Questa recensione fa parte di Cordelia, dicembre 2022
Libano, 1987. Un giovane uomo sta per iniziare l’università, ma si trova all’improvviso a dover tornare all’asilo. Sullo schermo dell’auditorium del Maxxi vediamo le immagini delle sue pagelle scolastiche. Più che un palco, una predella con una scrivania e, seduto, l’uomo che dà in pasto allo schermo tracce audio e video tramite un mangianastri. Il suo sguardo ritratto nel perimetro della scrivania, il suo silenzio rimediato da quell’archivio di memorie, comunicano la solitudine impenetrabile di una sparizione improvvisa. L’uomo è Yasser Mroué, fratello di Rabih, regista, performer, drammaturgo, artista visivo libanese di stanza a Berlino, fra le voci più intense e complesse a portarci testimonianza della storia moderna del paese mediorientale. Riding on a cloud porta in scena la storia del fratello, sopravvissuto ad un proiettile al cervello, sparato da un cecchino appostato sui tetti di Beirut, lo stesso giorno che il nonno dei due, dirigente del partito comunista, venne assassinato. La guerra come forma di dolore senza storia, ma anche la storia come forma di rappresentazione sono ossessioni per Rabih Mroué, che qui porta la riflessione al grado di una scansione magnetica nel corpo-biografia del fratello, privato della parola per un certo periodo dopo il terribile incidente. Nell’afasia, Yasser ha costruito un rapporto nuovo con le immagini, strumenti alternativi per indicare gli oggetti che il trauma ha reso estranei al linguaggio. In quello iato fra parola e immagine sta un dissidio profondo, che per i Mroué racconta, in modo misterioso ma potente, la guerra stessa. (Andrea Zangari)
Visto all’Auiotorium Maxxi, Romaeuropa Festival: Performance di Rabih Mroué Scritto e diretto da Rabih Mroué con Yasser Mroué In collaborazione con: Sarmad Louis Assistente alla regia: Petra Serhal Assistente: Janine Baroud Traduzione inglese: Ziad Nawfal Coprodotto da: Fonds Podiumkunsten, Prins Claus Fonds, Hivos & Stichting DOEN – (The Netherlands).
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