Svelarsi è il progetto di scrittura collettiva voluto e organizzato da Silvia Gallerano confluito in uno spettacolo che ha “svelato”, a un pubblico di sole donne, il materiale scelto dalle otto participanti e attrici. Il debutto allo Spazio Rossellini di Roma. Recensione
«Non mi sarei mai sentita così libera di guardare e ascoltare e parlare se ci fosse stato accanto a me mio marito, mio fratello, un mio amico», e ancora «la condizione centrale è il corpo, se ne parla troppo poco, forse con ipocrisia, forse con pregiudizio, e invece ci dobbiamo riappropriare della parte giocosa del nostro corpo» e poi «lo dobbiamo fare unite perché non ce la facciamo da sole».
La “libertà” è accostata alla figura maschile “marito”, “fratello”, “amico”, in questo contesto però assente; la centralità è del corpo, da riconfigurare all’interno di una dimensione percettiva che sia all’insegna del gioco, quindi della leggerezza, della serenità. E infine, l’ammissione di non riuscire a fare tutto ciò se ci si isola, se non si è tutte insieme. Queste righe non appartengono a un manifesto, ma potrebbero, non provengono neanche dall’affollatissimo, strabordante corteo nazionale transfemminista dello scorso 26 novembre a Roma organizzato dal movimento Non Una Di Meno al grido “Basta alle guerre sui nostri corpi” e “Le strade sicure le fanno le maree”, ma sicuramente sono risuonate anche lì; non provengono neanche dalle assemblee dei licei oggi occupati, ma di certo non sono mancate. Queste righe sono invece la trascrizione delle voci delle donne che hanno partecipato alle repliche di Svelarsi per la drammaturgia e regia di Silvia Gallerano, di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Serena Dibiase, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini e Silvia Gallerano, l’allestimento luci di Camila Chiozza e la consulenza ai costumi di Emanuela Dall’Aglio. Tutte donne. Vi è infatti una condizione precisa, stabilita da Silvia Gallerano, condivisa dalle partecipanti attrici, dall’organizzazione di PAV nell’ambito del progetto Fabulamundi Playwriting Europe, e trascritta nelle note dello spettacolo che riportano: «Svelarsi si rivolge a un pubblico esclusivamente di donne (cis, trans e non binarie). Tutte quelle che si sentono e definiscono donne: non si tratta solo di creare uno spazio sicuro per chi è sul palco, ma anche di permettere a chi guarda di sentire il proprio corpo risuonare più profondamente con quello che vede, nudo, in scena».
Strano poi come si reagisce a una simile circostanza. Sarà forse per difesa, sarà per abitudine all’interrogazione, al dubbio, che alla lettura di questo presupposto, la reazione più diffusa è stata di fastidio, come se qualcosa non tornasse nella proposta: possibile davvero che abbiamo la necessità di chiuderci in un ambiente dove non sia presente nessun uomo? Possibile davvero che la mia postura cambi se vicino a me c’è un uomo? Ebbene sì, cambia e probabilmente non lo avremmo mai sostenuto prima di sperimentare una situazione simile. Ciononostante quello di Gallerano è un doppio intento: da un lato creare uno spettacolo finito che in futuro sarà aperto a tutte, tutti e tuttə, e dall’altro provocare un incontro solo tra donne, «che si definiscono tali, per condividere problemi sociali in comune, per liberare energie e anche per pensare ad altro». La condizione quindi implica una definizione che di per sé comporta a sua volta inevitabilmente un’esclusione, potremmo dire quindi che si crea sin da subito un cortocircuito semantico per cui la fluidità e l’inclusività non sono contemplate.
Svelarsi è un progetto che ha avuto la durata di quattro anni caratterizzato da laboratori e residenze in cui si sono incontrate donne da diverse città e hanno partecipato a una scrittura che da personale è diventata collettiva a partire dal corpo, e dall’«effetto/precipitato» del testo de La Merda di Cristian Ceresoli in cui Gallerano era unica interprete donna. Al termine del percorso, lo spettacolo ha debuttato allo Spazio Rossellini di Roma i primi di novembre, presentando soltanto il materiale pronto per essere svelato. In uno spazio occupato dalla platea a semicerchio e con la scena posta in mezzo e non sul palcoscenico, Gallerano con ruolo quasi di imbonitrice, raccoglie un testo a terra, posto insieme ad altri oggetti che saranno via via utilizzati, e legge due righe a proposito dell’idiozia della donna. Si aggira una risata nella platea ancora troppo giudiziosa e poi, ballando, entrano le attrici. La loro nudità è presentata senza alcuna valenza artistica o estetica, è corpo e basta, gli unici segni sono nei, cellulite, smagliature, cicatrici, peli. Le attrici usciranno di scena e vi torneranno con reggiseno e slip di colore bianco, senza cuciture, e indosseranno una vestaglia da camera, anch’essa bianca o trasparente. Senza impostazione attorale, le otto donne iniziano a rivolgersi direttamente al pubblico sfondando, in gergo teatrale, la quarta parete: molto divertente la modalità dichiarata di decostruzione di ogni paradigma scenico che avviene con naturalezza, senza rigore ma con libertà drammaturgica, accompagnando familiarmente le spettatrici in un contesto che con gradualità cambia forma a seconda del tono della conversazione e della relazione determinata dalle attrici stesse. All’iniziale circospezione delle ospiti, che in questa replica più di altre sembrano dimostrare una freddezza latente, si passa poi a un rilassamento, alla risata più decisa, alle alzate di mano, alle foto, alle confessioni. Una manciata di cartelli con scritte nero su bianco posti su un leggìo al lato della scena individuano i vari momenti tematici, si inizia a parlare della relazione con il proprio corpo partendo dai difetti che si vorrebbero eliminare per poi sceglierli in virtù dell’unicità e diversità che costruiscono; si continua affrontando come in un talk l’argomento ceretta sì – ceretta no, presupposto cosmetico da rubrica di rivista femminile, che diventa poi pretesto per riflettere sui modelli sociali imposti. A questi si aggiunge anche il rapporto con la madre, unico personaggio interpretato da ognuna delle attrici, nelle sue movenze, pensieri, dialoghi intrattenuti con la figlia.
Sembra di ritrovarsi in un allargato pigiama party casalingo, solo apparente tuttavia, perché questa forma spensierata di confronto – che si muove tra la platea, nella quale le attrici si siedono e parlano da varie angolazioni – fa emergere una dialettica politica tipica di quelle assemblee femministe (alcune repliche hanno visto la presenza di oltre 250 donne) alle quali la nostra generazione non è forse abituata a partecipare, a differenza delle nostre mamme e nonne, e anche a differenza delle nuove generazioni, come dimostra l’attivismo degli ultimi anni. La generazione di chi scrive, e forse anche la precedente, non ha esperienza di contesti esclusivamente femministi in cui, per dirla con Lea Melandri, si è cercato di «disseppellire una materia “oscura” di esperienza, che la politica ha sempre considerato “altro da sé”: corpo, sessualità, sentimenti, sogni». Quella che viviamo oggi è la percezione del femminismo come «l’arrivo di un terzo soggetto che non è né il maschile né il femminile per come li intendevamo tradizionalmente. E questo terzo non è andato banalmente ad aggiungersi al binarismo, non ha creato un ordine, né una contiguità, bensì una differenza, una rottura che riarticola lo spazio sociale, e si fa quindi promessa di possibilità autenticamente rivoluzionarie. […] il femminismo è questa cosa che porta il sesso al centro del discorso e per questo porta scompiglio» (Elisa Cuter, Ripartire dal desiderio, Minimum Fax, 2020).
Ed è verso il finale che Svelarsi si configura non per l’importanza che ha di per sé come prodotto spettacolare ma per quello che determina. Determina la confessione intima del senso di colpa che più o meno superficialmente interessa ognuna delle partecipanti e delle donne in platea che alzano la mano per raccontare del proprio, di quello ricorrente, di quello più stupido e di quello più doloroso, spesso legato alla maternità avuta, o non avuta. E senza alcuna retorica vittimista o patetismo, rispondendo alla domanda “da cosa ti senti invasa?”, si arriva anche a parlare di violenze subite, delle lotte femministe in quelle parti del mondo in cui viene limitata e punita la libertà di auto definirsi donna per poter rivendicare diritti umani inalienabili e che da queste parti diamo per ottenuti, se non scontati. Succede quindi che nella danza finale, che come un cerchio chiude la drammaturgia legandosi a quella dell’inizio, non sono solo le attrici a ballare, ma anche le donne “spettatrici” di tutte le età, alcune anche spogliate dei vestiti; le stesse che poi si fermano a parlare insieme, a confrontarsi su quello che hanno visto e vissuto, a parlare dei dubbi iniziali poi fugati, e di questa esperienza, che la maggior parte definisce nuova e inattesa. Con un «trucco», ci dice Gallerano, abbiamo creato una dimensione diversa e determinante, «un bisogno che si riconosce solo alla fine come necessario per tutte».
Lucia Medri
Spazio Rossellini, Roma – novembre 2022
Di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Serena Dibiase, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini e Silvia Gallerano
Allestimento luci Camila Chiozza
Consulenza costumi Emanuela Dall’Aglio
Una produzione PAV nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe
In collaborazione con Teatro di Dioniso e il sostegno di Frida Kahlo Production
Con il contributo del MiC – Ministero della Cultura, Regione Lazio e Roma Capitale
Si ringraziano per il sostegno e per l’ospitalità ATCL, Lottounico, Fortezza Est e Fivizzano27
Lo spettacolo è presentato nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe.
Il progetto, promosso da Roma Culture, è vincitore dell’Avviso Pubblico Contemporaneamente – Roma 2020 – 2021 – 2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE.