Recensione. Con Processo Galileo, scritto da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, Andrea De Rosa e Carmelo Rifici portano l’attenzione sul rapporto tra scienza e umanesimo attraverso il pensiero di Galileo Galilei. Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano e ora in tournée
Galileo Galilei. Non esiste personaggio nella storia culturale italiana che meglio rappresenti il legame inscindibile tra i sensi e l’intelletto, tra l’emozione e la ragione o, meglio ancora, tra l’umanesimo e la scienza. Era, il suo, il tempo del dogma, eppure l’osservazione, l’esperienza, l’apertura all’ignoto permisero di bucarne le fondamenta, squarciare una ferita nella compattezza del pensiero preesistente e porre il dubbio come presupposto della nuova conoscenza. Alla sua opera, quella evidenziata dai suoi scritti e quella desunta dai suoi proseliti prossimi o venturi, è dedicato Processo Galileo, spettacolo visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano e co-firmato da una doppia regia: Andrea De Rosa e Carmelo Rifici; da una doppia, anzi triplice drammaturgia: Angela Demattè e Fabrizio Sinisi hanno per prologo il testo del processo allo stesso Galileo (e la ricerca di omogeneità di Simona Gonella); da una ferrea volontà di discutere, oggi, con estrema urgenza i valori fondanti del nostro tempo, ricavandone origine proprio tra le idee del filosofo e scienziato rivoluzionario che più di ogni altro contrappose, in quello che egli chiama “il libro dell’universo”, la vastità alla finitezza, l’indagine alla dottrina.
La struttura tripartita del testo si articola su una scena – pur sacrificata dalla visione schiacciata, almeno in questo specifico teatro – che è in contrario del tutto compresente e che ospita l’alternanza di discorsi e idee, parole e abiti dal passato (a tal proposito da segnalare l’accurato e raffinato lavoro di commistione di Margherita Baldoni per i costumi). L’iniziale ricorrenza del classico, un prologo che affonda tra le parole del processo del 1633 in cui l’autore de Il Saggiatore pronunciò l’abiura delle proprie scoperte, esercita un’attrazione verso quanto è di solenne nel linguaggio che attraversa il tempo: le parole antiche, raccolte in una dimensione tragica, impongono la loro propria magnificenza come se avessero un peso maggiore, come fossero ordigni conservati dal tempo che si voglia far esplodere nella pronuncia del contemporaneo. E dunque gli effetti, della sua scienza e dell’abiura, proprio nell’epoca attuale hanno un riverbero: Angela Dematté li esplicita su un piano più intimo, portando la ricercatrice Angela (Catherine Bertoni de Laet è una giovane madre alle prese con la scrittura di un difficile articolo) sul palco a dialogare con i fantasmi della Madre morta (Milvia Marigliano è un nobile elemento di leggerezza) e dello stesso Galileo (Luca Lazzareschi, saggio ed esperto di cose mondane e ultramondane), alternando la fiducia nel divenire allo sconforto per la perdita degli affetti, quindi esplicitando l’incapacità di far coesistere l’infinito e il finito; Fabrizio Sinisi, cui invece è riservata l’ultima parte, esprime il discorso su un piano più politico, mettendo in luce gli aspetti rivoluzionari di Galileo, ma allo stesso tempo la ricorsività dell’abiura in ogni occasione in cui l’umanità si sia trovata ad affrontare i propri limiti, la propria innegabile trasformazione.
Nel paesaggio composto sulla scena di Daniele Spanò, cui dona geometria e compattezza la luce di Pasquale Mari, emerge un elemento significativo: la terra in cui affondare le mani e gli occhi, la concretezza di una evoluzione biologica, si confrontano alla Terra da indicare con le mani ed in cui perdere gli occhi, la cui evoluzione segue la capacità umana di immaginazione ed invenzione; il paesaggio in basso e quello in alto sono così due estremi in cui l’umanità riconosce il proprio contatto con l’universo, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si misurano in una compresenza di strumenti ottici: il microscopio, ma qui è lo sguardo nudo, sfida il cannocchiale, lo strumento di Galileo, quello che avvicina il cosmo e, con esso, il timore e il desiderio di non avere confini.
La regia di De Rosa e Rifici riesce a fondersi con reciproca curiosità, mantenendo ugualmente i propri specifici elementi distintivi e dosando con maestria la relazione tra gli attori e il sofisticato progetto sonoro di G.U.P. Alcaro, che va dall’amplificazione dei suoni naturali nella prima parte a una rielaborazione computerizzata nella seconda.
Allo stesso tempo la drammaturgia mostra invece una più scarsa coesione, procedendo per tesi categoriche e per stilizzazioni della propria intenzione di scrittura; è il confronto con il testo del prologo, il classico in cui meglio si misurano anche gli attori – su tutti Lazzareschi e Marigliano capaci di una particolare profondità, cui si aggiunge l’energico apporto dei giovani Giovanni Drago, Roberta Ricciardi e Isacco Venturini –, a esplicitare le maggiori difficoltà: il testo più “intimista” o “quotidiano” di Demattè, pur definendo i timori e la cospicua vaghezza che fa perdere aderenza al suolo, si segnala come una traduzione impoverita dei portati filosofici; nel testo invece “idealista” o “romantico” di Sinisi, che pure mostra la caparbietà umana di perseguire il cambiamento, si avverte in contrario una rabbia nervosa che disperde l’intenzione, vanificando per eccesso di verbosità l’equilibrio che la prima parte aveva complessivamente raggiunto. Più luce, urla Galileo perché sia illuminato il cuore ed il cervello di chi esercita il potere, più luce urliamo noi, spettatori affaticati da uno spettacolo via via sempre più fosco, via via meno efficace.
Simone Nebbia
Piccolo Teatro Strehler – Gennaio 2023
Date tournée in calendario 2024
Teatro degli Animosi, Carrara
16.01.2024
Teatro Vascello, Roma
19-28.01.2024
Teatro Biondo, Palermo
30.01.2024-04.02.2024
Teatro Mercadante, Napoli
06-11.02.2024
Teatro Stabile, Genova
14-17.02.2024
Teatro Ponchielli, Cremona
20-21.02.2024
PROCESSO GALILEO
di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano
e con (in ordine alfabetico) Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
assistenti alla regia Ugo Fiore, Marcello Manzella
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco