Questa recensione fa parte di Cordelia, gennaio 2023
Gaetano (Filippo Luna) racconta la sua personalissima storia. Non è più giovanissimo, e vive in Germania; siciliano, di famiglia tradizionale, non vive da solo ma i suoi familiari non lo sanno. Il padre però si chiede quand’è che troverà una compagna, magari una bella tedesca; la madre lo guarda, si lascia sfuggire qualche affermazione lapidaria a denti stretti, sospetta. Gaetano è rinchiuso in una gabbia senza muri: potrebbe uscirne in qualunque momento, la decisione spetta a lui. Costretto e insofferente, sempre in bilico tra ricordi in un dialetto stizzoso e in un italiano carezzevole. Di un racconto tanto coinvolgente, tanto comune, tanto classico, conforta la capacità di comprensione e compassione nei confronti di individualità che non si toccano mai, ma si colpiscono mortalmente; conforta, per paradosso, che la comprensione arrivi da chi ne avrebbe più bisogno. Non è un martirio, quello di Gaetano; è la consapevolezza dei limiti altrui, compresi i propri. Filippo Luna assume i corpi di una famiglia di persone sole, e gestisce le singole emotività con una dolcezza disarmante; mai toni sopra le righe, mai macchiettistico, mai un giudizio a deformargli la bocca. Lì dove è presente una cosciente contestualizzazione, non può sussistere una posizione manichea e morale. Si prova una sofferente tenerezza tanto nelle conversazioni con il compagno, presente come calda luce che tira la testa di Gaetano fuori dalla gabbia, quanto le discussioni e gli scontri con i genitori che gli sfibrano e innervosiscono il corpo in scatti di dolore. L’esperienza di vita non è ordinata in formule di ingabbiamento identitario che fanno di quell’esperienza un simbolo esemplare. Il pubblico non è mai messo nelle condizioni di subire una narrazione che impone distanze di merito, ma può avere la possibilità di accogliere un vissuto. Non c’è alcunché di eccezionale in quello che viene raccontato. Cosa importa se Gaetano vive con un uomo? Esiste ben altro che lo rende ciò che è. (Valentina V. Mancini)