Questa recensione fa parte di Cordelia, dicembre 2022
Lo spazio e il tempo collassano in una sorta di buco nero, qui il senso si scioglie come un liquido nero inafferrabile: di fronte a noi ci sono due corpi femminili, vestono abiti lunghi e hanno da poco varcato il limite dell’adolescenza. Poca luce, nella penombra del Teatro India, hanno gli occhi coperti dai loro capelli, oppure sono di spalle o chiuse in un profilo nel quale nascondono lo sguardo. L’io è negato. È come sempre uno spazio di idee filosofiche quello di Tafuri e Beronio, che qui si nutre di antichi miti relativi alle danze dell’ade. Anche in questo Apocastasi, presentato a Teatri di Vetro, l’immagine, le riflessioni e i rimandi compongono, a distanza di giorni, una memoria suggestiva. La performance invece, nel suo accadere, nei 40 minuti, si muove con lentezza, piccoli movimenti, incontri tra due corpi e danze accennate, aggressioni, cenni erotici. Rimane appunto un’esperienza performativa circoscritta e di lettura forse non immediata per un pubblico non alfabetizzato o semplicemente non appassionato a una modalità che agisce per sottrazione. La potenza e il limite stanno proprio in questa caratteristica dell’opera, nel rimanere su un confine immaginifico: non si addentra nello stato solido di uno spettacolo, nella densità di un’opera completa, ma non rimane neppure nei territori totalmente anti rappresentativi dell’apertura sperimentale più pura. D’altronde la costruzione visiva, l’uso delle luci e il contrappunto musicale di Pietro Borgonovo dimostrano una volontà di costruzione, ma la coreografia e lo stare in scena delle due giovani performer sembra fermarsi prima, in una sorta di anticamera fatta di ombre. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro India per Teatri di Vetro. Crediti regia Clemente Tafuri e David Beronio con Roberta Campi e Giulia Franzone musiche originali Pietro Borgonovo produzione Teatro Akropolis
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