” è un termine coniato da Lenz per descrivere la ricerca visuale e filmica di Francesco Pititto e il lavoro di videoproiezione che accompagna le installazioni performative della compagnia e che ne è diventato, negli anni, un segno caratteristico: l’immagine da cui nasce Numeri è quella di un Po in secca, arido e sbiadito nelle vampate di calore, che si rifrae nelle proieizioni come un’allucinazione nel deserto, e si alterna ai ritagli della vita che dipende dall’acqua e che nella siccità scompare.
Anche l’elemento musicale ha un ruolo fondamentale in questo tipo di progettualità: se La Creazione si sviluppava proprio a partire dal Die Schöpfung di F.J. Haydn, nel caso di Numeri la partitura originale di Andrea Azzali, ispirata e mutuata dal Moses und Aron di Arnold Schönberg, sopraggiunge in una fase successiva, insieme al testo, a partire dall’idea filmica di Pititto.
Una performance dedicata all’acqua, Numeri, elemento che permea la Bibbia e l’Antico Testamento, ma che dell’acqua inscena l’assenza: il deserto del Sinai e del Po; l’eco delle grida di Mosè, colui “venuto dall’acqua”, colui che doma le acque del Mar Rosso e che adesso vediamo in un corpo inaridito. Un cesto di conchiglie vuote, morte, memoria dell’acqua scrosciante che ormai è soltanto un ricordo sonoro tra le note stravolte di Schönberg.
Un uomo si aggira nel letto secco del Po. Un corpo magro, scarnificato, cadente e prestante insieme, quello di Marcello Sambati, che riflette nelle pieghe e nelle rughe della pelle, nella microgestualità delle mani e della schiena, il disegno luci della Galleria. Prima nascosto al riparo di un tulle bianco, contemporaneamente sindone e velo di donna, “natività funebre” in cui il ciclo della vita comincia e si conclude, ora esposto e sacrificato nella quasi totale nudità. 603.550 gli israeliti idonei al servizio militare. 603.550 gli uomini che Mosè conta, senza sosta, nel lungo viaggio del deserto del Sinai, verso la terra promessa. Grida i nomi dei fratelli, Aron e Miriam, che l’hanno rinnegato e che sono morti nel flagello della punizione divina.
Maria Federica Maestri parla di quello con Sambati come un incontro con lo sconosciuto, non consolato da certezze amorose: se negli ultimi vent’anni il lavoro della regista si è strutturato sulla conoscenza profonda di attori e attrici con disabilità, in un percorso di scoperta e di crescita condivisa, l’incontro con un attore estraneo si configura qui come un’esperienza di novità e rinascita: un confronto tra “adultità piene”, un viaggio nel vuoto, nel deserto appunto, un confrontarsi con la diversità e il tentativo di costruire una lingua comune in grado di contenere le differenze, e di espandersi in una dialettica tra femminile e maschile capace anche di far trasparire i segni dell’eros.
La Galleria San Ludovico, da anni ormai utilizzata dal Comune di Parma come luogo espositivo, ha giocato una parte da protagonista nello strutturarsi di questa installazione: un “quarto attore”, una presenza quasi ossessiva nel lavoro di progettazione della regista, che con questa operazione intende rivitalizzare questo luogo e utilizzarlo non come location, bensì come drammaturgia vera e propria, non come semplice contenitore ma come luogo della parola: la chiesa sconsacrata si fa luogo dello svuotamento del sacro, della mancanza del sacro. Questo ci conduce all’idea più generale di Natura Dèi Teatri, festival/rassegna all’ottava edizione che ospita le produzioni di Lenz, progetti originali con artisti esterni alla Fondazione e collaborazioni con altri eventi e realtà del territorio parmigiano. La locandina di questa edizione, mutuata dall’imagoturgia per Eneas in Italia (2012), mostra gli “eroi grondanti di frutta”: tre volti cinerei, due dei quali strangolati da frutta marcescente; frutta che ferisce e che insanguina, che ci consegna una visione parallela e ribaltata del banchetto ellenico degli déi. Un sacro che non c’è, che non abita più le pareti delle chiese, che risuona nell’eco delle grida ormai disperate, pazze di Mosè. Un sacro da cercare nella memoria di ciò che è morto, nei gusci delle conchiglie. Una ricerca visuale e performativa che non aspira, certo, a raggiungere tutti, ma che va a caccia di un’estraneità culturale e intellettuale, una curiosità in grado di avvicinare chi già si sente vicino, chi è disposto all’interrogativo. Che non tenta di violare l’imperscrutabilità arcaica dei testi sacri, ma che in essi sonda una propria personale via di redenzione.
Angela Forti
visto alla Galleria San Ludovico, Parma – Dicembre 2022
NUMERI
Pentateuco Antico Testamento | Dal IV Libro dell’Antico Testamento
creazione Francesco Pititto, Maria Federica Maestri
drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto
regia, installazione, costumi Maria Federica Maestri
musica Andrea Azzali
interprete Marcello Sambati
produzione Lenz Fondazione