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Lemnos di Giorgina Pi. L’esilio e il martirio

Recensione. Lemnos è uno spettacolo politico che si ispira al mito di Filottete, per la terza tappa di un progetto sulla Grecia di Giorgina Pi e Bluemotion che comprende Tiresias e Guida Immaginaria. Al debutto al Teatro Nazionale di Genova fino al 20 novembre. Dal 22 al 27 novembre sarà al Teatro Astra di Torino. 

Ph Federico Pitto

Abbiamo bisogno di un teatro politico, ma prima ancora abbiamo bisogno che il teatro sia un atto politico. Non è tale il racconto imbolsito dell’esperienza senza che se ne abbia un riverbero nell’intimità e nel contemporaneo, ma lo è un teatro che stimoli a pensare, che si carichi la forza dell’antico come paradigma di esistenza e raggiunga un passo oltre il tempo presente, un teatro capace di esplodere al di fuori della scena tutta la sua urgenza civile. E allora Lemnos, il nome dell’isola su cui resta confinato Filottete, nella tragedia che un vecchio Sofocle dedica al tema dell’esilio, della solitudine, del martirio silenzioso dell’invecchiamento, diventa un’isola esemplare che si riflette nell’esperienza degli antifascisti greci che, tra la fine della seconda guerra mondiale e la dittatura dei Colonnelli, fino al 1974 hanno vissuto torture, umiliazioni, fino all’annientamento e alla morte. In questa ricorrenza Giorgina Pi riconosce cause di una conseguenza contemporanea, frammenti di una tragedia che non smette di confinare il pensiero, l’idea, la libertà. E ne trae un atto politico, in forma di teatro. Lo spettacolo firmato Bluemotion si chiama proprio Lemnos e in prima nazionale l’ha prodotto e presentato il Teatro Nazionale di Genova, al Teatro Gustavo Modena, a completare il ciclo di lavori dedicati alla Grecia, dopo Tiresias e Guida Immaginaria.

Ph Federico Pitto

Una luce sospesa (firmata da Andrea Gallo che ne compone un racconto intimo, penetrato dalle vibrazioni sonore di Cristiano De Fabritiis e Valerio Vigliar per il Collettivo Angelo Mai) affiora dai fari laterali che tagliano la scena, è una luce dal passato che omaggia il presente, attraverso coni diffusi che si allargano fino a scomparire verso la parete opposta, a cercare e contestare allo stesso tempo lo spazio del buio; presto il fumo confonderà il tempo presente nel passato, si prenderà la scena spoglia di pochi elementi – un pianoforte, poche sedie – che le proiezioni sul fondale cercheranno di arricchire, finché cadrà il telo e lascerà di sé come tante celle di luce gialla, opaca. Una bandiera dei comunisti greci, tesa sul pianoforte, cadrà calpestata a terra, un’intera tradizione antifascista finirà in quella polvere di offesa e con essa l’arte di poeti e teatranti confinati nel Mar Egeo da una dittatura che ne intuisce la pericolosità e la deride, ma non la annienterà mai.

Ph Federico Pitto

Filottete è donna. La mortificazione subita dal guerriero senza guerra, che resterà fuori dall’Iliade degli eroi, è una dichiarazione poetica straordinaria di un Sofocle alla fine della vita: l’esilio come atto di rinuncia al dolore perpetrato, l’esilio come strenua forma di resilienza. Come Filottete, raggiunto dal figlio di Achille, Neottolemo, perché torni con l’inganno a Troia dopo dieci anni di solitudine, le donne del nostro civile occidente cercano una ragione al proprio tormento e nel dolore dell’antieroe greco emerge la storia dimenticata, la parte oscura della luce che anche Ulisse – responsabile degli inganni, della crudeltà, della depravazione – tributerà finalmente all’esule che ha casa ma non ha patria.

Lo spettacolo procede per immagini subliminali, le emozioni angosciose e recondite si accordano a un’atmosfera sublunare, senza tempo, che permette agli attori di esibire una parola netta e definita: Gaia Insenga è un Filottete che incarna allo stesso tempo fragilità e tenacia; Alexia Sarantopoulou personifica un coro profondo, le cui parole in greco moderno risplendono con tutta la forza della propria materialità; Aurora Peres (presenza tra l’umano e il divino che raccorda frammenti in un racconto fluido) e Giampiero Judica (Ulisse che rinnega la propria superbia) sono sfumature fondamentali di una pittura maestosa. Gabriele Portoghese, infine, raccoglie tutta l’ambiguità di Neottolemo schiavo della propria origine, che saprà trarsi dall’inganno in cui non è né vittima né carnefice e, forse, farsi uomo; la sua è un’impossibile eredità: figlio del più forte degli eroi, come potrà uccidere lui per metafora un padre caduto per la gloria eterna e per volere degli dei? Il tema generazionale emerge con potenza tragica e arricchisce una drammaturgia che la regista ha condiviso con lo storico Massimo Fusillo, attraverso una lunga ricerca condotta sul territorio greco e nella documentazione accademica, avvalendosi di una serie di riferimenti risonanti, i maggiori dei quali giungono dalle poetesse femministe Adrienne Rich e Hélène Cixous, dal poeta Derek Walcott fino a Ghiannis Ritsos, scrittore a sua volta esiliato per le proprie idee, che fu tra i primi a rivendicare l’urgenza della riscrittura tragica per identificare le pieghe ombrose del presente.

Ph Federico Pitto

Proprio la scrittura, lungo l’intero testo, è più volte richiamata come un’estrema necessità collettiva, come una sonda di profondità capace di disinnescare il male e purificare la colpa; la figura del poeta, come lo fu Simonide sul campo di battaglia per i morti di Maratona o per gli Spartani caduti alle Termopili, raccorda il tempo e ne difende il corso dalla violenza degli uomini, egli è l’unico che resta a dare ragione, se c’è, della tragedia. Si sublima nelle parole, si scioglie nel canto che consegna il tempo alla storia, ma riemerge invece sullo spazio vuoto di una cartolina che viene consegnata a tutti gli spettatori, dagli stessi attori, alla fine dello spettacolo: è l’isola di Makronisos, simbolo del martirio antifascista per il quale Ghiannis Ritsos disse di scrivere “solo dieci righe”; il tempo passa, ma ora tocca a chi rimane, tornando a casa con la cartolina in mano, scrivere “dieci righe” per trarne il senso e la catarsi: non è storia, non è arte, ma è vita la morte, nel tempo passato che sorprende alle spalle il presente.

Simone Nebbia

Teatro Gustavo Modena, Genova – Novembre 2022

LEMNOS
ispirato al mito di Filottete
drammaturgia Giorgina Pi con Bluemotion
regia, video e scene Giorgina PI
dramaturg Massimo Fusillo
con Gaia Insenga, Aurora Peres, Gabriele Portoghese, Alexia Sarantopoulou, Giampiero Judica
ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
arrangiamenti e cura del suono Cristiano De Fabritiis, Valerio Vigliar
costumi Sandra Cardini | luci Andrea Gallo | colorist Alessio Morglia
produzione Teatro Nazionale di Genova / ERT / TPE
in collaborazione con Bluemotion e Angelo Mai

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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