Sul film La stranezza di Roberto Andò. Recensione.
La vita nel suo libero fluire, da un lato; dall’altro la sua rigida fissazione in una forma (identità personale, maschera sociale): sintetizzando al massimo, sono i nodi attraversati dal rovello di Vitangelo Moscarda o tanti altri personaggi pirandelliani. A non saper più in che forma fissare la propria creazione drammaturgica (più che la vita) è invece Pirandello stesso nel film La stranezza, di Roberto Andò. Lo scrittore, interpretato da Toni Servillo (alla terza tappa del sodalizio col regista dopo Viva la libertà e Le confessioni), si trova in Sicilia per il compleanno di Giovanni Verga (Renato Carpentieri) e apprende della morte della sua balia.
Fa la conoscenza di due eccentrici becchini, Nofrio e Bastiano – interpretati da Valentino Picone e Salvatore Ficarra – tanto maldestri nel proprio lavoro quanto nella loro attività teatrale amatoriale. Pure, saranno proprio loro, in modo non intenzionale, a ravvivare l’incerta creazione dei Sei personaggi in cerca d’autore. Per la sgangherata commedia – “da amatori professionisti” – che mettono in scena, interrotta a più riprese da un pubblico che non si fa scrupolo di sfondare la quarta parete, o perché gli attori cercano di risolvere in scena i propri conflitti privati anziché seguire un copione. L’ipotesi sull’origine del pirandelliano teatro nel teatro che Andò costruisce è in parte nutrita dalle suggestioni condivise da Leonardo Sciascia col regista e dalla biografia che Gaspare Giudice ha dedicato a Pirandello.
E, per quanto fantasiosa possa essere, questa strada ha come fondamento l’idea che la vita stessa, col suo libero fluire informe, col suo scardinare ogni trama prescritta, abbia alimentato in modo inatteso la genesi di una nuova forma drammaturgica, a propria volta scardinante. Ciò che a Pirandello si rivela con gli improbabili becchini teatranti, o grazie altri girgentani che incontra e che gli consente di sbloccare lo stallo creativo, è in fondo la scoperta dell’intrinseca “teatralità della vita” stessa. Ne parlano già i gesti, accentuati, insistiti, a sottolineare la parola detta, come quelli fatti dall’uomo che fu il suggeritore per le commedie di Pirandello e ora per Nofrio e Bastiano, a rassicurare lo scrittore di mantenere il più assoluto silenzio sul suo ritorno in Sicilia. Oppure, le bare che non hanno trovato ancora posto nei loculi, accatastate dai becchini in vari ordini, che ricordano da vicino – per la loro disposizione nello spazio dell’inquadratura – quelli dei palchi teatrali.
Teatralità della vita è soprattutto il fatto che anche quando l’esistenza sembra volgere ineluttabilmente al tragico e in quello arrestarsi, c’è la possibilità che essa possa riaprirsi al suo versante “comico”. Così, la donna che ha composto il cadavere della balia, ridacchia al capezzale di lei; e nella stessa chiesa si possono svolgere contemporaneamente matrimonio ed esequie (per un comico disguido dei becchini). Ogni stallo, quindi, compreso quello definitivo che la morte impone, può essere forse reversibile, e in ogni tragicità anche dischiudersi un paradossale sentimento comico. Sembra che persino di fronte alla sua forma ultima e definitiva, rigidamente fissata, la vita sa fluire comunque, aprirsi una breccia e continuare in qualche modo la sua commedia.
La vita, per come appare al Pirandello del film, reca cioè con sé quel sentimento del contrario che secondo lo scrittore siciliano era connaturato al comico: ci muove al riso quel che avvertiamo come “opposto” a ciò che il nostro senso di realtà si aspetta o chiama “normale”, pur sapendo che ciò che può suscitare ilarità è invece doloroso o tragico per altri, per il senso comune. E, allo stesso modo, lo spettacolo di Nofrio e Bastiano è il contrario di ciò che una rappresentazione bien fait dovrebbe essere, vanificato com’è dai più vari incidenti il confine tra spazio della messa in scena e quello della vita. Così come i due sono l’opposto di professionalità e attendibilità anche nel loro lavoro di becchini, che il senso comune presume invece debba esser svolto in modo compassato e contegnoso. Effettuata la scoperta di questa reversibilità del tragico, verificata la teatralità della vita e confermato il sentimento del contrario che in essa alberga, anche lo stesso stallo di Pirandello può sbloccarsi, la sua invenzione letteraria e drammatica riprendere a fluire per forme nuove. E quella del “teatro nel teatro” senza quarta parete che non sia anch’essa permeabile e reversibile, alimentarsi al teatro nella vita.
Può darsi che Nofrio e Bastiano, i cui nomi riecheggiano quelli dei personaggi delle vastasate (farse popolari sicule), non siano, appunto, che i personaggi di un’invenzione, per il cui tramite è però a noi spettatori consentito di accedere alla prima dei Sei personaggi nel 1921 (benché, nei titoli di coda, una didascalia avverta, con esemplare scrupolo d’esattezza storica, di una licenza nella ricostruzione filmica della rappresentazione). E di partecipare del loro stesso turbamento, per l’incertezza del confine tra scena e vita che essi sentono, con stupore, come cosa assolutamente inedita e noi con loro, di avvertire l’effetto dirompente di quell’evento quasi che vi assistessimo “in diretta”.
Soprattutto, sono stati gli intermediari della storia di una genesi, di una creazione che ancora non sa quale forma trovare finché che non scopre di potersi inventare come scardinamento di forme (teatrali) attingendo proprio alla loro reversibilità nella vita stessa.
A questo racconto, Roberto Andò sa dare corpo con un’energica varietà di registri rigorosamente dominata, quasi che il film avesse fatta propria, nel modo più autentico e personale, una (pirandelliana) idea di reversibilità e sentimento di contrari che coesistono. Diverte, comicamente, e insieme affonda nel rovello dello scrittore che non sa quale forma dare alla nuova creazione. La “cupezza” di Pirandello, angustiato dalle visite dei suoi demoni privati (il ricordo della moglie malata) o quelli dell’invenzione letteraria (se impegnato a “dare udienza ai suoi personaggi”, secondo un’espressione dello stesso scrittore), ha il suo contrario nel ridicolo impaccio di Nofrio e Bastiano. Involontariamente comici, rivelano a Pirandello (e a noi) l’intrinseca teatralità dell’esistenza stessa. Quella teatralità che sblocca la vita dal sentimento del tragico e ne fa continuare la commedia, e insieme libera la creatività letteraria dal suo rimuginare. Facendo rifluire in forme nuove anche la stessa invenzione teatrale.
Antonio Capocasale
La stranezza
di Roberto Andò
Italia, 2022
Con: Toni Servillo, Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Giulia Andò, Donatella Finocchiaro, Renato Carpentieri, Luigi Lo Cascio, Galatea Ranzi, Fausto Russo Alesi