Questa recensione fa parte di Cordelia, gennaio 2023
Dire qualcosa quando tutto è già stato detto è impresa alquanto ardua. Rinunciarci è una scommessa. Gipo Gurrado non si spaventa e, ancora prima di prendere una posizione, lascia che la materia pulsante del musical parli da sé, forse anche un po’ tacendo. Family. A Modern Musical Comedy ritrae una famiglia, una come tante, una come la nostra. L’ambientazione è un passato dai sapori vintage, di cui Marina Conti costruisce fedeli scenografie ma irrealistiche e sgargianti tonalità di costumi. All’iniziale scena scarna, abitata dai genuini battibecchi di una coppia di fidanzati, subentra la tappezzeria della casa dei genitori di lei. Qui il ritorno dei figli è il pretesto di un atteso ricongiungimento di affetti. La disposizione delle mura, però, crea delle nicchie di isolamento e i personaggi vi si nascondono per ricreare l’anfratto di un ricordo: il tempo si sospende, cala il buio mentre la luce si focalizza su un componente della famiglia, intenta a dargli una voce che si esprime attraverso i motivi musicali scritti da Gurrado e coreografati da Maja Delak. Le parole del testo, fresche ed essenziali nello svolgimento narrativo come in Supermarket (in scena a dicembre), sembrano però qui mantenere traccia dell’aleatorio, dell’inafferrabile. Qualcosa, in questa famiglia, ancora non viene detto (come suggerito dalla particolarità del personaggio visibile-invisibile di Paola Tintinelli); allora la regia preme il tasto rewind e torna indietro: i personaggi ripercorrono a ritroso i propri passi e tornano al punto di partenza. Una scelta sicuramente ben meditata che cerca di evitare la retorica tradizionale, le reiterate conclusioni sociali sul nucleo famigliare, ma che inevitabilmente finisce per perdere a tratti l’attenzione del pubblico che vorrebbe scavare quella materia pulsante, giungere in profondità, avvicinarsi e piangerne, raccogliere il dolore o farne un riso, folkloristico, più spontaneo. (Andrea Gardenghi)