Questa recensione fa parte di Cordelia, dicembre 2022
Da un’unica enorme cellula, una massa pesante al centro del palco, delle vite prendono forma scomponendosi in esseri autonomi. Volendo tralasciare la fuorviante nota di regia che pone la concentrazione su sedicenti studi antropologici che avrebbero preannunciato i principi di mutazioni fisiologiche legate all’uso massiccio dei social media, bisogna invece focalizzarsi sulle interessanti suggestioni di un’atmosfera (per paradosso) primitiva. Un’atmosfera di sole luci, il cui uso produce una cornice narrativa d’impatto: quelle lattiginose, così come i neri delle ombre, creano l’aria densa di un mondo solitario ai tempi della Prima Creazione, mentre i coni gialli isolano i corpi della nuova specie d’uomo, diventandone così i primi esemplari. Curvi nelle spalle e costretti a replicare insieme e da soli le stesse azioni in movimenti variabili, i danzatori suggeriscono certamente una qualche introiezione della tecnologica: pose per fotografie, pollici sollevati o dita guizzanti, schiocchi di labbra che imitano i trilli delle notifiche. Il peso dell’impostazione originaria ha però irrigidito il risultato della composizione ultima (soprattutto in trovate poco chiare come l’unione dei quattro corpi danzanti in quello della divinità Shiva), che è riuscita nonostante tutto a manifestare un senso di vitalità e umanità probabilmente non prevista ma che sarebbe stato necessario approfondire. Per cui quelle movenze spezzate da automi hanno in realtà un ritorno quasi animalesco, oltre che primigenio, e rimandano a nient’altro che all’immagine di uomini soli. (Valentina V. Mancini)
Visto a Piccolo Bellini, Napoli; Crediti: Coreografia Nicolas Grimaldi Capitello; Light designer Paco Summonte; Costumi Rosario Martone; Danzano Samuele Arisci, Eva Campanaro, Sibilla Celesia e Marco Munno; Produzione Cornelia; Coproduzione Teatro Comunale di Vicenza
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