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NATALE IN CASA CUPIELLO

Questa recensione fa parte di Cordelia, gennaio 2023

Foto Anna Camerlingo

«Quanno nascette Ninno a Bettlemme/No ‘nc’erano nemmice pe la terra, /La pecora pasceva cu ‘o lione;/Cu ‘o capretto – se vedette/’O liupardo pazzeà;/Ll’urzo e ‘o vitiello/E co lo lupo ‘n pace ‘o pecoriello». Ci sono canti meningei, suoni che s’insinuano tra le fibre cerebrali, che si appongono alle orecchie, che restano sfumati e presentissimi fino ad assumere una plasticità, una corporeità memoriale. Natale in casa Cupiello è testo eduardiano tra i più conosciuti, fucina di espressioni, battute sentite e ripetute, proposte e riproposte anche nella vulgata comune, opera della Cantata dei giorni pari all’interno della quale si ravvisa un prodromo di quella difficoltà di comunicazione che sarà poi una delle cifre più proprie dei lavori del dopoguerra, della Cantata dei giorni dispari. Il Natale prodotto dal TAN (beneficiando di un periodo inusuale di preparazione dovuto all’emergenza sanitaria) lungo una via delicata, trasognata, progressiva, quasi impalpabile a tratti, come solo può essere infine la terebrante tenerezza dell’abbraccio di un angelo, lascia affiorare possente il tema del passaggio. Sia esso dal vecchio al nuovo, da un tempo all’altro, da una generazione all’altra, dalla vita alla sua fine, dalla parola alla sua assenza, dai padri ai figli, dentro e fuori dalla messinscena. Perché fra il ricordo, la visione onirica e il presente eterno di un presepe familiare che si disgrega per ricomporsi e viceversa si incunea il lascito, raccolto qui da Luca Saccoia (ideatore insieme a Vincenzo Ambrosino con la regia di Lello Serao) che nei panni e nel letto di Tommasino lascia riaffiorare l’interezza della vicenda e del testo insieme a una compagnia di marionette corporali, pupi ad abitare la dimensione dello spazio definita dall’alchimia cosciente di Tiziano Fario. Ci sono canti, suoni meningei, come matrici la cui origine, temporalità o necessità non serve definire, sembra essere stata da sempre ed è ora, tutte le volte in cui arrivano, se vanno e tornano. «Quanno è tutto – niro e brutto/Comme ‘a pece, tanno cchiù/Lo tiene mente,/E ‘o faje arreventà bello e sbrannente». (Marianna Masselli)

Visto al Teatro Comunale Lucio Dalla. Da Eduardo de Filippo; da un’idea di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia; spazio scenico, maschere e pupazzi Tiziano Fario; con Luca Saccoia; manovratori Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Irene Vecchia; luci Luigi Biondi, Giuseppe di Lorenzo; costumi Federica del Gaudio; musiche originali Luca Toller; documentazione video Francesco Mucci; direttore di produzione Hilenia De Falco; regia Lello Serao

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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