Questa recensione fa parte di Cordelia, novembre 2022
La “danza” del testo L’anitra selvatica di Henrik Ibsen nel suo secondo movimento dal titolo Hedvig, andato in scena al Teatro India, segue il primo I Sommersi, entrambi curati e interpretati da Federica Santoro, con Luca Tilli al violoncello e la collaborazione preziosa del pittore Ettore Frani per i quadri di scena. Un ricorrere ossessivo col quale si dice il testo, una corsa a tratti, poi un incedere lento, cadenzato, lo spogliare ogni parola del suo valore narrativo. La scena è lunga, larga, mezza vuota; lei, Santoro, è risonanza della sua parola, in ciabatte, calzini blu, maglia gialla e giacca a fiori. Pausa, beve al bicchiere sul tavolo, si siede, sfoglia un taccuino, buio, uno sparo. «Anti narrazione» è la definizione che dà del dramma Santoro aggiungendo come questa drammaturgia dell’adattamento si concentri sulla forma che prevale sul contenuto, inserendo nel flusso ibseniano anche delle «microscene», altri rimandi, legati ad esempio alla filosofia, che esulano dalla centralità del testo originale. Hedvig – è il giorno del suo compleanno e della sua morte – si stratifica in una polifonia di parole, musica, personaggi e anche di tempo, di durate. Non solo dei 15 anni del plot ma anche quello personale dell’artista: questo spettacolo è stato difeso fino alla sua andata in scena, prima fermato dalla pandemia e poi annullato al debutto, causa covid. Nel finale, è difficile interrompere il flusso, infilare il cappotto e uscire.(Lucia Medri)
Visto a Teatro India: Hedvig da L’anitra selvatica di Henrik Ibsen di e con Federica Santoro e Luca Tilli; adattamento drammaturgico Federica Santoro; musiche Luca Tilli, disegno luci Dario Salvagnini, i quadri in scena sono del pittore Ettore Frani; produzione Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Foto Ettore Frani
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