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Dalla scuola al teatro e dal teatro alla scuola

Andato in scena al Teatro Kismet di Bari lo scorso novembre, E la felicità, prof? è lo spettacolo adattato e diretto da Riccardo Spagnulo e Giancarlo Vistilli, autore dell’omonimo romanzo uscito per Einaudi nel 2012, interpretato da Luigi D’elia a seguito di una singolare congiunzione di circostanze.

Foto Eliana Manca

Quanto accade in scena è spesso una distillazione della vita o delle vite che abitano, attraversano, il mondo, forse in alcuni casi è un’esacerbazione o una diluizione di vicende possibili. Poi ci sono casi in cui le vicende del mondo e quelle della vita coincidono col teatro anche per una questione circostanziale. È quanto accaduto per E la felicità, prof?, spettacolo andato in scena lo scorso fine novembre al Teatro Kismet di Bari. L’adattamento dall’omonimo libro di Giancarlo Vistilli uscito nel 2012 per Einaudi, si è ritrovato in palcoscenico in doppia replica (serale e pomeridiana) con due interpreti diversi e al centro di una sorta di passaggio di testimone che in qualche modo si sposta da Riccardo Spagnulo – autore della riduzione e regista (insieme allo stesso Vistilli) – a Luigi D’Elia. Spagnulo, drammaturgo e attore, protagonista della messinscena del pomeriggio, è di recente diventato professore in un liceo barese e si è trovato quindi a “consegnare” lo spettacolo a D’Elia.

Una scena semivuota, in principio, un tappeto bianco di linoleum e uno schermo a campeggiare al centro della prospettiva frontale del fondo. Il tetto del cielo e le increspature di un mare sostanzialmente calmo accompagnano dall’occhio all’orecchio il suono dello sciabordio delle onde di fine estate. La voce comincerà a venire da fuori, attraverserà la platea e la figura di un uomo con lo zaino sulle spalle arriverà in palcoscenico per modellare uno spazio essenziale riempito e rimodulato momento per momento, scena per scena, su traiettorie contenute da pochi elementi: un banco, una sedia, un paio di scarpe bianche. Infila una camicia, rimbocca le maniche questo professore in bilico tra consapevolezza e dubbi, tra riflessione e trasmissione, tra considerazioni e accompagnamento. Uno alla volta sarà il tramite per raccontare e presentare i profili dei ragazzi di una quinta superiore che porterà agli esami di maturità nell’arco di un anno scolastico, uno scorrere da settembre a giugno che non passa solo dalla parola ma anche per le immagini che mutano in proiezione, a segnare le stagioni che cambiano nella visuale della finestra di un’aula o le vicende che scorrono tra una composizione dantesca e una lezione che non si vuole fare perché “Leopardi è invernale”. C’è Mimmo che è innamorato di Alessandra, Saverio la cui inflessione barese è destinata a salire in cattedra, Michele che viene dalla Luna, Andrea che, chiuso nelle braccia e nelle gambe, racconta la volontaria dipartita del padre o Giulia sedotta e abbandonata da Afrim ancora prima di capire il senso di una vita in grembo, c’è Antonello e la continua “evocazione” di Miguel. Una narrazione che procede per quadri con il filo conduttore che vuole il docente al centro di un percorso ove professione e umanità si scambiano in un rapporto di mutua modellazione, la cui restituzione è demandata a un unico interprete col compito della fuga dalla retorica.

Foto Eliana Manca

Incontro Riccardo Spagnulo nel foyer affollato dopo la replica del pomeriggio, l’unica cui avrò modo di assistere. Lo aspetto mentre saluta diverse persone con fare famigliare, mentre le voci e i volti si impastano con la musica jazz in sottofondo. Quando mi raggiunge al tavolo gli chiedo se l’idea dello spettacolo sia venuta in concomitanza con l’inizio del suo percorso da docente o prima. Mi racconta di aver scoperto il libro poco meno di dieci anni fa e di aver pensato avesse del materiale da ridurre, di aver contattato e iniziato a lavorare con Giancarlo Vistilli dopo una possibilità di residenza tra il 2018 e il 2019, poi l’arrivo del covid, la chiusura dei teatri e l’ipotesi della scuola. Continua: «L’anno scorso ho iniziato a lavorare qui con dei laboratori di drammaturgia e il Kismet si è dichiarato disponibile per dare nuova linfa a questo progetto che un po’ si era arenato, in un anno abbiamo fatto più o meno tutto. Lo spettacolo ha debuttato al Maggio all’infanzia e poi è arrivata la notizia che avevo superato il concorso. Avevo già prefigurato la cosa, quindi avevamo individuato, insieme con Telese e Giancarlo, Luigi D’Elia come persona che potesse prendere in mano la situazione. Questo è uno spettacolo che si rivolge a un contesto particolare, va bene anche fuori dal contesto probabilmente, però viaggia tanto in matinée e se sei a scuola non puoi fare i matinée. Ce ne sono quindi praticamente due versioni e non so se ci siano precedenti di due versioni dello stesso spettacolo fatte la stessa sera da due interpreti diversi». Diventa inevitabile domandargli, conoscendo i suoi trascorsi teatrali prima come componente di Fibre Parallele e poi in autonomia, se sia contento oggi di essere diventato un professore. «È molto bello. Una cosa totalmente diversa dal teatro, in teatro ti chiudi in un luogo per trenta o quaranta giorni, poi ti apri, fai venire delle persone con cui hai uno scambio abbastanza univoco. Certo, “ti arriva” il pubblico. Però stare a battagliare ogni giorno, essere nel mondo, stare con i piedi per terra, a contatto con le persone, con la realtà è nutriente. E poi credo che sia veramente uno dei mestieri fondamentali, uno dei mestieri più militanti. Se una persona volesse fare militanza politica gli direi di buttarsi nella scuola e cercare di cambiarla […]. Bisogna stare in comunicazione col mondo che è fuori, anche la scuola, come il teatro, si può chiudere su sé stessa. […]Una delle cose che non si riesce a cogliere è che la scuola, bella o brutta, con un ministro migliore di un altro, sgarrupata o con i laboratori all’ultimo grido, alla fine ti salva. Chi saremmo stati noi senza la scuola?! Le si può dire tutto, ma non di essere inutile, perché è utile. Ha salvato anche tanti docenti».

Provo a capire come abbia lavorato sull’adattamento e mi spiega che il romanzo ha un andamento episodico proveniente da una serie di articoli raccolti poi nel volume a riprodurre lo scorrere di un anno scolastico per cui nella trasposizione scenica si è resa necessaria la ricerca di una non eccessiva frammentarietà che facesse emergere la figura del professore e le storie dei ragazzi, in una cernita con interventi di scrittura originale o qualche spostamento. «Della drammaturgia grossomodo sono soddisfatto, forse la figura del prof poteva avere qualche elemento in più di esposizione personale. Ma ne ho parlato con Giancarlo e la figura è pensata proprio così, per agire in reazione alle storie dei ragazzi e lasciare spazio ad esse, per essere in ascolto di quanto arriva ed è come magma incandescente. Non so se i problemi degli adulti siano parimenti fatti di impulsività, molti attengono alla sfera del pensiero, troppo pensiero, mentre le questioni degli adolescenti sono davvero tutte magmatiche, infuocate, bollenti, provengono dall’anima in tempesta».

Foto Eliana Manca

Raggiungo Luigi D’elia in sala, mentre si prepara per la messinscena serale, cerco di capire come abbia vissuto la consegna e si senta oggi dentro allo spettacolo. «Innanzitutto ho provato a mettermi nei panni di Riccardo. Se mi fossi trovato io a dover lasciare uno spettacolo mi sarebbe dispiaciuto da morire, sono sincero. Quindi la mia prima attenzione è stata di essere molto delicato, anche nei primi giorni di lavoro insieme c’è stato un affiancamento, un lavoro gentile. Riccardo è più un attore, io sono più un narratore: due dinamiche un po’ diverse nel modo in cui si porta lo spettacolo. Da subito, mentre guardavo Riccardo che lo faceva, notavo delle cose e come le avrei fatte diversamente, come fossero due muscoli diversi, due strade diverse. Il tentativo che faccio io è quello di non entrare mai troppo nei personaggi, di raccontarli e portarli al pubblico come fossi il professore, perciò non sono mai totalmente Saverio o Michele, ma sempre il professore che racconta com’era Saverio o com’era Michele. Invece Riccardo lavora sul personaggio ed entra, i personaggi sono più definiti. Molte volte mi accorgo che per me nella narrazione il corpo non passa da un personaggio all’altro, ma è lo stesso personaggio raccontato in maniera un po’ più sfumata. […] Giancarlo e Riccardo mi hanno detto da subito di farlo mio, perciò sono stato sereno nel provare a cambiare delle cose o mettermele più addosso».

Foto Eliana Manca

Prima di andar via incrocio Giancarlo Vistilli, anche lui in sala per rivedere e assistere alle operazioni che precedono la replica serale. Il suo garbo e la sua disponibilità mi sorprendono mentre seduto sulla scaletta che dalla platea arriva al palco mi racconta: «Abbiamo lavorato un paio d’anni con Riccardo, veramente per gioco. Mi disse “Il libro mi piace e mi piacerebbe diventare insegnante” e lo è diventato nel corso dei due anni. È stata difficile la selezione delle storie: il libro ha ventinove storie di adolescenti, tutte reali e che ho già scritto per le pagine di Repubblica quando scrivevo per quel giornale (adesso sono al Corriere). Abbiamo concentrato nel contesto di una quinta superiore le vite che loro catapultano sul palcoscenico, ma l’esperienza più bella che ho fatto con queste storie è che da dieci anni non ho mai smesso di girare. Da dieci anni il libro non smette di raccontare delle cose. […]». Gli domando se abbia mai avuto paura di affidarsi o affidare il suo lavoro. «No. Gli attori e il regista con cui ho condiviso la regia (questa è la mia prima) sono stati scelti da me. Volevo fare molta attenzione. Ho fondato anni fa una cooperativa sociale che si chiama I bambini di Truffaut. Le storie che racconto in questo libro sono reali, la cooperativa si occupa di bambine ex prostitute, figli di ergastolani, bambini ammalati di AIDS, insomma persone che hanno problemi socio-culturali o psicologici abbastanza importanti, per me era un rischio e dovevo trovare due persone delle quali avevo fiducia. E poiché fidarsi è affidarsi, era inevitabile che con questi due uomini io continuassi “a fare l’amore” per due anni. E ogni volta è davvero come fare l’amore, è la stessa sensazione perché sono storie che ho ancora appiccicate addosso».

Ci sono casi in cui le vicende del mondo e quelle della vita coincidono col teatro, probabilmente pochi, forse anche più numerosi di quanto non sembri.

Marianna Masselli

Visto a Bari, novembre 2022

E LA FELICITÁ, PROF?

Tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo Visitilli edito da Einaudi Editore

adattamento e regia Riccardo Spagnulo e Giancarlo Visitilli

con Luigi D’Elia/Riccardo Spagnulo

video Bob Cillo

Cartoonista Alessia Tricarico

In collaborazione con I bambini di Truffaut

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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